Se invito a cena un vegetariano – al vegano non ci posso proprio arrivare – è evidente che, per ragioni di ospitalità, di rispetto delle sue scelte etiche o salutistiche, quando non anche di comune buon senso – certo non gli porterò in tavola una bistecca alla fiorentina.
Questo non dovrebbe tuttavia impedirmi di cucinare la succulenta pietanza per me e per tutti gli altri miei ospiti carnivori: e ciò per la banale quanto evidente ragione che il diritto di chi sceglie di non mangiare carne perché lo ritiene sbagliato non è, anzi, non deve essere più degno di considerazione e di rispetto del diritto di mangiarla per chi, al contrario, sceglie di farlo per ragioni di ogni tipo, salute o puro piacere che sia.
Il rispetto di un diritto altrui non può mai passare per la negazione di un diritto degli altri.
Tradotto nell’attualità: il rispetto delle convinzioni etico-religiose della delegazione iraniana del presidente Rouhani non doveva passare per la negazione del nostro diritto di non vedere occultata - fosse anche per soli 5 minuti -la cultura della quale facciamo parte.
Il presidente iraniano, richiesto in conferenza stampa di commentare l’episodio della copertura delle statue del Campidoglio durante la sua visita, ha dichiarato di non averla “sollecitata” in alcun modo – né direttamente né indirettamente - ma ha aggiunto – e qui scatta il trappolone della blandizie che tanto solletica il nostro narcisismo – di non essersi stupito della scelta fatta dalle autorità in considerazione del rinomato “senso di ospitalità” per il quale il popolo italiano è famoso.
Ma si è trattato di semplice, quanto discutibile, “senso di ospitalità” o vi è qualcosa di più ?
Che il rapporto con il fisico nudo - visto come fonte di peccato e degenerazione - non sia monopolio della religione e della cultura islamica è una verità difficilmente contestabile: qualcuno ha ricordato – per citare un esempio famoso - come, nel 1564, il Concilio di Trento decise di coprire le nudità del Giudizio Universale di Michelangelo con le orride lenzuolate che solo un provvido restauro ha infine eliminato dal capolavoro del genio fiorentino.
Ma, anche senza andar tanto indietro nel tempo – per scoraggiare quelli del “ma stiamo parlando del 1500, ora siamo nel 2000” - va ricordato come, non più tardi del giugno dello scorso anno, sempre “per rispetto” della sensibilità di qualcuno, nella laica Torino vennero coperti, in occasione della visita del Papa, i manifesti della mostra di Tamara de Lempicka.
Mi vengono allora da fare alcune considerazioni.
Di certo, se ci si scandalizza per Rouhani, non si può non fare altrettanto per l’episodio che ha visto coinvolto Papa Francesco: lo richiede la coerenza, perché non si possono usare due pesi e due misure a secondo delle convenienze politiche, con quel tipico approccio da tifosi accaniti per i quali se la palla era sulla linea di porta della mia squadra, allora “era chiaramente fuori dalla rete”, e era sulla linea di porta della squadra avversaria, allora “era entrata di almeno mezzo metro”.
Ma il punto centrale della questione non sono né il presidente iraniano, né il Papa: il problema siamo noi, la nostra cultura, anzi la nostra incultura intesa come l’incapacità di ricordare come proprio in quella nudità – che, impregnati di morale cattolica, liquidiamo, sia pure inconsciamente, come mera assenza fisica di vestiti – risiede e si concentra tutta la nostra anima di discendenti di quella cultura umanistica che abbiamo ricevuto in eredità dai Greci e dai Romani attraverso il Rinascimento.
Qualcuno si rammenta il perché le statue greche sono nude? Ancor meglio, gli zelanti censori che – pare nemmeno richiesti - hanno oscurato le statue del Campidoglio o i quadri Tamara de Lempicka se lo ricordano, ammesso che lo abbiano mai saputo?
Il nudo rappresentava, nell’arte greca classica, il raggiungimento dell'armonia di corpo ed anima, segno dell’integrità morale, massima rappresentazione possibile dell'ideale - nel senso di bene- come principio o valore etico da perseguire: non vi era nulla di voyeuristico o di banalmente materiale e sessuale nel nudo dell’arte classica.
Quelle statue, esattamente come le vediamo ancora oggi, sono l’emblema della nostra cultura che, se vogliamo sia rispettata dagli altri, dobbiamo essere i primi a tutelare. Sempre.
Il rispetto di quello che siamo, oltre che a noi stessi, lo dobbiamo ancor più a Khaled Asaad, l’eroico curatore del sito archeologico di Palmira che, a 82 anni, a prezzo della vita, si è prodigato per sottrarre alla furia dell’IS centinaia di statue nascondendole poi in un luogo sicuro.
Non possiamo piangerne la morte, esaltandone il sacrificio, e poi coprire le statue per salvare le quali lui non ha esitato a rimetterci la vita, guadagnando – a parole - la nostra ammirazione e gratitudine.
Non possiamo fargli un torto simile. Per nessuno, né per Rouhani, né per Papa Francesco.
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