Sono davanti agli occhi di tutti, sempre, un pensiero subliminale costante, tanto distintivo e allo stesso tempo ovvio che passa inosservato ma che ci distingue sull’intero pianeta: gli spaghetti!
Alcuni storici riconducono l’origine degli spaghetti alla Cina, affermando che per mano di Marco Polo giunsero in Italia al ritorno dal suo viaggio; per altri non è corretto sostenere che fu Polo a introdurli in Italia nel 1295, in quanto se ne faceva già abbondante uso. Meglio quindi affermare che «gli spaghetti, come i maccheroni, sono nati per sfamare il popolo dei paesi che coltivavano il frumento, ma che l’Italia è sicuramente il paese che li ha resi famosi e ne ha coltivato la tradizione e il consumo». Sembra però certo che il più antico piatto di spaghetti giunto fino a noi sia stato rinvenuto in una zona nel Nord-Ovest della Cina e risalirebbe a circa 40.000 anni fa. Gli spaghetti cinesi, sebbene antichissimi, erano però soprattutto a base di soia, mentre il frumento non era neanche conosciuto.
Di contro, un testo risalente al XII secolo, precedente all’impresa di Marco Polo di almeno cento anni, accenna a un piatto di «vermicelli», definendoli una pasta di grano a fili sottili prodotta nelle vicinanze di Palermo, probabilmente di origine araba.
Si può quindi affermare con certezza che gli spaghetti cinesi e italiani sono due invenzioni tra loro del tutto indipendenti.
Vero però che i «nostri» spaghetti di farina di frumento sarebbero in realtà un’invenzione araba che presto si è diffusa in Italia, dove ha riscontrato un enorme successo.
Il tema geopolitico è servito, al pomodoro fresco, che solo noi italiani possiamo realizzare, sulla base delle condizioni climatiche uniche dello stivale: un altro tema che emerge come il profumo di basilico: la tutela e la salvaguardia del nostro patrimonio culturale divengono capillari e delicate se applicate alle coltivazioni derivate dai microclimi della penisola: per una volta il campanilismo è gustoso!
A questo tema va poi sovrapposto quello geoeconomico, ovvero le coltivazioni intensive volte al soddisfacimento dei bisogni sempre più divenuti impellenti per popolazioni che tra gli anni 70-90 hanno migliorato le condizioni di vita e hanno immediatamente alzato il livello di domanda del primo bisogno umano: la sopravvivenza. E noi italiani, per quanto cosmopoliti possiamo essere, non siamo in grado di sopravvivere senza spaghetti!
Il food & beverage rappresenta l’italianità nel mondo: assieme al settore dell’interior design, è il brand che nessuno potrà mai eguagliare in quanto a ogni peculiare aspetto in merito a clima, storia, semplicità, fruibilità, adattabilità ed economicità: “un piatto di spaghetti non lo si nega a nessuno!”; per anni, dal 2° dopo guerra, nelle case di cortile, si è dato vita e fiamma al senso della comunità per il quale chi economicamente poteva non esitava ad aiutare chi era in difficoltà proprio con un piatto di pasta a fine giornata; durante il periodo delle migrazioni dal sud Italia, la Brianza si è resa protagonista dell’accoglienza con gesti semplici come semplice è preparare un piatto di pasta.
Quanto è orgoglioso parlare di quel qualcosa che è nato millenni fa, che contraddistingue latitudini ma che si dispiega su tutto il globo, che lega civiltà millenarie come una via della seta il cui profumo inebria le papille gustative di generazione in generazione: la via degli pasta; un spaghetto conduttore che lega gli individui, che annulla le differenze, che “rimuove ogni ostacolo di ordine economico e sociale”, che ci fa sentire a casa in ogni luogo e in compagnia di ogni persona, che per primo non crea competizione sulla genesi ma che si fa mangiare da tutti: “chi li ha inventati? Fa niente, sono buoni: mangiamoli!”. Si legano a tutto: dal pomodoro al pesce, passando per carni e salse di ogni sorta, come ogni persona può trarre insegnamento dal confronto e accrescere la propria ricchezza immateriale, la farina di frumento si esalta al contatto con ogni condimento, pur rimanendo apprezzabile anche da sola: ogni individuo esprime la propria personalità all’interno di un gruppo sociale come ogni piatto di pasta esprime se stesso all’interno di un ventaglio di condimenti, provenienti da ogni angolo del mondo che, in un qualche modo, sono arrivati sulle tavole di tutti, anche in quelle case di corte in epoche dove le comunicazioni non erano semplici: perché i brianzoli videro ricchezza dentro la valigia di cartone, la ascoltarono, la capirono e la riproposero, anche forse solo per gesto di accoglienza nei confronti del “diverso”.
La grandezza inosservata, ovvia, che non si nega a nessuno: un filo che lega le civiltà da millenni, che dalla spiga crea unicità in ogni luogo, proponendosi al nuovo ma rimanendo ferma sulle sue origini che da millenni attraversano ascese e decadenze, guerre e distruzioni, pace e prosperità, inclusività e comunità; il tutto riassunto in uno squillo di citofono a fine giornata alle porte di una casa di cortile, la cui risposta è meravigliosamente semplice: ”un piatto di pasta non lo si nega a nessuno.”.
Buon appetito.
Report