Il 27 giugno 1980, un volo civile di linea della compagnia ITAVIA sparì nel nulla.
Decollato da Bologna destinazione Palermo, il suo transponder smise di trasmettere la posizione a terra poco prima dell’inizio della fase di atterraggio, proprio nei pressi dell’isola di Ustica; intorno alle 21.00 di quel maledetto giorno d’estate fu dato un allarme generale che recitò: “aereo disperso” ma solo il mattino dopo, con la luce del giorno, si diede forma alla “dispersione”: la forma dei cadaveri dei passeggeri che iniziarono a riaffiorare dal mare.
Non è intento di questa narrazione proseguire sui binari delle indagini, delle omissioni, delle omertà e della costruzione del “muro di gomma” che per oltre 40 anni ha tentato e tenta ancora di respingere ogni tentativo atto al raggiungimento della verità dei fatti che, 44 anni dopo, può solo dire: 81 vittime, nessun sopravvissuto al disastro.
In un più che mai sintetico riassunto delle vicende giuridiche, oggi sappiamo che non fu una bomba a bordo ma che l’allora cielo del Mediterraneo, in quella notte, fu protagonista di un atto di guerra in tempo di pace volto al contenimento del blocco orientale (Patto di Varsavia) da parte dell’Alleanza Atlantica (N.A.T.O.): dai rapporti in possesso, dall’alacre lavoro di giornalisti come il compianto Andrea Purgatori e dall’incessante azione dell’Associazione delle vittime di Ustica, sappiamo che nei cieli mediterranei, aerei NATO stavano dando la caccia a un MIG libico di ritorno dalla base di Banja Luca (ex Jugoslavia) dopo operazioni di manutenzione tecnica.
È doveroso, a questo punto, fare una digressione sulla moglie americana e l’amante libica: stringendo l’intreccio in cui i nostri 007 hanno operato per anni, è di dominio pubblico che era concesso l’attraversamento dello spazio aereo italiano da aerei da guerra libici, sulla dorsale adriatica, per poter raggiungere la base jugoslava all’unico scopo di effettuare manutenzioni a patto che questi fossero disarmati e in solitudine.
Gheddafi, i cui rapporti di potere con le istituzioni italiane si determinavano soprattutto il quanto la Libia forniva circa il 45% dell’approvvigionamento energetico necessario al Bel Paese, violava l’accordo con il SISMI ordinando ai suoi aerei di sorvolare la dorsale tirrenica, ovvero di fronte alla base NATO di Solenzara – Corsica – e sopra la 6° flotta Americana nel mediterraneo, di base a Napoli.
Da questo punto in poi sarebbe quanto meno inopportuno proseguire su una narrazione ancora oggetto di un iter giuridico ma è doveroso riportare un dato: la documentazione agli atti ammonta all’incirca ad 80000 pagine; è intento di questa riflessione sfruttare l’insegnamento di Madame Storia e cercare di identificare connessioni e sovrapposizioni con l’attuale fotografia politica del nostro continente; il quesito è: dal punto di vista delle relazioni internazionali e dello dello scacchiere mediterraneo di quel 27 giungo 1980, quale lezione storica possiamo apprendere ed applicare su scala mondiale, in data 28 giungo 2024?
È assodabile che la linea del fiume Don che taglia da nord a sud la zona orientale ucraina, è sovrapponibile al muro di Berlino, ovvero ad una cortina di ferro 2.0 che divide due ideologie, due visioni del mondo, dell’economia, dell’individuo e della collettività, nonché di un rapporto di retaggio storico tra una potenza imperiale ed uno stato satellite paragonabile al rapporto tra gli Stati Uniti d’America e l’Italia dal 2° dopo guerra: un’influenza continua che ha mosso molte pedine sulla nostra penisola e condizionato i nostri rapporti internazionali con altri Stati Nazione; il parallelo potrebbe essere la moglie russa e l’amante americana per l’Ucraina.
Un secondo parallelismo (ma solo per ordine espositivo) è la pressoché identica macro-situazione di alleanze militari che hanno definito – e definiscono – due blocchi contrapposti, entrambi volenterosi nell’estendere la propria zona d’influenza secondo la propria vision mondiale e tenere il più possibile lontano il nemico (o modello di vita non gradito), sia dal punto di vista geografico che attraverso una deterrenza in chiave di progresso tecnologico degli armamenti.
Un punto di discontinuità è invece la “temperatura della guerra”: la contrapposizione europea della seconda metà del XX Secolo è stata definita “fredda” mentre, negli stessi anni, si è assistito ad almeno due conflitti “caldi” nell’indopacifico: Vietnam e Corea; la situazione attuale è l’opposto geometrico, ovvero, una situazione “calda” in Europa – l’Ucraina – e una situazione fredda che dura da circa un ventennio nell’indopacifico.
La linea di contrapposizione è, invece, la medesima: l’attrito tra due visioni del mondo ed una linea (politica) di confine che per motivi diversi - ma da entrambe le parti - è necessario varcare. In termini di equilibri di potere a livello mondiale e partendo dall’assunto che esiste un polo nord e sud ma non un polo est ed un polo ovest, la verticale mondiale che definisce il focus d’attenzione mondiale non è più Greenwich e l’Europa ma l’Indopacifico ed il meridiano di riferimento. Nella zona d’influenza cinese ed americana bisogna mantenere una temperatura fredda per poter dispiegare relazioni internazionali diplomatiche all’interno del proprio blocco attuando forme di conflitto alternative a quella armata, almeno per un po’ di tempo; di converso, all’ombra delle attenzioni mondiali, si può dar spazio a sfoghi propri del confine ultimo delle dispute per la prevalenza del proprio potere al di fuori dei propri confini nazionali: l’ultima ratio, calda.
Nelle relazioni internazionali non esiste mai una fine, un punto di rottura tra un’attualità ed un presente che diviene passato e, come spesso si dice, la palla di cristallo non è in dotazione a nessuna “pedina” dello scacchiere mondiale.
Nella lettura di una probabile corretta teorizzazione dell’ultimo mezzo secolo, non si può assurgere ad una discrimine tra un ventaglio di scenari ma è possibile fare nuovamente riferimento alla storia ed in particolare a quei momenti in cui le collettività hanno deciso e modificato il corso degli eventi: dalla caduta di un muro ad una qualsivoglia manifestazione di pensiero, i popoli hanno da sempre deciso per ciò che di meglio intuissero li attendesse nel futuro prossimo, secondo un senso di umanità e cooperazione. Al contrario, i singoli leader, il cui carisma ha travisato la stessa leadership ha dato luogo a fatti come quello accaduto sopra i cieli di Ustica 44 anni fa e ad altri belligeranti forme d’odio e violenza.
Per quanto ancora dovremo pensare che è una persona a fare un popolo e non un popolo ad eleggere una persona?
Report