Con Belle Époque si indica il periodo storico, socioculturale, musicale e artistico che ha interessato in particolare la Francia tra la fine del XIX secolo e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914. I limiti cronologici della “Belle Époque”, così come la definizione del termine, sono tuttavia ancora dibattuti dagli storici. Pur facendo riferimento all'esperienza francese, questo periodo vide manifestazioni parallele con tratti molto simili non solo in altri paesi dell'Europa occidentale, ma anche in ambiti extra-europei, come gli Stati Uniti (l’età dorata); in Italia coincise, di fatto, prima con l'età umbertina (1878-1900) e poi con l'età giolittiana (1903-1914), mentre in Gran Bretagna con l'ultima parte dell'età vittoriana e l'età edoardiana.
Dopo la Grande Depressione del 1873-1896, la Francia, come altri paesi industrializzati, entrò in un periodo di sostenuta crescita economica nel contesto della seconda rivoluzione industriale guidata da settori innovativi come l’elettricità e l’industria automobilistica.
Nonostante il miglioramento del tenore di vita, la società accusava ancora disuguaglianza e gerarchizzazione. Con "Belle Époque", ci si riferisce soprattutto al modo di vivere di una borghesia trionfante, che si distingue dalle altre classi per la raffinatezza della sua vita oziosa, mentre non è sufficiente a mascherare la miseria dei lavoratori delle città e delle campagne.
Il ventennio elegante fu un periodo di grande sconvolgimento culturale, scientifico e tecnologico; Parigi, la “Ville Lumiere”, in pieno cambiamento, si distinse tanto per la sua influenza artistica e culturale quanto per la sua modernità celebrata durante l'Esposizione Universale del 1900. Nella capitale francese si affermò l'uso dell'elettricità, si svilupparono nuovi mezzi di trasporto come la metropolitana e l'automobile, apparvero nuove forme di intrattenimento come il cinema, la cui prima rappresentazione pubblica ebbe luogo nel 1895. La Belle Époque vide anche lo sviluppo delle attività sportive la cui pratica, inizialmente, era riservata all'élite ma che si è democratizzata con la nascita degli spettacoli sportivi, del moltiplicarsi delle associazioni sportive e delle sponsorizzazioni.
Siamo di fronte ad una sfera sociale che fa dell’individuo – alto borghese - un portare sano di classismo ed autoreferenzialità i quali trovano appeal nella sfera sociale di primo riferimento sulla base del livello della potenza economica personale: la civiltà occidentale che vive di economia esce dallo stato embrionale derivato dal retaggio storico prerivoluzionario (francese) che pone il fine alla società per ordini e apre il “cittadino” alla società per classi, sotto il cappello della natio, le cui derive porteranno alla 1°GM.
La borghesia “illuminata” esibisce lo scintillio dello sfarzo e sbandiera l’ostentazione della ricchezza (acquisita da poco ed in forte ascesa) dopo un periodo di grande crisi che, dal punto di vista psicologico, segnò una depressione alla pari di quella economica, successiva allo slancio postrivoluzionario dove i primi leader politici borghesi affermarono l’esistenza di un popolo organizzato – da loro – distruggendo la nobilità ormai in declino ed incapace di reinventarsi in un mondo che su un principio di potenza economica avrebbe ricalcato alcuni paradigmi dell’epoca imperialista di stampo nobiliare.
L’affermazione della grandezza economica come espressione di una rinnovata potenza nazionale avviene con il metodo classico del dominio dei mari: la Geopolitica, in quanto proto disciplina che affronta le relazioni tra popoli in forma aggregata, dipana il suo verbo in un luogo politico dove le regole di convivenza civile (Costituzioni e Leggi) sono una conseguenza di un percorso storico e culturale intriso di relazioni extraterritoriali che, per la maggior parte dei casi, sono belligeranti: si può asserire che la Geopolitica nasce con la vittoria di Roma Cartagine, nella quale la civiltà latina afferma il proprio dominio sul Mediterraneo a scapito dell’altra popolazione di navigatori: i Fenici.
Qui nasce il concetto d’Impero: il dominio dei mari.
