Sono passati 7 giorni dalla chiusura della mostra che celebra i 40 anni dalla morte di Enrico Berlinguer costellata di eventi dal calibro di grande rilievo di chi ha vissuto la politica di quegli anni; la politica con la P maiuscola che da quel 13 giugno 1984 sembra sia scomparsa. Una cesura che pare scandire il passaggio da un’epoca a un’altra ma, per mia indole, non credo esistano punti di cesura, ma osservando la storia che mi circonda, noto evoluzioni e RI-voluzioni scandite da un processo decisionale di una collettività: il Segretario fu eletto in forma assembleare da una collettività ma se ne andò non per una Ri-voluzione che avrebbe dato seguito storico all’evoluzione partitica.
Questa è la peculiarità della storia del Partito Comunista che, in un paradosso, si trovò dentro la storia in un frangente che mai era stato vissuto dalla sfera politica nazionale e internazionale: sostituire una persona senza aver coltivato chi avrebbe ricevuto la carica di Segretario del PCI dopo Berlinguer; è doveroso e rispettoso sottolineare che nell’allora rosa e nelle fila del partito esistevano figure proponibili come successori ma la cesura – che questa volta c’è stata – bruciò le tappe della formazione politica di chi venne dopo Berlinguer.
Il paradosso e l’ironia della vita arrivano sempre: quel partito che per primo diede vita a una forma assembleare politica sovranazionale – L’Internazionale – atta a decidere le sfumature attuative dell’ideale politico di Marx ed Engels, si trovò a dover decidere “d’ufficio” del proprio futuro consapevole che ogni persona, in quanto a se stante, avrebbe segnato una variazione di rotta pur dando seguito al grande carisma e alle capacità dell’appena compianto Enrico, senza avere la certezza che la base del partito ne legittimasse la leadership e, ancor di più, ne sostenesse l’azione. Per rivoluzione s’intende un rapido e radicale cambiamento od un rinnovamento nell’ordine politico sociale; profondo? Quanto? Il cruccio del politik-bureau “d’emergenza”, che si assunse la responsabilità di fronte alla Storia comunista, collettiva, popolare e nei confronti di ogni singolo individuo, con uno spettro d’interesse internazionale che coinvolse tutti: dal vice-segretario di partito al focolare domestico dove la politica arrivava, sempre e il cui riverbero travolgeva i giovani, figli, che seduti a tavola non avevano distrazioni di sorta e ascoltavano i dibattiti in famiglia. La politica come parte integrante della vita quotidiana, seduta sull’altare di una sensibilità popolare conferente il vero ruolo: una guida – il braccio al timone – della volontà di tutti, dispiegata in numerose istanze da ascoltare, analizzare e Ri-solvere.
Nacqui un mese prima della morte di Berlinguer, il 12 maggio 1984: nulla che possa minimamente concedermi una qualunque connessione al processo ciclico di ri-voluzione e tanto meno permettermi lontanamente di sentirmi un lontanissimo erede politico.
L’emozione che ho provato nel vedere la mostra e ascoltare i dibattiti negli eventi dedicati, vive dentro di me come un flashback familiar-politico. Vedere gli scenari in bianco e nero, lo standing d’immagine piuttosto che il dress-code dei politici di allora, si riassume in me in un’unica persona: nonno Santino Lissoni.
Il suo agire politico (PC – PSI – PSIUP – PD) si è dispiegato per circa 40 anni, sempre a livello locale ma - si narra - con lo standing di cui sopra: lui come tutti gli altri politici dell’epoca attuavano e rappresentavano contenuti e immagine del livello nazionale e internazionale di riferimento partitico. In quelle foto, dentro quella mostra, ho visto anche lui.
Potrei raccontare di tanti momenti nei quali, inconsapevolmente, mi ha insegnato la politica, forse altrettanto inconsapevolmente: a circa 8-9 anni mi insegnò a giocare a scacchi. Ricorderò per sempre una sua frase: “Claudio, se io muovo una pedina contro di te, non devi per forza contrattaccare quel pezzo, puoi muovere altri pezzi per cambiare la situazione sullo scacchiere senza mangiare il pezzo che ho appena mosso”. Oppure, all’età di 8 anni, per carnevale, mi vestii da sceriffo con il relativo cinturone e pistola giocattolo comprensiva di mini-petardi per simulare lo sparo. Andai a trovarlo in tipografia e non appena entrai vestito, convinto della sua solita accoglienza venni sottratto immediatamente dell’oggetto della violenza con tanto di frase: “le armi mai, anche se sono un giocattolo, la violenza mai, il dialogo sempre”. Ancor più incisivo fu lo sguardo con cui mi disse quelle cose: lo sguardo di chi la guerra l’aveva vista, da vicino.
Aneddoti a parte, nella mia esperienza dell’ottobre rosso made in PD-Monza, si è palesato in me quel moto di Ri-voluzione politica che da continuità alla purtroppo impossibilità di vivere Enrico Berlinguer, l’anello di congiunzione tra il 12 maggio 1984 e il 13 giugno dello stesso anno: uno nasceva, l’altro moriva. Fisicamente distaccati, contenutisticamente imparagonabili, ma, dalla mia rivoluzione uniti da chi, ancora una volta forse inconsapevolmente, mi ha tramandato il Berlinguer pensiero come in moto di continuità senza cesure.
Enrico vive, Santino vive, Claudio c’è.
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