Parlando con molti elettori, iscritti e dirigenti del partito, emerge chiaramente che tutti si stiano chiedendo se, per tenere lontano il Mostro dalle poltrone del potere, non sia stato necessario trasformarci noi stessi in un altro genere di mostro, che potrebbe però rivelarsi a lungo andare egualmente pericoloso, per il partito in primis.
È un quesito che chiunque governi dovrebbe periodicamente porsi, perché governare richiede realismo, ma il realismo è nemico della coerenza, dei principi e di una identità politica chiara, definita e rappresentativa dell’elettorato a cui ci si è rivolti e a cui ci si vuole continuare a rivolgere.
Ogni tanto insomma ci si dovrebbe guardare allo specchio, soprattutto quando il compagno di Governo rappresenta tutto ciò che si è sempre combattuto, per tirare le somme, capire da dove si arriva, dove si vorrebbe andare e se la strada che si sta tracciando è coerente con gli obbiettivi che ci si è dati.
L’ultima legge di Bilancio apre molti interrogativi sulla natura della nostra azione politica.
Una legge che è senza dubbio frutto della necessità di tenere unita la maggioranza e disinnescare le opposizioni, ma che tradisce quello spirito che - pur nelle differenze - ci ha sempre contraddistinto come Centrosinistra, da ben prima che nascesse il Partito Democratico stesso.
Per dirla con Sabino Cassese “la legge di bilancio 2021 accolla alle generazioni future un debito aggiuntivo, acceso per finanziare in larga misura spese correnti, senza lasciare, a loro beneficio, almeno una dotazione di beni in conto capitale (scuole, ospedali, verde attrezzato, linee ferroviarie, uffici pubblici meno decrepiti)”. Insomma - termina il giudice emerito della Corte Costituzionale - un’ “apoteosi del corporativismo in salsa populista”, una legge degna del M5S insomma, ma non certo della forza politica a cui afferiamo noi tutti.
È una manovra che inaugura una stagione di bonus, che sono per loro stessa natura una misura fiscalmente regressiva, con buona pace dello spirito di progressività tanto caro alla nostra area politica e molto poco caro invece ai governi di berlusconiana memoria.
A nulla sono valsi i dossier dei Servizi Bilancio di Camera e Senato, che dovrebbero essere il fondamento di un’attività di verifica sistematica da parte del Parlamento e in particolare delle commissioni bilancio, e che eccepiscono almeno un’osservazione per la metà dei 210 articoli.
Come riporta l’Osservatorio dei Conti Pubblici di Carlo Cottarelli “le tipologie di osservazioni più ricorrenti possono essere raggruppate in alcune categorie di seguito illustrate:
- mancanza di elementi informativi;
- coerenza fra i tetti di spesa previsti e le finalità della norma;
- utilizzo effettivo pregresso di benefici o agevolazioni;
- mancanza di chiarezza su quali misure siano già scontate nel tendenziale;
- mancanza di informazioni per capire gli effetti differenziali sui diversi saldi di finanza pubblica;
- mancanza di un prospetto riepilogativo su spese e coperture pluriennali.”
Insomma non proprio dei nonnulla.
A leggere le dichiarazioni dello stesso Ministro Gualtieri e del suo Vice Misiani, si percepiscono chiaramente le difficoltà dei dei due validissimi rappresentanti del Partito Democratico al Governo rispetto ad una manovra che è stata partorita certamente dal loro dicastero, ma che è frutto di mediazioni interne alla maggioranza e con le opposizioni, sia nella fase prodromica, ma soprattutto nella fase di discussione parlamentare.
Una legge di bilancio è per definizione il documento politico di un Governo, ma risulta difficile sostenere che questa possa rispecchiare la visione del Partito Democratico e della sua storia.
Quindi va bene evitare che la Bestia possa tornare a sedere tra i banchi del Governo, ma cerchiamo di non morire di “governismo”, tradendo i nostri valori, i nostri principi e la nostra storia, che - per quanto eterogenei - hanno una solida base comune.
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