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Quanto segue è una rielaborazione dell’intervento che ho fatto in Consiglio Comunale il 16 gennaio 2025.

Questa sera vorrei provare a proporvi una riflessione un po’ più complessa, partendo dalla reazione, a mio parere assolutamente sopra le righe, verso la presentazione di un libro che si terrà domani nella stessa palazzina dove, tra le altre attività, si riunisce anche il circolo del Partito Democratico di cui sono segretaria.

Mi interessano poco le illazioni campate in aria tra queste due situazioni. Sono invece più interessata ad approfondire questo bisogno di una certa destra di inventarsi periodicamente un nemico.

Prima c’erano i meridionali, poi i migranti, e adesso i maranza.

Piuttosto che scagliarsi contro un libro, il suo titolo (perché dubito che chi ha rilasciato certe dichiarazioni lo abbia letto) e la sua presentazione, teorizzando addirittura di vietarla (cosa che trovo abbastanza inquietante rispetto all’idea che si ha sulla libertà di espressione). Piuttosto che usarla come occasione per scagliarsi contro l’avversario politico, il Partito Democratico – che non c’entra proprio nulla – e inventarsi complotti di violenze e rivoluzioni, sarebbe importante che la politica tutta si interrogasse sulle reazioni del disagio sociale nelle periferie e del senso di non appartenenza, di rivolta, di rabbia che, alla fine, la parola maranza sottende.

Che società abbiamo creato?

Una in cui i più giovani si sentono marginalizzati, senza prospettive, senza promesse sul futuro, sfruttati lavorativamente sia in termini economici che di orari, senza spazi a loro dedicati. Il loro primo impatto con la società è in scuole fatiscenti, spesso espulsive verso chi ha più difficoltà e dove gli stessi professori e insegnanti sono una delle categorie meno riconosciute e valorizzate. A questo si aggiunge una condizione ancora più difficile per chi magari ha in famiglia un background migratorio, in un contesto nel quale ancora, a chi è nato e cresciuto in Italia, non viene riconosciuto il diritto di essere a pieno titolo cittadino del proprio Paese.

Voi come vi sentireste se dopo essere cresciuti in un posto con i vostri amici, essere andati a scuola, aver fatto attività sportive e culturali, vi dicessero a 20/21 anni che voi non avete gli stessi diritti degli altri? Che voi appartenete a un altro Paese che magari non avete neanche mai conosciuto?

Io sinceramente penso che sarei arrabbiata come loro. Del resto, non è che io non mi sia mai sentita arrabbiata, come giovane lavoratrice sfruttata fino alle 4 di notte per 5 euro l’ora.

Allora, forse, sono un po’ maranza anche io?

Invece che prendersela con i libri, pessima abitudine che ci ricorda tempi bui a cui non vorremmo tornare, dovremmo ringraziare gli autori e chi ha pensato a questa presentazione.

Perché noi come politici dovremmo leggere, studiare, analizzare i processi sociali. Uscire dai comodi stereotipi in cui qualcuno si rifugia e provare a offrire delle alternative credibili a queste ragazze e a questi ragazzi.

CAPIRE, NON GIUDICARE.

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