La discussione sul Jobs Act che si sta consumando in questi giorni sui giornali e su internet ci lascia alquanto perplessi. Il tema dell'articolo 18 tiene banco e sembra essere l'unico argomento in gioco, ma si tratta invece del tipico caso in cui si guarda al dito anziché alla luna.
E di luna bisogna parlare, perché la riforma che il governo si appresta a varare è davvero degna della NASA degli anni '60: riformare il mercato del lavoro italiano in modo da aumentare le opportunità di impiego senza intaccare i diritti dei lavoratori, rendendolo nel contempo appetibile agli investitori esteri.
Sgombriamo subito il campo da un dubbio: in questo articolo non parleremo di articolo 18 in quanto siamo convinti della sua giustezza e della scarsa incidenza che una qualsiasi modifica avrebbe sull’aumento dei posti di lavoro. Siamo altresì convinti però, che l'introduzione del cosiddetto “contratto a tutele progressive” indicato nella delega, richiederà una riformulazione del suddetto articolo.
Siamo invece piuttosto perplessi sul testo della legge delega che alterna frasi per addetti ai lavori a “principi e criteri direttivi” molto generici, lasciando così al governo la pressoché totale libertà di azione sul tema.
Occorre infatti ricordare che la “legge delega” consente al Governo di legiferare al posto del Parlamento (entro i limiti specificati nella delega stessa). I conseguenti "Decreti Delegati" non richiederanno alcun passaggio parlamentare, diventando legge e entrando in vigore immediatamente dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri.
Se da un lato questa modalità è necessaria al fine di evitare che una materia così complessa possa "cadere" in qualche trappola parlamentare, dall'altro lato è opportuno che il Parlamento definisca dei limiti precisi della delega onde evitare che il Governo legiferi senza tener conto del volere delle Camere.
A nostro giudizio il testo approvato della delega è sufficientemente preciso solo su alcune questioni (come per la riduzione a due delle tipologie di contratti), mentre non è affatto chiaro su punti molto più delicati: cosa si intende con “contratto a tutele progressive”? Fino a che punto è lecito il "demansionamento"? Anche sulla riforma del sistema preposto al ricollocamento dei lavoratori la delega dovrebbe dare maggiori indicazioni. Non basta prevedere solo una maggiore informatizzazione.
Nella delega sono totalmente assenti alcuni temi fondamentali quali ad esempio la definizione di un percorso che coinvolga scuola-impresa-enti locali nei contratti di apprendistato a tutti i livelli (professionali o post-laurea), o i tipi di percorsi formativi e le risorse umane ed economiche che dovranno essere messe a disposizione per permettere il ricollocamento di chi si trova in stato di disoccupazione.
Insomma, ci pare che il Senato abbia deciso di lasciare mani libere al Governo su buona parte della riforma.
Non vi è dubbio che su un argomento così complesso procedere con una legge delega e con decreti legislativi sia corretto. Ma la legge delega dovrebbe far capire ai comuni cittadini quale modello di mercato del lavoro il Governo si propone di adottare. Le esperienze dei paesi che ci hanno preceduto in questa riforma, i meditati progetti di studiosi e politici (ad esempio quelle condotte da Ichino e da Boeri-Garibaldi, a nostro parere conciliabili), e soprattutto l’attenzione alle esigenze reali e convergenti di imprese e lavoratori, dovrebbero consentire la formulazione di una proposta chiara, semplice e capace di dare un taglio netto con l’immobilismo del passato.
In un mondo nel quale il posto fisso diventa un eccezione, l’obiettivo principale deve essere quello di fare in modo che la mobilità cessi di essere precarietà per diventare cambiamento di vita, e che chi è alla ricerca di un nuovo lavoro abbia le stesse condizioni di dignità, di sicurezza e di speranza per il futuro di chi è occupato e svolge un lavoro produttivo per sé e per la società
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