Il voto alle donne in Italia, pur soffiando proprio quest’anno le sue prime settanta candeline, può considerarsi una “creatura“ relativamente giovane: ma una creatura che, fin dall’inizio, ha inciso profondamente sulla storia e sul destino della Repubblica italiana che stava per nascere.
Sabato 25 giugno, in un incontro che si terrà alle 9.30 presso il Teatro Astrolabio di Villasanta - e al quale interverranno Alessia Mosca, Elena Centemero e Laura Barzaghi – ci sarà una importante occasione per parlarne insieme.
Come riconosciuto dagli studiosi, il ruolo delle donne nelle consultazioni del 2 giugno del 1946 - con il doppio voto per il referendum monarchia-repubblica e le elezioni politiche - fu determinante: votarono quasi 13 milioni di donne, uno in più degli uomini, e furono loro l’ago della bilancia nell’indirizzare verso la storia che tutti conosciamo un Paese che riemergeva appena da una guerra distruttiva e sciagurata.
Non è scorretto dire che, in un certo senso, le donne si siano conquistate sul campo il diritto di voto dando un contributo sostanziale alle lotte antifasciste e partigiane: ciò che per gli uomini era stato già sancito dalla legge come un “diritto di nascita” fu dunque per le donne il frutto di tante battaglie e di una partecipazione attiva alla causa della liberazione nazionale.
Ma forse non tutti sanno che, in un primo momento, per le donne fu previsto unicamente l’elettorato attivo e non anche quello passivo. Fu un emendamento bipartisan Togliatti-De Gasperi a porre rimedio alla clamorosa svista con la concessione alle donne anche del diritto ad accedere alle cariche elettive: anche se all’Assemblea Costituente furono solo 21 le rappresentanti elette - una percentuale di circa il 3,7 % sul totale - quella più che esigua minoranza fu pur sempre un punto di inizio.
In realtà la prima occasione di voto per le donne furono, prima del referendum e delle politiche, le elezioni amministrative del marzo-aprile ‘46, alle quali le elettrici parteciparono con una affluenza straordinaria dell’89% delle aventi diritto contribuendo all’elezione, in tutta Italia, di circa 2000 candidate, in larghissima misura nelle liste di sinistra.
L’”Unità”, in un editoriale pubblicato dopo la approvazione del decreto che concedeva il voto alle donne, definì l’avvenimento una “grande vittoria per la democrazia”, sottolineando nella “ventata di sano buon senso”, nel “maggior spirito di concretezza” e nella capacità di “conoscere e sentire più direttamente i bisogni più immediati dei singoli e delle famiglie” i più importanti contributi che ci si attendeva dalla partecipazione attiva delle donne nella vita politica e nelle istituzioni.
Misura, equilibrio e saggezza: visione non particolarmente originale riguardo alla funzione politica della donna nella società.
Già ne “Le donne all’assemblea” - una della più divertenti e pungenti opere teatrali del grande commediografo greco Aristofane - si narravano le vicende di un gruppo di donne dell’Atene del IV secolo a.c. che, convinte di essere in grado di governare la città meglio degli uomini, si erano organizzate per convincere gli uomini a dar loro il controllo di Atene: e, travestite da uomini, si erano insinuate nell'assemblea della città, convincendo gli uomini a votare il provvedimento che le faceva salire al potere.
Da “governatrici” della città avevano saggiamente deliberato, tra le altre cose, che tutti i possedimenti e il denaro – ciò che in sostanza scatenava da sempre i conflitti tra gli uomini – fossero messi in comune per essere amministrati saggiamente dalle donne.
Questa idea di una visione più saggia e meno conflittuale dei rapporti politici e sociali attribuita alle donne fu ripresa anche da Virginia Woolf, nel 1938, in un significativo saggio dal titolo “Le tre ghinee”.
La grande scrittrice immaginava che, in una Europa nella quale si annunciava una nuova, grande guerra, un avvocato anti-fascista le chiedesse un contributo per finanziare opere che scongiurassero il conflitto armato: lei, possedendo nella finzione 3 ghinee, suggeriva tre differenti opere da sovvenzionare a tal fine.
E di queste tre ghinee una era data per finanziare a un college femminile povero di mezzi e un’altra a un'associazione che favorisse l'ingresso delle donne alle libere professioni. Il tutto sull’assunto che le donne, anche in politica, non dovessero essere o diventare come gli uomini, ma che dovessero apportare il loro prezioso e originale contributo alla discussione politica.
Quale contributo peculiare e specifico le donne - intese non come singole figure di politiche o amministratrici, ma come “corpo sociale e politico” – abbiano dato nei 70 anni di storia che si sono succeduti da quel lontano 1946 richiederebbe un approfondimento che qui non è possibile fare.
Ma cito volentieri, in conclusione, un’intervista rilasciata lo scorso marzo da Hillary Clinton a Time e pubblicata in Italia dalla rivista Left. Alla domanda della giornalista Joy Newton-Small che le chiedeva se, secondo lei, le donne governano in modo differente dagli uomini, la candidata democratica alla Casa Bianca, ha così risposto: “Penso che esistano dei temi sui quali noi donne riusciamo a sintonizzarci meglio. […] Credo che esistano delle aree di competenza in cui la nostra esperienza personale possa davvero renderci più recettive ai problemi. E sono convinta che gran parte di questo venga tradotto anche nell’attività di governo o in un approccio organizzativo diverso. Le donne in generale sono degli ascoltatori migliori, tendono a gestire le cose in modo più collegiale, si dimostrano più aperte alle nuove idee e a far funzionare le cose in modo che sembra portare a risultati vincenti. Questa almeno è la mia esperienza”.
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