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rapporto censisIl 58° Rapporto del Censis, pubblicato in occasione del 60° anniversario dell'istituto, si conferma una fonte preziosa per comprendere le dinamiche economiche, sociali e culturali dell’Italia. Il Rapporto, articolato in quattro sezioni – “Considerazioni generali”, “La società italiana al 2024”, “Settori e soggetti del sociale” e “Mezzi e processi” – fornisce una lettura approfondita della realtà del Paese e affronta tematiche cruciali come il declino della fiducia nelle istituzioni, la crisi del mercato del lavoro, l'influenza crescente dei media e dei social network e la necessità di integrazione sociale.

Uno dei primi temi trattati riguarda la cultura e la coesione comunitaria. Il Rapporto evidenzia una crescente disconnessione culturale, descritta come “la fabbrica degli ignoranti”, che rappresenta una seria minaccia per la democrazia. Circa un italiano su tre non sa chi sia Giuseppe Mazzini, e tra i giovani questa percentuale sale a uno su due. Inoltre, un italiano su cinque non sa che Potenza è il capoluogo della Basilicata. Questi dati rivelano una crisi di conoscenza e consapevolezza, che apre la strada a riscritture storiche e mette a rischio il patrimonio democratico italiano.

Insieme al declino culturale, si afferma un drammatico calo della fiducia nelle istituzioni politiche. Solo il 22% degli italiani dichiara di avere fiducia nei partiti politici, una percentuale che riflette il crescente distacco tra la politica e i cittadini. Il Rapporto sottolinea come questa crisi di fiducia sia strettamente collegata alla percezione dell’inefficacia delle istituzioni e alimenti il malcontento sociale, lasciando spazio a movimenti populisti e soluzioni semplificate a problemi complessi. La sfiducia istituzionale si estende anche al governo, con il 58% della popolazione che esprime scetticismo sulla capacità dell’esecutivo di risolvere i problemi del Paese.

Un altro argomento cruciale del Rapporto è la crisi del mercato del lavoro, che colpisce soprattutto i giovani. Il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 22%, mentre il 12% dei lavoratori si trova in condizioni di sottoccupazione. Questa situazione ha creato una generazione di giovani precari, che si confronta con un futuro incerto e senza prospettive stabili di carriera. La crisi economica ha trasformato il mercato del lavoro, generando un divario crescente tra le generazioni e alimentando la sensazione di immobilità sociale. A complicare il quadro, il Rapporto introduce il concetto di "imbuto dei patrimoni", fenomeno per cui il calo delle nascite ha concentrato le eredità su pochi individui, creando una società basata più sulle rendite che sul dinamismo imprenditoriale. Il patrimonio immobiliare, pur rappresentando una fonte di ricchezza, si è rivelato una trappola per l’innovazione, con un aumento del 20% del valore delle proprietà tra il 2000 e il 2020, ma un corrispondente incremento delle difficoltà di accesso alla casa per le giovani generazioni.

Il Rapporto evidenzia inoltre il ruolo crescente dei media e dei social network nella formazione dell’opinione pubblica. Oggi, il 65% degli italiani si informa prevalentemente sui social media, ma questo comporta spesso la diffusione di fake news e una polarizzazione sempre più marcata delle opinioni. I media tradizionali faticano a competere con la rapidità e l'immediatezza delle piattaforme social, che però favoriscono un’informazione frammentata e talvolta distorta. Questo scenario contribuisce ulteriormente al disorientamento culturale, mettendo a rischio la qualità del dibattito pubblico e aumentando la sfiducia nelle istituzioni.

Il 45% dei cittadini dichiara di avere difficoltà a distinguere tra notizie vere e false, una situazione che alimenta il fenomeno delle "bolle informative". In queste bolle, le persone tendono a cercare e condividere informazioni che confermano le loro opinioni preesistenti, rafforzando pregiudizi e riducendo il confronto con visioni diverse. Questo ha portato a una crescente polarizzazione dell'opinione pubblica, con un aumento delle tensioni sociali e del linguaggio d'odio.

Secondo il Censis, il 58% degli italiani ritiene che i social media abbiano un’influenza negativa sulla qualità delle informazioni e sul dialogo pubblico, con un impatto diretto sulla capacità di comprendere i fenomeni sociali in modo completo e critico. I media tradizionali, come la stampa e la televisione, stanno perdendo terreno rispetto a queste nuove piattaforme, ma rimangono comunque una fonte di informazione più affidabile per chi cerca notizie approfondite. Tuttavia, anche qui si riscontra una crisi di fiducia: solo il 30% degli italiani si fida completamente dei telegiornali, evidenziando una diffusa percezione di manipolazione o faziosità da parte dei media.

