L’otto settembre del 1943, avevo da poco più di un mese compiuto 8 anni ed ero in vacanza nel paese natio di mia madre a Lozzo di Cadore, provincia di Belluno, con mia zia Carolina e mio cugino Giovanni. Mia madre lavorava alla Pirelli Bicocca e mio padre alla Breda Siderurgica.
Quel giorno, in dialetto cadorino che è definito anche “ladino di mezzo”, la zia disse “Zelindoo, Giovanii, i g’ha fato l’armistizzio, la guera la ze finida, ciapa sti schei, va a tolee un tin de caramele”.
Era quello il festeggiamento, a base di caramelle, della zia che credeva fosse veramente finita la guerra: infatti il 25 luglio ricordo, mi disse: “i g’ha biciou do’ chel porco del Duce”, ed anche se i miei parenti, compreso il nonno materno, erano tutti antifascisti, non ci furono per l’occasIone particolari festeggiamenti.
Più avanti negli anni, ho dedotto che ciò derivasse dal fatto che il maresciallo Badoglio, incaricato dal Re a presiedere il Governo aveva proclamato “La guerra continua a fianco dell’alleato germanico” e che di conseguenza non c’era nessuna Pace da festeggiare.
Purtroppo, l’8 settembre non segnò la fine della guerra: dovettero passare quasi altri 20 mesi prima della Liberazione del 25 Aprile 1945, nel corso dei quali vi fu l’invasione e le barbarie Nazi-Fasciste, la lotta di Liberazione e il lutto in famiglia per la morte a “Dachau” in Germania del fratello di mio padre, lo zio Gaspero, arrestato, torturato e deportato a seguito degli scioperi della “Breda” del marzo 1944.
Zelindo Giannoni
Monza, 8 Settembre 2023
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