0. L’ultima Ratio: l’uso delle armi.
È questo il metodo che da sempre rappresenta la costante nella risoluzione delle controversie internazionali; lo scontro armato, nel quale emergono tutti gli aspetti di forza di un paese, sembra essere, per l’ennesima volta, il metodo risolutivo e di definizione dei rapporti di potere tra due o più Stati sovrani.
Si potrebbe stilare un elenco di atri metodi di risoluzione delle controversie tra due Nazioni ma ciò che sta succedendo in Ucraina da 2 anni a questa parte lasciano poco spazio ad interpretazioni in ambito politico/diplomatico; è un ritorno di fiamma della Guerra fredda? È una ritorsione sullo scacchiere dei rapporti internazionali che valica in confini delle zone interessate dal conflitto armato? È un interesse economico/strategico?
Dare una risposta esaustiva a queste domande è compito arduo ed estremamente complesso, in quanto l’attività di ricerca a prova delle relazioni bilaterali tra Nazioni sovrane e del loro contenuto non è consentita da soggetti terzi a fronte della presenza o meno della clausola di adesione in un qualsiasi trattato internazionale tra le parti; tuttavia è possibile tracciare un percorso storico/politico di massima dentro il quale orientarsi e cercare di avere chiarezza sull’attuale situazione internazionale e sugli attori coinvolti nella questione ucraina.
1. Il Donbass: storia di un pretesto.
Il Donbass è una regione dell’Ucraina Orientale, che coincide con il bacino del Donec, fiume affluente del Don che attraversa quella zona. È suddiviso in tre Oblast, quelli di Donetsk e Luhansk, al confine con la Russia, e quello di Dnipropetrovsk, più ad ovest. Si tratta di un territorio ad alto tasso russofono, la cui più importante risorsa sono l’industria pesante e i suoi ricchi giacimenti di carbone.
La Repubblica democratica dell’Ucraina riconosce, sin dalla sua nascita, il territorio del Donbass come parte integrante della Nazione, riconosce una minoranza linguistica e si apprestava, nel 2014, a regolamentare come regione a statuto speciale tale situazione, nel pieno rispetto delle libertà personali e degli elementi culturali propri della popolazione che abita quella regione; furono le elezioni presidenziali del 2004 a segnare un punto di rottura, dal quale è partita l’escalation tra due fazioni estremiste che hanno dato il via ai primi scontri armati.
Alle elezioni del 2004 si presentarono due forze politiche contrapposte, quella filoccidentale guidata da Viktor Juščenko, pronta a sancire lo statuto speciale per il Donbass e ad avviare un processo di integrazione europea per l’Ucraina e quella filorussa a guida Viktor Janukovyč la cui linea politica prevedeva una guida “indipendente” dall’ Unione Europea e tendente al rafforzamento dei rapporti di collaborazione con l’amministrazione Putin.
Le cartine politiche illustrano i risultati elettorali al termine del 3° turno, nel quale viene sancita la vittoria (con uno scarto minino) del fronte filo Russo ma Viktor Juščenko denuncia brogli elettorali (fin dal primo turno elettorale) e mobilita la popolazione in quella che passerà alla storia come Rivoluzione Arancione: migliaia di cittadini scesero in piazza con bandiere ucraine, arancioni e…dell’Unione Europea.
La Vox Populi ebbe successo ma le conseguenze non furono così fauste come si auspicò.
Fin dai primi mesi di Governo, l’Ucraina s’impantanò nella stagnazione economica, in una cattiva gestione dello Stato, svalutazione della moneta, e l'incapacità di ottenere finanziamenti dai mercati pubblici: le conseguenze furono le classiche: corruzione e criminalità. Per questa ragione, Janukovyč cercò di stabilire relazioni più strette con l'Unione europea ma, al contrario di come propagandato, anche con la Russia, al fine di attrarre il capitale necessario per mantenere il livello di vita dignitoso della popolazione e per permettere al comparto industriale e commerciale di uscire dalla situazione di immobilità. Una di queste misure fu un accordo con l'Unione Europea, che avrebbe fornito all'Ucraina fondi ingenti per diverse riforme su molti aspetti della società ucraina cercando così di rompere i legami economici con la Russia considerati fin dall’inizio troppo stringenti in senso relazionale. Janukovyč, in un primo momento, considerò le contingenze per essere onesti, ma alla fine si rifiutò di firmare l'accordo con l’Unione Europea considerandolo troppo austero e dannoso per l'Ucraina.
In tutto ciò, la Russia si rifiutò sempre di riconoscere un governo ucraino, definendolo come nato da un colpo di stato ma non da libere elezioni democratiche e sfruttando questa lettura, riprese il controllo del territorio della Crimea, che da circa un secolo rappresenta il cruccio russo per uno sbocco commerciale diretto nel Mediterraneo.
