L'altro ieri sono stato al Leoncavallo per assistere ad un dibattito sul salario sociale o reddito di cittadinanza e ho capito per l'ennesima volta la differenza tra sinistra ed estremismo radicale.
Ci sono due modi di essere subalterni al sistema.
Il primo comporta l'accettazione delle sue logiche e questo è tipico con diverse sfumature di un'area vasta che va dal centro (aree di PD comprese) alla destra moderata e quella più estrema, al populismo antipolitico e anti-istituzionale che in Italia si identifica con il Movimento 5 stelle.
Il secondo è quello di chi concentra l'attività della sinistra sulla possibilità di una estensione di diritti, come se il neoliberismo fosse compatibile con un welfare che soddisfi le esigenze di tutti, trascurando il banale fatto che il neoliberismo è nato per abbattere lo stato sociale e per imporre una logica di profitti sempre crescenti.
Ho sentito dire in quel dibattito, che la l'introduzione del salario di cittadinanza si giustificherebbe per il fatto che oggi tutti sono dentro un meccanismo economico (anche chi non produce beni o servizi) e quindi tutti vanno retribuiti. Credo che più accettazione di così delle logiche del sistema sia difficile immaginare.
Poi c'è la sinistra vera, che non fa finta che non si stia vivendo in un sistema neoliberista, che si pone problemi di difesa dei più deboli, ma punta, oltre a mutamenti di politica economica, anche a costruire un insieme di regole nuove che consentano di realizzare una uscita dal sistema.
Non si tratta di una sinistra che guarda indietro ad esperienze passate, ma che vuole costruire con tutte le forze disponibili questa alternativa recuperando i valori positivi di tutte le esperienze politiche e culturali.
Una sinistra che si pone come momento di sintesi tra diversi strati sociali e tende a recuperare all'impegno civico strati che se ne sono allontanati perché si sono sentiti allontanati dalla possibilità di essere considerati come attori di uno sviluppo economico diverso.
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