In questi giorni di celebrazione dei 100 anni dall’ inizio della Grande Guerra, sono andato a rileggermi il diario che papà Umberto ci ha lasciato, ricostruendo gli avvenimenti grazie alla sua memoria eccezionale. Forse la prima volta l’avevo letto in modo frettoloso, ma mi sono stupito di trovare una prosa scorrevole ed efficace . Sono gli occhi di un bambino che vedono tutto attorno accadere cose molto più grandi di quelle del piccolo mondo di un paesino di montagna, dove la vita era ancora grama – vedi l’episodio dei fondi di caffè - che diventa improvvisamente uno dei teatri più cruenti della guerra.
Sono come piccole pennellate che ricreano, senza retorica, la drammatica realtà. Come l’arrivo dei soldati italiani che occupano tutti gli spazi, compresiquelli dei vicini di casa ( il Teco, il Menelo, ecc.). Come le prime granate che colpiscono Asiago, e segnano l’inizio della loro vita di profughi.
“ il 24 maggio 1915 scoppiò la guerra contro l’Austria.
Il mattino presto sentii il cannone. Dal forte Verena sparavano verso i forti austriaci di Busa Verle e Spitz Verle. Anche quei forti sparavano verso il Verena e dopo un po’ lo centrarono in pieno mettendolo fuori combattimento.
Nel frattempo ad Asiago arrivarono molti soldati che occuparono tutte le case vuote. Ce n’erano ai Ecchele, all’albergo Germania ( poi FADA ), in casa del Teco, in casa del Menelo ed infine nella stalla del Davide Muraro.
Noi ragazzi andavamo da loro all’ora di pranzo, per avere qualche pagnotta o del rancio. La cucina militare era sotto la tettoia dei Carisch, vicino al ruscello Rosa. Quando facevano il caffè, non avendo macinino, mettevano i grani in un sacco e con un bastone battevano per frantumarli; gran parte però restavano interi. Dopo averli bolliti, scartavano i fondi. Le nostre donne li raccoglievano e, dopo averli asciugati, li macinavano per bene, ottenendo una polvere di caffè ancora utilizzabile. Ricordo ancora il caffelatte che la mamma ci preparava, ed era un avvenimento per noi. Colazione con caffèlatte e pagnotta, anziché il solito mosa (1) e latte.
La mamma, per guadagnare qualche soldo lavava la biancheria ai soldati. Mio padre invece andò a lavorare per le fortificazioni che il nostro esercito stava preparando. Con una squadra di volontari scavava trincee alla cima Larici, oltre le linee italiane. Una notte gli austriaci se ne accorsero e cominciarono a sparare col cannone. Mio padre gridò agli uomini di correre tenendosi in alto e di non scendere verso valle. Li salvò, perché gli austriaci spararono proprio sul fondo valle, pensando alla via di fuga più logica.
Grazie a questo lavoro guadagnò una discreta cifra che, unita ad altri risparmi, gli permise di acquistare la casa del Toni Muraro, attigua a quella che già abitavamo. Purtroppo la godemmo solo 15 giorni, perché poi dovemmo fuggire.
Ad Asiago restammo per il primo anno di guerra, fino al 18 maggio 1916. Di quell’anno ricordo molte esperienze. Nei primi giorni di luglio apparve per la prima volta un aeroplano austriaco “Taube” (in tedesco = colomba, ma per noi voleva dire diavolo). I soldati avevano stabilito un osservatorio sul campanile, e con le campane davano segnali alla popolazione: 3 colpi della campana maggiore quando l’aereo appariva all’orizzonte, 9 colpi quando si avvicinava al paese. Ormai le campane non suonavano più per le funzioni religiose, ma solo per segnalare gli allarmi.
Vennero piazzati dei cannoni sul monte Katz. Sparavano a “sdrapnel” ( a mitraglia). Erano montati su una ruota, in modo da poter essere orientati verso l’aeroplano nemico. Ma erano poco adatti allo scopo, infatti non riuscirono mai a colpirlo.
Un altro tipo di difesa antiaerea lo fornivano i militari di un plotone della “territoriale” che, al suono dell’allarme, uscivano dalla stalla del Davide e correvano a ripararsi dietro le “laste” di pietra che delimitavano la strada della Lumera. Quando l’aeroplano era a tiro sparavano con i loro fuciloni “ Wetterli”. Si sentiva un lungo crepitio di colpi.
Finita l’incursione, e dopo che l’aeroplano aveva scaricato le sue bombe, noi ragazzi correvamo a raccogliere i bossoli delle cartucce sparate.
Anche le incursioni dell’aeroplano non erano molto efficaci . Solo una volta una bomba colpì di striscio una casa, facendo crollare un balcone. Una bomba incendiaria cadde vicino a casa nostra, ma non esplose. Ricordo di averla vista. Assomigliava a un “canfin”, cioè una lampada a petrolio.