Il 6 Aprile 2014, alcuni manifestanti filorussi, armati, presero il controllo di alcuni palazzi governativi dell’Ucraina orientale ossia nelle regioni di Donec'k, Luhans'k e Charkiv mentre alcuni informativi NATO denunciarono l’attraversamento del confine ucraino da parte di alcuni reparti di artiglieria russa accompagnati dai rispettivi corpi logistici: il casus belli è servito. Gli scontri armati tra miliziani sono proseguiti per anni a danno della popolazione civile locale che vive da allora nella paura e nella più totale mancanza di serenità in ogni aspetto della propria vita: dal timore per la vita stessa all’impossibilità di avere accesso ai bisogni primari, nonché all’istruzione e ad ogni aspetto proprio delle libertà individuali e collettive che una Democrazia dovrebbe poter tutelare.
L’unione Europa, di fronte ad un’escalation di violenza da entrambe le parti, rivoluzionari filo-russi e forze anti-sommossa ucraine emana una risoluzione che definire completa e conciliante è davvero poco: si tratta della Risoluzione del Parlamento europeo del 27 febbraio 2014 sulla situazione in Ucraina (2014/2595(RSP)) .
Il Parlamento Europeo, per quanto illuminante, non può fare molto di più, in quanto devoto al rispetto della Sovranità Nazionale ed in quanto, l’Ucraina, Nazione terza alla UE stessa; ma c’è un’altra soluzione, più delicata e più di difficile attuazione, in quanto presuppone l’ingresso in campo di un’organizzazione internazionale nata con scopi contenitivi e con presupposti militari: la NATO. L’Ucraina si è recentemente candidata all’ingresso nella NATO e la violazione dei confini da parte dell’artiglieria russa (2014) fornirebbe la possibilità di una risposta, quanto meno diplomatica nonostante non sia stato ancora formalizzato l’ingresso ucraino nell’alleanza del nord Atlantico. Per statuto costitutivo, la NATO non ha potuto rispondere alle ingerenze filorusse nel Donbass e non l’ha fatto ma è stato sufficiente lo spauracchio dell’ingresso ucraino nell’Alleanza del Nord Atlantico a far scoccare la scintilla dell’ultima ratio russa.
2. Gli accordi di Minsk: dialogo NATO - Patto di Varsavia.
Per porre fine alle ostilità militari e ad un’inquietante escalation NATO vs. “blocco orientale”, la comunità internazionale si sforzò di organizzare una trattativa tra le forze coinvolte direttamente ed indirettamente per raggiungere un accordo di pace ed una regolamentazione giuridica della regione.
Il protocollo di Minsk è il documento che sancisce quanto appena enunciato ed è stato firmato dopo numerose trattative tra rappresentanti dell’Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck (DNR), e Repubblica Popolare di Lugansk (LNR), tutti sotto l’egida moderatrice del OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa). Tale trattato si compone di 12 punti, qui di seguito elencati:
1. Assicurare un cessate il fuoco bilaterale immediato.
2. Garantire il monitoraggio e la verifica del cessate il fuoco da parte dell'OSCE.
3. Una decentralizzazione del potere, anche attraverso l'adozione di una legge ucraina su "accordi provvisori di governance locale in alcune zone delle oblast (regioni) di Doneck e Lugansk ("legge sullo status speciale").
4. Garantire il monitoraggio continuo della frontiera russo-ucraina e la loro verifica da parte dell'OSCE, attraverso la creazione di zone di sicurezza nelle regioni di frontiera tra l'Ucraina e la Russia.
5. Rilascio immediato di tutti gli ostaggi e di tutte le persone detenute illegalmente.
6. Una legge sulla prevenzione della persecuzione e la punizione delle persone che sono coinvolti negli eventi che hanno avuto luogo in alcune aree delle oblast (regioni) di Doneck e Lugansk, tranne nei casi di reati che siano considerati gravi.
7. La continuazione del dialogo nazionale inclusivo.
8. Adozione di misure per migliorare la situazione umanitaria nella regione del Donbass, in Ucraina orientale.
9. Garantire lo svolgimento di elezioni locali anticipate, in conformità con la legge ucraina (concordato in questo protocollo) su "accordi provvisori di governo locale in alcune zone delle oblast (regioni) di Doneck e Lugansk" ("legge sullo statuto speciale").
10. Rimozione di gruppi illegali armati, attrezzature militari, così come combattenti e mercenari dal territorio dell'Ucraina sotto la supervisione dell'OSCE. Disarmo di tutti i gruppi illegali.
11. Adozione dell'ordine del giorno per la ripresa economica e la ricostruzione della regione di Donbass, in Ucraina orientale.
12. Garantire la sicurezza personale dei partecipanti ai negoziati.
Entrare nel merito dei 12 punti di Minsk è piuttosto semplice, sono chiari ed inequivocabili, tuttavia alcuni di questi sono da intendersi come linee guida che necessitano di attuazione e rinnovo continuo, nonché di un confronto su base feed-back delle forze in campo e che hanno sottoscritto il trattato stesso: ad esempio, i punti 9 e 10, sulla base di quanto sta succedendo in questi giorni e delle documentate azioni di guerriglia del passato recente, è palese che non sono stati attuati o, se lo sono stati, non di certo in maniera efficace.
È inutile, oggi, recriminare: la realtà fattuale ci impone di analizzare lo scacchiere internazionale attuale e cercare di porre rimedio ad una situazione sull’orlo del collasso, con le conseguenze che tutti immaginiamo.
