Tra il 29 ed il 30 Settembre 1941, nei pressi di Kiev, oltre 33000 Ebrei furono trucidati dalle truppe SS durante la campagna d’invasione nazista in Europa orientale: 33771 i cadaveri rinvenuti nell’enorme fossa comune teatro dell’evento preludio della soluzione finale. La storia consegna quest’evento come il “massacro di Babij Jar” e per dare rapidamente l’idea della frenesia di quelle 48 ore basti pensare che vennero assassinati ininterrottamente circa 12 esseri umani al minuto per 48 ore.
Nella consapevolezza che la soluzione finale è proporzionalmente molto più grande di quanto appena narrato, c’è un aspetto che discrimina l’eccidio di Babij Jar: la personalizzazione dell’assassinio: nei campi di concentramento, l’omicidio avveniva senza che i carnefici guardassero le vittime mentre morivano, durante una fucilazione sì.
E fucilare 12 esseri umani al minuto per 48 ore di fila lascia il segno.
Molti soldati tedeschi SS complici nei fatti di Babij Jar riportarono gravi disturbi mentali, alcuni di loro arrivarono al suicidio, sia nelle ore immediatamente successive, che dopo svariato tempo: stiamo parlando di ragazzi in età giovanile, indottrinati dal regime secondo dogmi idealistici di stampo razziale e violento, da un gruppo di lucidissime e finissime menti che hanno abilmente “venduto” contenuti ideologici per i quali è difficile trovare aggettivi.
La domanda è da porsi in un’ottica umana, ovvero del riconoscimento dell’essere umano in quanto tale, a prescindere da tutto: è da considerarsi un atto di guerra ciò che è stato appena narrato? Oppure un vero e proprio olocausto psicologico giovanile?
L’armistizio dell’8 Settembre è interpretabile allora come la panacea di un male la cui disumanità subdolamente s’insinuò nelle menti di molti giovani (tutti?), i quali, di fronte ad una radio o ad una pagina di giornale, appresero di ciò che fu firmato dal Maresciallo d'Italia Badoglio: erano idealisti puri? Erano ragazzi indottrinati? Erano stati cooptati da una situazione personale di sbando e disagio? Non importa. Da quel momento si liberarono da ogni divisa, liberi di non sparare più un colpo contro un loro coetaneo con il quale, da vivi, avrebbero potuto condividere vita e non morte, costruzione e non distruzione, pensieri liberi, parole critiche dell’altrui pensiero in un momento di crescita condiviso.
Possiamo concludere che l’orrore è la guerra in se stessa, la distruttrice di ogni umanità, il mezzo del dominio dei corpi e delle menti, l’espressione privilegiata di quella forma di governo che la nostra Costituzione combatte con tutte le sue forze: il Totalitarismo. Con un colpo di sciabola di stilografica, l’8 Settembre 1943, tutti noi dichiarammo guerra all’oppressione e pace ad ogni essere umano in quanto tale, a prescindere da tutte le sue idee, inclinazioni e caratteristiche; da allora, da quell’8 Settembre 1943, iniziò la ricostruzione di una Nazione, di un Popolo, di una terra martoriata e devastata ma, soprattutto, del senso di umanità, che, pur passando dall’orrore della guerra e dall’ancor più disumana guerra civile che diede il più bieco sfogo all’odio ed alla violenza, non è mai cessato di esistere.
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