Il Rapporto mette in guardia contro gli effetti a lungo termine di questo cambiamento nel panorama mediatico. La rapida diffusione di informazioni non verificate, unita all'effetto amplificatore dei social network, sta portando a un disorientamento culturale generale, in cui le persone fanno sempre più fatica a orientarsi tra fatti, opinioni e propaganda. Questo fenomeno non solo mina la qualità del dibattito pubblico, ma alimenta come detto anche la sfiducia nelle istituzioni, già in calo negli ultimi anni. In questo contesto, è fondamentale promuovere l'alfabetizzazione mediatica e il pensiero critico, soprattutto tra i giovani, per contrastare la disinformazione e ripristinare una discussione pubblica basata su dati concreti e informazioni verificate.

Infine, si segnala come la crescente dipendenza dai social media stia trasformando anche il rapporto tra politica e cittadini. I leader politici utilizzano sempre più spesso queste piattaforme per bypassare i media tradizionali e parlare direttamente agli elettori, ma questo rischia di ridurre il confronto democratico a slogan semplificati, privi della complessità necessaria per affrontare i problemi reali del Paese.

Un elemento di speranza che emerge dal Rapporto è la questione dell’integrazione sociale. Nonostante la presenza di razzismo latente, gli stranieri continuano a svolgere un ruolo vitale nel tessuto economico e sociale del Paese. Il 25% delle famiglie italiane beneficia del lavoro di cittadini stranieri, essenziali in settori come agricoltura, edilizia e assistenza sanitaria. Il Rapporto sottolinea come l'integrazione debba essere vista come una risorsa per il futuro, e non come una minaccia, un concetto supportato da diverse statistiche che dimostrano il contributo degli stranieri alla società italiana. Senza il contributo della popolazione straniera, molte comunità locali, soprattutto nelle aree periferiche, rischierebbero il declino o l’abbandono, poiché gli stranieri non solo forniscono forza lavoro ma mantengono vive le economie locali, contribuendo anche alla tenuta dei servizi pubblici.

In alcune zone d'Italia gli stranieri costituiscono fino al 10% della popolazione e sono un sostegno indispensabile per la demografia del paese, specialmente in un contesto di crisi delle nascite. Mentre la popolazione italiana invecchia e diminuisce, gli stranieri rappresentano una componente giovane e attiva della società. In aggiunta, il loro contributo economico è rilevante: il 9,5% del PIL italiano è generato da lavoratori stranieri, dimostrando come l’integrazione di queste persone non solo aiuti a compensare le carenze nel mercato del lavoro, ma contribuisca direttamente alla crescita economica.

Il Rapporto evidenzia anche che, nonostante i progressi nell'integrazione, permangono ostacoli significativi: il 39% degli italiani considera l'immigrazione un problema, evidenziando una percezione distorta della realtà rispetto al contributo positivo degli stranieri. Tuttavia, il Censis avverte che un approccio inclusivo, che veda nell'integrazione un'opportunità piuttosto che una minaccia, sarà fondamentale per il futuro del Paese, non solo in termini economici ma anche di coesione sociale e sviluppo sostenibile.

L'Italia al bivio tra declino e rinascita
Il Rapporto del Censis ci invita a guardare oltre le semplificazioni e ad affrontare le sfide del futuro con una visione ampia. La crescita economica debole vincola ogni iniziativa: se tra il 1963 e il 1983 il PIL italiano era raddoppiato, tra il 2003 e il 2023 è cresciuto solo del 48%. Parallelamente, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto del 7% in termini reali e la ricchezza pro-capite è calata del 5,5% nell'ultimo decennio. Non si tratta solo di una questione economica, ma anche di benessere psicologico. Il 36% degli italiani manifesta segni di stress cronico, con un impatto maggiore tra giovani e persone di mezza età.

In un contesto di incertezza crescente, il sociologo Zygmunt Bauman ci ricorda che “l’incertezza è la condizione stessa della modernità”. L’Italia descritta dal 58° Rapporto Censis è una nazione in bilico tra crisi e rinascita. Il futuro è nelle mani di chi saprà integrare culture, risorse e nuove idee. Solo un impegno collettivo e una visione innovativa potranno traghettare il Paese verso una nuova fase di crescita e coesione.

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