Verso la contrada Costa fu costruito un hangar ed apparvero i primi aeroplani nostri. Venne inaugurato dal colonnello dei cavalleggeri Gabriele D'Annunzio. Noi ragazzi andammo a vederlo. C’erano aeroplani Caproni ed i francesi Farman.
Un giorno, mentre ero a scuola ( quarta classe elementare ) suonò l’allarme. I maestri ci fecero scendere in cantina. Proibito uscire. Ad un certo punto però venne qualcuno a dirci che era stato abbattuto un aereo. Nessuno riuscì più a trattenerci e corremmo a vedere l’aeroplano austriaco. Questo in verità era intatto, e sotto le ali, appese a dei ganci, pendevano 7 bombe. Sembravano delle grosse pere. Il pilota scese dall’aereo ed affrontò i contadini che erano corsi armati di forche e bastoni, estraendo la pistola d’ordinanza. Tra la sorpresa generale disse, in perfetto italiano, di essere trentino e di voler combattere contro gli austriaci. Gridò: “non avvicinatevi ed andate a chiamare i carabinieri. Voglio consegnarmi a loro”.
Una notte suonò l’allarme. Uscimmo di casa per rifugiarci, come di solito, sotto il fienile della stalla del Davide, imprecando contro gli austriaci che ci attaccavano anche di notte, quando sentimmo un rumore insolito. Era un dirigibile italiano che aveva perso la rotta e non sapeva di essere sopra Asiago.
Un’altra sera suonò l’allarme, ma questa volta non era l’aeroplano. Era scoppiato un deposito di granate, vicino alle scuole, dove era accampato un reparto di artiglieria da montagna.
Una mattina, con mia mamma, stavamo andando alla contrada Ave, dove avevamo affittato un campicello per coltivare patate quando, giunti vicino al ponte sul “Ghelpach” in zona Bellocchio, suonò l’allarme. Un aeroplano “Taube” volava sopra Cesuna. Improvvisamente si sentì un colpo e poi un altro e due colonne di fumo si levarono da due diversi punti del paese. E poi un terzo proprio in centro. Ad un soldato che si trovava in zona chiedemmo come poteva un aeroplano gettare bombe così da lontano. Rispose che non erano bombe da aereo, ma granate dell’artiglieria austriaca, perché nel frattempo i nemici si erano avvicinati. L’aereo segnalava le correzioni di tiro. Molte persone restarono uccise. Era il 16 maggio 1916 e cominciò la nostra vita da profughi.
Mio padre venne a prenderci e ci riunì tutti alla contrada Costa, nella casa dei nonni che, essendo a ridosso della montagna, era più riparata dai colpi. Molti si erano rifugiati lì, perché nel centro di Asiago continuavano a cadere granate.
Mio padre dovette poi lasciarci perché faceva parte, come volontario, del corpo dei pompieri e doveva prestare opera di soccorso. Raccontò di un ragazzino, il figlio del “Fossa”, che era rimasto sotto le macerie. Dovettero calarsi a testa in giù fra le rovine per liberarlo.
Nella nostra casa non era più prudente andarci, nemmeno per dormire. Mia mamma tremava dalla paura. Però, di sera tardi, papà tornava a prendere qualcosa e così tirammo avanti per tre giorni.
La popolazione fuggiva col treno o con carretti e cavalli, abbandonando quasi tutto e sperando di tornare entro pochi giorni. I militari infatti dicevano che gli italiani avrebbero scatenato una controffensiva per far retrocedere il nemico.
Intanto in paese continuavano a cadere colpi di cannone e scoppiavano molti incendi. Papà era molto impegnato nello spegnimento ed a prestare soccorso.
Il treno non arrivava più ad Asiago e non si trovavano più cavalli e carretti per trasportare anche le poche cose per sopravvivere.
Il 18 maggio, con un carretto tirato da un asino, trovato per caso, alla mattina presto, partimmo con quella poca roba che potevamo portare, e abbandonammo tutto. Seguendo la strada in mezzo ai boschi che porta a Conco, arrivammo a Fara Vicentino in pianura. Fummo ospitati nella casa del suocero di mia zia Maria, che era nel frattempo emigrata in America col marito.
Questo vecchio patriarca, quando ci vide, sapendo quello che ci stava succedendo, ci accolse a braccia aperte piangendo. A mio padre disse: “qui potete restare. Tutto quello che posso fare per voi lo faccio di vero cuore. Fate conto di essere a casa vostra”.
Il diario prosegue poi raccontando la vita da profughi in vari paesi del vicentino, fino alla fine della guerra, ed al ritorno ad Asiago, ormai un ammasso di rovine. E poi la ricostruzione e gli anno venti……….
1) mosa: una sorta di polenta molto liquida, ottenuta mescolando farina gialla e bianca . Serviva per accompagnare il latte a colazione
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