Esso si è declinato nel tempo al dominio degli stretti dove le rotte passano da un contesto di mare aperto - incontrollabile poiché “infinito” – a tratti di mare più che controllabili: il Commonwealth inglese è la più compiuta rappresentazione del principio imperiale del dominio dei mari e delle rotte commerciali; cosa che avvenne dopo guerre sanguinarie, uccisioni di massa, sottomissioni dei popoli indigeni da parte di quella nobilità supponente di imperare sul terzo stato e che fa un autoreferenziale concetto di civiltà la bandiera ombreggiante delle più grandi disumanità compiute dall’essere umano: schiavitù o morte.
Per principio di causalità inversa rispetto alla nobilità, ovvero al principio della pace come bene comune, l’alta borghesia attua il concetto della potenza navale in campo commerciale e turistico – cioè apparentemente pacifico - secondo una “gara” di sfarzo, ricchezza, grandezza e tecnica, nonché potenza motrice fisica nel compiere le traversate atlantiche nel minor tempo possibile: un premo informale che le marine civili nazionali si contendevano era il Nastro azzurro, assegnato di volta in volta al transatlantico che abbassava il tempo della traversata oceanica.
Lo slancio imperialista torna preponderante secondo la leva economica all’interno del progresso industriale della 2° Rivoluzione afferente alla lavorazione pesante dell’acciaio. Industria pesante, molta manodopera su base nazionale e coloniale, rinnovato desiderio di conquista pacifica del dominio imperiale, si concretizzano in un mezzo di trasporto che, per la prima volta nella storia, permette di percorrere grandi distanze in tempi così brevi da slanciare ulteriormente la boria dell’alta borghesia sancendo la compiuta supremazia della classe borghese su quella nobiltà che conquistò il mondo con la spada e la sottomissione: il lavoro come strumento di affermazione sociale intraprende il suo cammino verso quel riconoscimento costituzionale odierno.
Stiamo parlando di navi in grado di attraversare oceani: i Transatlantici.
È doveroso porre in luce l’origine tecnologica di tutto ciò: la scintilla della potenza motrice è tutta tricolore ed ha nomi e cognomi: gli Ingegneri Barsanti e Matteucci inventori del motore a scoppio.
Che cosa sia un transatlantico lo si capisce facilmente: un mezzo per il trasporto per persone i cui dettagli ingegneristici ed architettonici puntano alla massima espressione industriale del magnate costruttore che, attraverso un prodotto di altissima gamma, cerca di conquistare una fetta di mercato d’élite, compiacendo quella cerchia ristretta di conoscenze che se soddisfatta fa eco della propria esperienza di viaggio rendendo ancora più sfarzoso il riconoscimento sociale del magnate di cui sopra.
Questa è la 1° classe del ponte superiore di una stratificazione sociale di cui i giganti dei mari sono compiuta espressione: 1°, 2° e 3° classe sono le classi sociali dell’epoca e la nave è il contenitore imperialista della Nazione che ricalca la vecchia nobilità nel cercare di estendere il proprio potere al di fuori dei confini nazionali, affermando la supremazia – di carattere tecnologico - con le altre potenze e stratificando la propria società interna secondo un principio divisorio che però cambia rispetto al passato prerivoluzionario: è il potere economico lo status symbol della bell’époque.
Ed è così torna il tema padre della Rivoluzione Francese: accettazione ed affermazione dell’alta borghesia nella classe dirigente del pianeta. Flotte di arricchiti attraversano l’Oceano Pacifico per porre la bandiera del proprio ego in quel nuovo mondo del quale, in quanto scopritori, gli europei vantavano una sorta di paternità: il Sogno Americano.
