Le elezioni amministrative del 5 giugno hanno confermato che in Italia il tripolarismo è un fenomeno destinato a durare, almeno fino alle prossime elezioni del 2018. Nessuna delle tre aree è riuscita a sfondare a livello nazionale al primo turno, chi poi andrà a governare in seguito ai ballottaggi del 19 giugno è di importanza marginale per l’analisi che segue.
I “discussi” dati dell’istituto Cattaneo dicono che, alla luce del campione delle elezioni, si ha: PD al 34,3%, centrodestra al 29,5% M5S al 21,4%
Il PD ha dimostrato che rimane una forza diffusa sulla nazione ma non è in grado di esserne il leader indiscusso come aveva fatto sperare due anni fa.
Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto un buon risultato a Roma e a Torino, ma fa una figuraccia a Milano e ha perso moltissimi voti rispetto alle europee 2014 negli altri comuni dove si è votato.
Il Centrodestra si è dimostrato un gigante dai piedi di argilla, troppo frammentato e indeciso non ha saputo mettere a segno punti importanti, tra cui Roma; a Milano, dove però si è schierato unito, ha mostrato tutta la sua potenza.
Se questo è il disegno della situazione politica italiana, vale davvero la pena, per centrodestra e M5S, di far naufragare la riforma elettorale, solo per mandare a casa Renzi?
Il piano delle opposizioni è stato dichiarato: votare NO alla riforma costituzionale, mandare a casa Renzi e il Governo e per mezzo di un Governo di unità nazionale, nominato dal Presidente della Repubblica, (a cui comunque i 5 stelle non parteciperebbero) scrivere una nuova legge elettorale.
Dato che questo programma è inverosimile, lo scenario più probabile è che se il Governo Renzi cadrà, nel 2018 si eleggerà la Camera con il sistema maggioritario dell’Italicum mentre il Senato sarà eletto con un sistema proporzionale puro, il che ci riporta dritti all’ingovernabilità del 2013 e ad alleanze e patti scomodi per tutti.
L’Italia non è nella condizione di sopportare un altro quinquennio di incertezza governativa, chiunque vincerà nel 2018.
Per la regola del complemento a uno, dai dati delle Amministrative sappiamo che il 65,7% della popolazione votante non è nostra sostenitrice. Si tratta di un dato da tenere bene in mente quando si propaganda per il referendum, dobbiamo far passare l’idea che un’alternativa al sì non c’è.
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