La cronaca in questi giorni continua a riproporci storie di donne massacrate ( si uso questo verbo senza alcun ritegno perchè di massacro si tratta) dai loro compagni, da quelli che un tempo si definivano “il loro amore”.
Ma quale amore può ucciderti? Quale amore può massacrarti di botte, bruciarti viva, buttarti in una fossa o in un pozzo ?
Quel che sta accadendo sempre più spesso negli ultimi anni, mesi e giorni deve farci riflettere sul rapporto uomo-donna, sulle relazioni sentimentali targate 2000, sul modo di rapportarsi delle persone.
Questo è un tema su cui molti sociologi e commentatori scrivono e riflettono da tempo. La filosofia dominante è quella del cosiddetto ‘amore liquido’, di un amore o di un rapporto amoroso che non riesce più a confrontarsi col tempo e con la realtà quotidiana, che non riesce più ad essere stabile ma che risente fortemente della fragilità dei nostri giorni in cui tutto sembra essere precario (dal posto di lavoro al posto al cinema), in cui tutto risponde alla filosofia “dell’usa e getta”.
Come se non fossimo più in grado di impegnarci in nulla per sempre. Così, anche nei sentimenti, domina questo senso di incertezza, precarietà, mero consumismo.
L’amore come oggetto, come bene di consumo, come liquidità.
Ma se da una parte sembrerebbe che le persone non sono più in grado di impegnarsi, abbiano paura di perdere la propria libertà all’interno di un legame stabile e duraturo, dall’altra parte questa fragilità relazionale caratteristica dei nostri tempi induce la maggior parte di noi (e vorrei aggiungere buona parte degli uomini) alla incapacità di accettare l’autonomia e la soggettività (quell’essere persona con una propria identità).
Così i femminicidi ci inducono a riflettere sul peso che sia la mercificazione delle persone sia questa forte materializzazione dei sentimenti possano avere sul rapporto uomo-donna negli anni 2000.
Se le persone infatti sono viste come mero oggetto di consumo, come prodotto, come status symbol di prestigio da esibire e mostrare, diventa facile che le medesime possano essere buttate via, sfregiate, spezzate, negate nel momento in cui non servono più o quando manifestino la loro autonomia rispetto al nostro possesso.
Spesso tutto questo si trasforma in una vera insofferenza, un disagio forte soprattutto maschile nel non riuscire più gestire i conflitti, le sofferenze i problemi che una convivenza porta inevitabilmente nel corso della sua storia. Una mancanza di comunicazione, di confronto sano, di rispetto dell’altro fino alla volontà di negazione totalizzante del problema e dell’altro, di ripudio, di chiusura totale fino all’annientamento dell’altro. Ti uccido per non pensare. Ti elimino perché non mi servi più anzi stai diventando un problema. Ti uccido perché pensi, non sei più al mio servizio, non riconosci più la mia potenza maschile. La donna alla stregua di un oggetto non più solo sessuale ma anche fisico e mentale.
Il risultato di tutto questo si traduce purtroppo e spesso in femminicido ed è proprio questo triste fenomeno che ci mostra il lato oscura di questa società.
Ci appare dunque sempre più chiaro come per combattere questo fenomeno non potranno essere più sufficienti nuove leggi, punizioni più severe, controlli più assidui ( anche se necessari) ma la consapevolezza che ci aspetta una battaglia educativa culturale e valoriale ben più ampia del campo legislativo.
Interessante a questo riguardo i risultati di un sondaggio promosso dalla SWG che individua alcuni nodi cruciali della questione e ne riporta le risposte.
Vediamole in modo più organico ed ordinato.
La prima domanda chiedeva se secondo l’intervistato il femminicido fosse un emergenza nel nostro paese. Colpisce che ben l’82% delle persone intervistate leggano questo fenomeno come una reale emergenza e come ben l’82% delle donne intervistate la ritenesse tale.
la seconda domanda chiedeva quali fossero le cause principali della violenza contro le donne rispetto ad alcuni parametri ben definiti e nell’ordine sono stati ritenuti maggiormente responsabili: il degrado sociale, l’abuso di sostanze, i problemi maschili di fronte all’emancipazione femminile, la predisposizione genica al comportamento violento, i mezzi di informazione, l’essere stati vittime di violenza da bambini, alcuni comportamenti femminile, altro. Il dato più eclatante è la quasi perfetta coincidenza di percentuali tra uomini e donne nel dare le risposte.
Interessante anche la risposta al terzo quesito sulle possibili giustificazioni alla violenza verso le donne: ben il 79% ha risposto che non ci sono mai circostanze che giustificano la violenza ( 77% uomini, 80% donne).
Ma il punto su cui vorrei soffermarmi maggiormente invece è quello relativo a cosa fare per affrontare il problema. Positivo infatti che al secondo posto nella scala delle possibili riposte e soluzioni si trovi la richiesta di insegnare ai giovani il rispetto reciproco. Torniamo dunque a quella consapevolezza di cui si parlava prima di una battaglia culturale e valoriale da cominciare il prima possibile.
Da sottolineare anche il sentimento di isolamento in cui quasi il 50% delle donne sente di vivere spesso o quotidianamente, indice di un allentamento sempre più profondo tra mondo maschile e nodo femminile di cui si trattava prima, di quella difficoltà di instaurare rapporti reali, duraturi, impegnativi.
L’ultima domanda infine riguardava la percezione dell’aumento delle violenze verso le donne: qui lo scarto delle risposte date dagli uomini rispetto alle donne è alto, quasi un 17%. Per gli uomini la violenza non è aumentata ma se ne parla di più mentre per le donne è aumentata notevolmente nel corso di questi anni.
Concludo questo mio breve articolo sottolineando come sia importante questa diversa percezione del fenomeno perché ci riconduce ancora una volta su quell’isolamento, su quel divario sempre più forte che sta caratterizzando i mondi femminili e maschili.
Cosa fare? Come sempre cominciamo dai giovani, dai bambini, dal futuro. Ricominciamo ad insegnare una parola dimenticata: rispetto dell’altro.
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