3. Tutto inutile
Il 24/02/2022, l’esercito russo ha varcato il confine ucraino e l’artiglieria ha iniziato i bombardamenti su obiettivi definiti strategici ma non nella regione del Donbass; le notizie si sono susseguite incessanti e sono stati confermati i bombardamenti su Kiev, la capitale, Odessa, città portuale e Kramatorsk, città nell’est dell’Ucraina che funge di fatto da capitale amministrativa delle regioni orientali. Fino al giorno prima si poteva pensare ad un’ingerenza russa nelle faccende ucraine in riferimento al movimento indipendentista russofono che dal 2014 ha intrapreso azioni di guerriglia: un’ingerenza sfociata in una guerra lampo con invasione annessa che se pur grave e totalmente irrispettosa del principio di sovranità nazionale, non è paragonabile a ciò che da poche ore sta accadendo.
Putin ha spiazzato tutti. Almeno, tutta l’opinione pubblica.
Come già sottolineato, è presso ché impossibile sviscerare tutte le dinamiche nazionali ed internazionali, concordati, trattati commerciali e di reciproca cooperazione, alleanze paramilitari e di qualsiasi genere ma la cosa che adesso si può affermare è che l’attacco ordinato dal Cremlino fa ripiombare l’Europa indietro di mezzo secolo, nel periodo di piena guerra fredda che però, questa volta, non è fredda, proprio perché da 2 anni ad oggi è in atto un’invasione, uno scontro armato e perché non possiamo parlare di contrapposizione tra due blocchi definiti e composti da Stati legati tra di loro da trattati ed accordi conosciuti ai più: l’Ucraina non fa più parte del blocco sovietico, allo stesso modo della Bielorussia che però ha concesso al passaggio di truppe russe per l’ingresso in territorio ucraino. La Russia ha sciolto il Patto di Varsavia ma continua ad esercitare influenze nei paesi confinanti, la NATO esiste ancora ma non ha preso posizione contro ciò che accade, l’Unione Europea si espressa nelle parole del Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen intimando a Vladimir Putin di non sottovalutare la potenza delle democrazie occidentali, gli Stati Uniti d’America concentrano truppe al confine, la Cina tace…e chissà quante altre posizioni unilaterali si potrebbero elencare.
Non è di certo intenzione affermare che “era meglio prima” perché valori come Democrazia e Libertà sono sempre il meglio, ci si vuole soffermare solo su una possibile interpretazione dello scacchiere internazionale, disgregato, più o meno interessato e le cui mosse sono imprevedibili ed a tal proposito occorre sottolineare che la Russia è terra di scacchisti.
4. Obiettivo “instabilità”.
Gli accordi di Minsk sono stati il palese tentativo di dare stabilità ad una regione ed una base di regole condivise volte al dialogo ed alla cooperazione, nonché la ristabilizzazione di pace e sicurezza per la popolazione, il che costituisce l’unica possibilità per il progresso, nel senso ampio del termine. Subito dopo la firma, si è però assistito al graduale tentativo di sgretolamento di tale stabilità: il progressivo foraggiamento della guerriglia separatista, al quale il governo di Kiev ha potuto rispondere solo con la forza, ha riportato la regione del Donbass nell’instabilità e nell’impossibilità per la politica ed il governo centrale di realizzare provvedimenti volti al progresso ucraino: è bene ricordare che la regione in questione è ricca di risorse minerarie e carbonifere e ciò, nel piano di ripresa economica di Juščenko avrebbe sicuramente giocato un ruolo fondamentale di approvvigionamento di merce di scambio.
L’attacco totale di oggi amplia l’orizzonte di lettura e la conferma arriva dal cuore dell’Europa, dalle parole di Ursula Von Der Leyen: ”Putin vuole colpire la stabilità dell’Europa”.
Il processo d’integrazione europea, la cooperazione tra i paesi membri e la conseguente crescita su base democratica, che a sua volta alimenta la stabilità del vecchio continente, è la vera chiave del successo in questa situazione: un’eventuale contrapposizione militare porterebbe un’escalation del clima di tensione con conseguenze inimmaginabili; le sanzioni varate dal Consiglio Europeo che hanno colpito il sistema bancario russo impedendogli di finanziarsi su mercati esteri, il probabile embargo delle merci ed altre misure restrittive di carattere economico e finanziario, pur rappresentando una forma di guerra, indiscutibilmente non fanno morti e dimostrano, altrettanto indiscutibilmente, che l’Europa è uscita dal XIX secolo e dalla contrapposizione ideologica. L’Unione dimostrerà che il potere non è una questione di espansionismo e di potenza militare ma che il dialogo e la cooperazione possono essere di tutti e per tutti, come lo sono stati fino a due anni fa ma che, alla luce di un deliberato atto di violenza armata, si deve essere fermi e decisi nell’interrompere il dialogo e prendere una posizione netta: non è un muro e non è un confine invalicabile, perché la democrazia ascolta sempre tutti coloro che sono disposti ad intraprendere un dialogo serio.
SLAVA UKRAINI!
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