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scuolaLo scorso giovedì 4 marzo, anticipando di poco più di una settimana il passaggio della Regione Lombardia dalla zona arancione rinforzata alla zona rossa, la giunta regionale Lombarda ha decretato il lock-down per le scuole di ogni ordine e grado, dalle scuole dell’infanzia all’università, ad esclusione dei servizi di asilo nido.

Tale ordinanza interpretava in maniera particolarmente restrittiva una possibilità, scritta nel D.P.C.M. del 3 marzo, che prevedeva questo strumento per le regioni riconosciute in “zona rosse”, oltre alla possibilità di misure più restrittive anche in caso di “arancione rinforzato” nelle provincie in cui l’incidenza del contagio superasse una certa soglia, oppure in presenza di focolai di “varianti”. Tale prescrizione è stata applicata quindi il giorno 4 marzo, con un preavviso inferiore alle 24 ore, sull’intero territorio regionale Lombardo. A partire poi da lunedì 15 marzo tale decisione è stata “assorbita” dal passaggio in zona rossa, evento che ha causato, come noto, la chiusura anche dei servizi di asilo nido.

Venerdì 12 marzo ho contattato Paolo Pilotto, vicepreside del liceo Classico Zucchi e già assessore all’istruzione per il comune di Monza, attualmente consigliere comunale del Partito Democratico, per chiedere alcuni chiarimenti sulla questione dell’accoglienza in presenza, da parte delle scuole primarie e secondarie, degli alunni e delle alunne con disabilità o con bisogni educativi speciali.

Le domande poste sono state queste, da calare nella realtà di Monza:
- le scuole sono “obbligate” ad accogliere gli alunni di queste categorie?
- hanno le risorse per farlo?
- lo stanno facendo?

Ecco le risposte di Paolo, che ringrazio per la disponibilità e il tempo dedicato durante la sua “pausa pranzo” di venerdì scorso.

Ciao, ho letto e ora ho un po’ di tempo per risponderti. I concetti che hai esposto sono giusti. Ordinanze e decreti dicono alle scuole: “tutti a casa, didattica a distanza per tutti, però fate particolarmente attenzione agli alunni con bisogni educativi speciali (BES)”. I bisogni educativi speciali possono avere una “gradazione”. Ci sono alunni che hanno specifiche certificazioni di disabilità, per altri ci sono indicazioni di specialisti rispetto a particolari esigenze o necessità, per altri ancora sono i consigli di classe a individuare specifici bisogni educativi condividendoli con la famiglia e preparando un piano didattico personalizzato.

Dentro la gamma delle esigenze, qual è l’atteggiamento che le scuole devono tenere?

L’atteggiamento è che, individuato e ponderato il bisogno, si accolgano a scuola questi ragazzi, anche se non obbligatoriamente per tutti i giorni della settimana. Alcune scuole, per evitare che l’esperienza diventi positiva sì, in presenza, ma solitaria, emarginante, associano a questi bambini e bambine, ragazzi e ragazze, anche uno, due o tre compagni di classe. Non esagerando, perché occorre fare attenzione: altrimenti si va in aperta violazione dei motivi per cui si devono tenere a distanza i ragazzi.

Normalmente possono essere due le vie: la scuola individua già da subito il bisogno in alcune persone e fa la proposta alla famiglia: “cara famiglia guarda che noi pensiamo che forse potrebbe essere opportuno che tuo figlio frequenti in presenza”, oppure è la famiglia fa la richiesta alla scuola.

Tanto più sono evidenti, nette, spesso certificate le situazioni, tanto più è facile che sia la scuola stessa a partire immediatamente e chiamare la famiglia, chiedendo se è d’accordo, organizzandosi.

Nei casi invece di bisogni che si presentano come più “leggeri” o meno rilevanti rispetto alla prassi quotidiana - perché occorre tenere conto che la varietà dei bisogni è molto ampia - è più comune che sia la famiglia a rappresentare le necessità dell’alunno.

In entrambi i casi la scuola non può non organizzarsi. Ripeto, non è obbligatoria la totalità dei giorni della settimana, ma l’indicazione non può essere elusa, almeno per le situazioni più significative.

Ad esempio, nel caso della mia scuola cerchiamo di lavorare su 2-3 giorni tenendo conto delle esigenze degli alunni, delle difficoltà di spostamento, della disponibilità delle famiglie ad assecondare questa possibilità.