Il continente delle opportunità è l’approdo di un nuovo mondo che si presenta sulla costa est americana con un rinnovato spirito coloniale, manifestato attraverso un nuovo mezzo di trasporto, espressione della potenza economica e del dominio veloce di mari fin ora considerati ostili a tal punto da eroicizzare chi osava la traversata; la bell’époque segna un momento di rinnovata positività rispetto all’ignoto che avrebbe aspettato i pacifici corsasi d’occidente una volta sbarcati nella patria di un mondo capitalista che di li a poco avrebbe invertito il rapporto di potere, riconfigurandosi come potenza imperiale egemone dell’intero mondo occidentale: gli europei non hanno però dimostrato ingenuità ma, guardando ad un colonialismo informale basato sulla potenza della moneta, tralasciarono alcune questioni prettamente sociali del vecchio continente sicuri che sul suolo europeo le vecchie casate nobiliari avessero ceduto il testimone del governo alla nuova classe dirigente di cui loro erano espressione.
In realtà, di li a poco, la vera essenza della geopolitica – i rapporti tra i popoli in forma aggregata su base etnica – avrebbe ricordato loro che la potenza economica è un modo fragile di gestire i rapporti tra i popoli e tra le classi sociali; fattori che mescolati tra loro, acuiscono le differenze classiste e relative ad una rivendicazione la cui matrice è la natio, resilienti al dominio imperiale di casate regnanti in terre irredente e soggioganti di popoli che, proprio sulla base di una capacità economica indipendente dalle scelte della nobilità, avrebbero rivendicato diritti che daranno vita al Principio di Autodeterminazione dei Popoli.
L’occidentalismo come manifestazione pacifica del post colonialismo farà tra poco i conti con l’ultima ratio che, proprio sulla base del progresso industriale, economico e tecnologico darà vita al più sanguinario dei conflitti mondiali: la Prima Guerra Mondiale è ricordata come figlia della 2°rivoluzione industriale. La figlia di un’epoca di sfarzo, eleganza, raffinatezza e “mignolo alzato” sul flut di champagne che però rappresenta solo la facciata di paradigmi imperialisti e colonialisti che per natura varcano le regole della convivenza civile limitate da confini nazionali: allo stato naturale delle relazioni internazionali ci sono condizioni belligeranti basate su un percorso storico ed etnico che solo una sensibilità sociale frutto di un certo livello culturale può impedire: i soldi non bastano per non fare la guerra.
Oggi, XXI secolo, anno domini 2024, l’Europa è circondata da guerre i cui mandanti sono ancora i vecchi Imperi ed i cui esecutori sono di nuovo Stati satellite, foraggiati economicamente e tecnologicamente proprio da quella potenza economica che dalla bell’époque si diffuse come il bel modo di vivere; da sempre, però, sono le collettività umane a decidere gli eventi ed a porre i mezzi per governarli: che si chiamino ordini o classi, il potere decisionale – o quanto meno d’influenza – è sempre a panaggio di una conscia od inconscia decisione assembleare che determina la linea politica nazionale ed internazionale.
Il modo di vivere all’occidentale, basato sull’economia e sull’espressione dei diritti e doveri umani e sociali derivati dalla storia, è il modo più bello di vivere ma anche il più fragile: il periodo storico appena analizzato lo dimostra e di fronte all’ennesima manifestazione barbara ma che purtroppo è insita nella natura umana cosa può fare il vecchio continente per ritornare ad essere il nuovo mondo?
Serve un nuovo slancio culturale nel quale istruzione e cooperazione siano l’esempio per le future generazioni; il processo d’integrazione europea deve alimentarsi dell’unione sociale dei popoli basata su un principio la cui matrice socialista è la solidarietà nel senso ampio del termine, per la quale l’individuo è fautore della propria ricchezza e crescita sociale ma percepisce che questa può avvenire se intorno a se, l’ambiente sociale ed economico, guarda ai bicchieri mezzi pieni e non solo a riempire il proprio: le differenze sono un vuoto da colmare ed una connessione da alimentare, poiché il vuoto di uno può essere colmato da un altro, a prescindere dal rango sociale a cui ci si sente di appartenere.
Acuire le differenze a partire da un qualsiasi punto di vista, svuota ulteriormente il bicchiere del progresso umano e ciò che parte da un rapporto tra individui, in forma aggregata, porta a quegli scontri di cui oggi siamo circondati.
L’Unione Europea, sociale e politica è la vellutata soluzione agli spinosi problemi di cui oggi molti popoli soffrono: l’elegante sfarzo culturale della bell’époque sociale.
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