“Non si può chiedere ai cittadini di non avere paura, non saremmo umani.
Di questa paura dobbiamo avere rispetto e dobbiamo lavorare per costruire proposte e azioni concrete che possano acquietarla nel profondo”
In mezzo a tanto rumore, reportage, informazione, video, foto, interviste. In mezzo a tante parole, che ci hanno travolti negli ultimi giorni, le parole in cui mi sono riconosciuta le ho trovate in un articolo di inizio settimana, di Emanuele Trevi.
Come ricomincia la vita a Parigi?", inizia così. Ricomincia, nonostante.
Non dobbiamo permettere alla paura di entrare, non dobbiamo cambiare le nostre abitudini di vita, non dobbiamo rinunciare ai nostri valori, non dobbiamo... Tutto molto vero. E capisco che sia compito della politica, in questo momento, essere guida. Confortare il proprio popolo, esortarlo a ricominciare a camminare nella giusta direzione. E' vero, lo hanno detto tutti i commentatori ma, del resto, è stato evidente dal primo momento: l'obiettivo era paralizzarci. Colpire al cuore nei momenti e nei gesti ordinari che, senza che oramai lo si realizzi a livello consapevole, concretizzano nello scorrere delle nostre vite grandi libertà che qualcuno, prima di noi, ha conquistato, per noi. L'obiettivo era la paura ed è vero, non possiamo lasciarli vincere.
Ogni cosa richiede il suo tempo e non credo che ignorare questa necessità possa portare a qualcosa di costruttivo. Lunedì abbiamo ricominciato le nostre vite, tutti i cittadini, di tutta Europa, sono usciti di casa con un peso nel cuore. Colpendo Parigi, hanno colpito tutti noi.
Da dove ripartire?
Credo sia opportuno, in primo luogo, che la politica sia all'altezza del suo ruolo e che, ora come mai, riesca a elevarsi al di sopra di polemiche, proclami e dichiarazioni avventate. Abbiamo una responsabilità enorme, che temo molti abbiano dimenticato.
Secondo, credo sia opportuno ascoltare le persone. Le loro paure, le loro domande, la loro richiesta di sicurezza così come la loro richiesta di tempo. L'Europa è stata colpita a cena in un ristorante del centro, al bancone di un caffè, durante un concerto, nel mezzo di una partita. Non si può chiedere di non avere paura, non saremmo umani. Di questa paura dobbiamo avere rispetto e dobbiamo lavorare per costruire proposte e azioni concrete che possano acquietarla nel profondo.
Infine, ripartiamo dall'Europa. Dall'Unione europea, di cui abbiamo scoperto l'importanza, che ci ha fatto il dono di sessant'anni di pace e che oggi deve ammettere di essere in guerra. Una guerra nuova, sconosciuta, non contro uno Stato ma contro un gruppo organizzato e militare che oramai ha penetrato in maniera inquietante i nostri Paesi, che recluta i nostri ragazzi, che utilizza strumenti ai quali non eravamo preparati, per i quali ci dobbiamo attrezzare.
Prima di tutto, con un servizio di intelligence europeo: mentre noi siamo così legati ai nostri 28 confini nazionali, dall'altra parte abbiamo un soggetto che si muove perfettamente in Rete, arrivando ovunque e organizzando uomini e strategie in più Paesi contemporaneamente. Soprattutto, però, dai valori sui quali l'Europa è stata fondata: l'inclusione, l'uguaglianza di opportunità, l'integrazione, la pace. Non possiamo passare sopra al fatto che molti degli attentatori erano europei, francesi. Non possiamo fingere che non esista un problema delle periferie, intese in senso geografico ma non solo. Non possiamo ignorare i campanelli d'allarme che suonano a casa nostra, illudendoci che la causa di tutto risieda al di fuori dei nostri confini.
Niente, di ciò che è accaduto a Parigi, è comprensibile, semplice, chiaro. Siamo nel mezzo di una situazione complessa, che richiede prima di ogni altra cosa riflessione, analisi, studio.
Serve silenzio. Per piangere. Per pensare. Per agire
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