In questo caso ci sono due possibilità prevalenti che una scuola ha:

  • se i ragazzi hanno la presenza di insegnanti di sostegno e/o di educatori, allora i ragazzi possono essere presenti a scuola con l’insegnante di sostegno e/o l’educatore (quando c’è), eventualmente con quei 2-3 compagni di cui dicevamo sopra, e lavorano in classe mentre il resto della classe è a distanza e il resto degli insegnanti a distanza. Infatti molte scuole hanno inviato anche gli insegnanti a non fare lezione da scuola, tenendo a loro volta le attività didattiche a distanza, per ridurre l’utilizzo dei mezzi di trasporto e le occasioni di contatto, considerato che gli alunni sono a casa.

In quel caso, presente l’insegnante di sostegno, si individua un’aula, si attivano gli strumenti di comunicazione e si fanno le lezioni. In alcune scuole 3-4-5 ore di lezione. In non poche scuole, come nella mia, ogni mattina si tengono lezioni per tutte le ore previste dall’orario scolastico, con alcuni stacchi fra un’ora e l’altra per consentire ai ragazzi di riprendere fiato, allontanare gli occhi e il corpo dal PC, evitando alcuni effetti negativi da sovraesposizione al lavoro di fronte al monitor.

Una nota: l’insegnante di sostegno è per la classe, nel caso in cui nella classe sia presente una situazione di bisogno. L’educatore è specifico sulla persona. Quando sono previsti entrambi sono spesso contemporaneamente presenti nell’aula.

  • Se le classi non hanno l’insegnante di sostegno o non è presente l’educatore, occorre organizzare una giornata di scuola costruendo la giornata stessa sulle persone necessarie. Tendenzialmente per una scuola superiore, per cui è normalissimo avere in una giornata 5/6 o più ore di lezione con docenti diversi, quel giorno si invitano a scuola gli alunni e con loro saranno i diversi professori ad entrare nell’aula dedicata alla persona con BES, alternandosi, facendo lezione a questi alunni in presenza e al resto della classe collegata, per poi spostarsi per le altre ore di lezione in altre aule della scuola a loro assegnate, per tenere da lì l’attività didattica per altre classi che hanno in orario.

È un “meccanismo” impegnativo perché per seguire 7 o 8 ragazzi con BES arrivi a impegnare moltissime aule in un giorno, ma è un meccanismo gestibile.

Noi siamo partiti dal primo giorno. Non con tutti, perché a seconda del quadro orario, secondo i tempi, secondo l’organizzazione fatta dal coordinatore ti devi organizzare, comunque fin da venerdì, primo giorno di ripresa della didattica a distanza, eravamo operativi su questo.

Avevamo ricevuto l’ordine alle 12 di giovedì 4 marzo, nel pomeriggio ci siamo organizzati e avevamo una situazione abbastanza chiara e venerdì mattina abbiamo cominciato. Molte scuole elementari hanno lavorato anche di domenica per essere pronte ad obbedire alle ordinanze da lunedì.

Cosa stiamo facendo in questi giorni? Ad oggi siamo a più di una settimana giorni dalla ripresa di questa situazione. In questi giorni, tutti i giorni, come vicepreside tutti i pomeriggi ho aiutato a organizzare le giornate successive, costruendo progressivamente la settimana. Ad esempio, da ieri abbiamo dei fogli complessivi riepilogativi dell’intera settimana e per ogni giorno indichiamo nomi e cognomi dei ragazzi presenti, docenti, aule assegnate, materiali didattici necessari.

Una cosa che ad esempio facciamo, e questo è un punto importante, quando serve, è creare intorno alla persona o alle persone con certificazioni o in generale BES di una determinata classe, una rotazione di compagni. Per cui può capitare che per le due o tre volte nella settimana in cui l’alunno viene a scuola si trovi con tre compagni un giorno e tre compagni un altro, perché la varietà può essere uno stimolo. Oppure, se riteniamo che invece occorra più costanza o più omogeneità nei rapporti, nella stessa settimana saranno presenti le stesse persone.

Ecco, questi sono solo esempi, spaccati di realtà che ti ho dato rispetto ad una situazione in cui è solo la ragionevolezza e l’intelligenza con cui ti metti a lavorare su queste cose che poi consente la risposta giusta alla norma che, astrattamente, prescrive una specifica azione. Ci vuole un po’ di testa sulle spalle e attenzione alla persona per capire quale sia l’abito giusto che le devi cucire addosso, perché ad esempio la stessa presenza a scuola non sia paradossalmente una stigmatizzazione.

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