V di Violenza:
La violenza è un atteggiamento che sfocia in azioni indotte coattivamente da un soggetto, il quale crea un disagio fisico o morale attraverso la coazione, anch’essa fisica o morale. Il soggetto che subisce la coazione è un essere umano ma non è detto che lo sia anch’esso. La violenza, infatti, può essere causata da una serie di fattori sociali, economici e relazionali di cui le persone subiscono gli effetti e che, di fronte ad una sempre più riconosciuta impotenza, riverberano rabbia indotta su altri soggetti od oggetti.
All’interno del perimetro della legalità, alcuni soggetti somatizzano la violenza fino ad identificare un metodo per darle seguito: non è una conseguenza della rottura di un argine poiché i comportamenti violenti rimangono all’interno delle regole di convivenza dando seguito all’educazione (legale) di cui si è portatori; è nel riconoscimento di una leadership e nella sua emulazione che il soggetto trova la rappresentazione di quell’IO violento che reprime dentro di se: dress-code, portamento, linguaggio e gestualità assumono una connotazione aggressiva dove il de gustibus viene soppiantato da una volontà comunicativa più autoreferenziale volta all’affermazione sociale rispetto al ristretto gruppo di frequentazioni ed esclusivo di chi non porta rappresentazioni del leader maximo. Esso, l’escluso, diventa quindi a sua volta bersaglio di comportamenti coattivi e violenti, così da generare un nuovo soggetto “pericoloso”: la violenza genera violenza.
Un fattore determinante per la ricettività della violenza e la sua assimilazione è l’immaturità: la fascia d’età compresa tra i 12/30 anni recepisce maggiormente il carisma (violento) dei nuovi leader giovanili: arbitrariamente si assume il limite minino d’età (12 anni) come periodo nel quale si comincia a frequentare i coetanei senza il controllo genitoriale ed il limite superiore (30 anni) come spartiacque tra lo studio e l’inizio dell’attività lavorativa, ovvero, l’assunzione di piena indipendenza economica ed in quanto progettazione della propria vita.
G di Giovani:
Nell’attualità assistiamo ad una progressiva espansione dei comportamenti violenti da parte della fascia d’età delle trasformazioni fisiche e psicologiche. La classe giovanile sconta un inasprimento della complessità di vita generale, di un moltiplicarsi di stimoli distrattivi e del progressivo deteriorarsi delle relazioni sociali face-to-face a vantaggio della loro virtualizzazione: tale ultimo processo ha dato sempre più possibilità ai giovani di identificare il proprio IO in un modello non reale, sia in termini numerici che in termini di alternanza; attraverso i social network, ognuno ha potuto creare un’immagine di se confutabile solo in parte dai propri coetanei e di cercare nella rete un nuovo leader secondo un meccanismo perverso di affrancamento, ovvero, non riconoscendosi in esso ma trovando una certificazione di se stessi nella figura del leader scelto che, dal punto di vista interiore, si traduce in una ricerca della bandiera della propria rabbia e non in un soggetto che “conquista”: tale nuovo ed inverso meccanismo di leadership pone le sue basi sul concetto di autoreferenzialità che, per metafora, è come in una partita di calcio al videogioco nella quale si effettua il passaggio ma il joystick rimane sempre nelle proprie mani e la consolle sposta il comando sul nuovo possessore di palla, lasciando però, nella realtà, il comando al 100% a chi ha in mano il joystick.
A tutto ciò, è doveroso dirlo, si somma una generazione precedente incapace di comprendere appieno le dinamiche on-line e che si accontenta di vedere un effimero sorriso sulla bocca dei loro figli.
L’esplosione di violenza, frutto di una sempre più difficile probabilità di realizzazione avvertita già in età adolescenziale, di una referenzialità in termini di leadership a modelli comportamentali e d’immagine opinabili e di una progressiva solitudine e incomprensione con la generazione precedente, ha trovato il suo catalizzatore nel lock-down da Covid 19: i casi di violenza giovanile sono aumentati esponenzialmente dopo la pandemia, segno tangibile di un problema sociale diffuso, sempre più capillare e rinnovativo nei propri mezzi di diffusione, che non ha fatto altro che creare sempre più stimoli di varia natura per menti bramose di modelli da perseguire.
Si è sviluppato un concetto di rapporti interpersonali come autoreferenziali, rappresentativi del proprio leader come strumento di affermazione di se stessi nella propria cerchia di frequentazioni attraverso l’emulazione di modelli comportamentali proposti in rete come strumento di marketing, dove il prodotto è a sua volta un’immagine che cambia rapidamente per generare profitti sempre più alti, facendo leva sul disagio, la lotta alla repressione ed alla illegalità come strumento di protesta nei confronti di uno Stato ritenuto assente o inefficace in merito a politiche di sostegno del percorso di crescita della classe giovanile.
Il risultato di tutto ciò è la mistificazione della realtà dei rapporti sociali, i quali, come descritto, vengono mediati da un bombardamento di distrazione, indottrinamento subliminale, messaggi fuorvianti e, spesso, attraverso l’invito alla illegalità personale come strumento di affermazione sociale; questi strumenti prendono vita, nella maggior parte dei soggetti, in rappresentazioni on-line della propria identità non aderenti all’identità reale.
P di Politica:
Se la politica è la rappresentazione della realtà sociale di riferimento, il palmarés parlamentare fatica a realizzare un cambio generazionale utile a ridurre la distanza con la fascia giovane della popolazione; gli apparati di partito, le commissioni ed i vari organi istituzionali atti alla disamina tecnica delle istanze provenienti dalle aule istituzionali del confronto politico/partitico, a fronte di ciò che si è appena rilevato in merito alla sfera sociale giovanile, non riescono a trovare il bandolo della matassa, punto di partenza di un percorso fatto di linea politica e provvedimenti atti ad al tentativo di eliminare il disagio giovanile.
Non che non si stia facendo nulla ma in osservanza al principio di lungimiranza ponderato alla capacità di lettura dei cambiamenti della società, la classe dirigente politica latita in quanto ad attenzione e concretizzazione; la classe giovanile, quindi, sfiducia e delegittima la politica come luogo di confronto e strumento del cambiamento: rilevante è che, nell’ultima tornata elettorale (europee 2024) si è registrato un astensionismo maggiore nelle fasce d’età: i giovani non vanno a votare!
A corollario di ciò, si registra una riluttante volontà di accoglienza a chi si affaccia alla politica (intuitivamente, i giovani): i nuovi ingressi nei partiti si scontrano spesso con uno zoccolo duro fatto di persone di vecchia data anagrafica e politica che risultano poco disposte all’accoglienza delle istanze dei giovani politici che, se anche acerbe dei dettagli esperienziali, possono costituire il nuovo slancio per un’era politica dove essa può trovare la sua giusta posizione nella società: la guida legittimata dal popolo. Si genera un circolo vizioso tra chi, causa all’avanzare dell’età, è sempre meno disposto a realizzare o accettare un cambiamento e chi, vedendo incomprensione per il proprio mondo e le proprie idee generanti una difficoltà di dialogo intergenerazionale, chiude le porte a sua volta irrigidendosi ed inasprendo le relazioni di cui sopra.
La violenza politica si alimenta di sé stessa ed attingendo da tutti i soggetti coinvolti nello scontro (politico) violento.
Serve uno slancio rivoluzionario, di giovane potenza proporzionata alla forza della vecchia resistenza per distruggere un guscio di contrapposizione per dare nuova vita al confronto ed al dialogo intergenerazionale politico che solo di concerto tra ascolto e proposte può distruggere il problema della violenza giovanile.
Serve la Democrazia.
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