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Oltre 500mila i minori nati in Italia da genitori stranieri
In Italia vivono circa 100mila bambini di genitori omosessuali
Secondo l’Istat il 61,3% dei cittadini ritiene che in Italia gli omosessuali siano discriminatiitalia-civile
Nel 2011 sono state uccise137 donne, 124 nel 2012, spesso per mano di mariti, compagni o ex partner
- Chi nasce in Italia da genitori stranieri residenti da almeno 5 anni nel nostro Paese è italiano
- L’acquisto della cittadinanza non è automatico ma è necessaria una esplicita dichiarazione di volontà
- Può richiedere la cittadinanza italiana anche chi non è nato in Italia ma è cresciuto nel nostro Paese e ha compiuto un ciclo di studi o di formazione professionale
- Approvare in tempi rapidi una legge contro l’omofobia
- Riconoscimento delle unioni civili delle coppie omosessuali secondo il modello tedesco
- Subito una legge organica contro il femminicidio
- Istituire un Osservatorio sulla violenza nei confronti delle donne
- Approvare subito la ratifica della convenzione di Istanbul
- Riconoscimento del ruolo delle case e dei centri antiviolenza e rafforzamento dei servizi pubblici e convenzionati
- Misure di sensibilizzazione dell’opinione pubblica a partire dalle scuole
- Istituzione del Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne

 

Nuovi italiani: chi è nato in Italia è italiano
La presenza di più di mezzo milione di minori nati in Italia da genitori stranieri, impone la modifica delle leggi in materia di acquisto della cittadinanza.
I “nuovi italiani” sono una risorsa per il nostro Paese che investe e si impegna per la loro crescita e la loro formazione scolastica e professionale. Occorre assicurare a questi giovani un futuro, nel quale sia chiara la loro appartenenza al Paese che li ha visti nascere e che ha garantito la loro istruzione.
I criteri ispiratori della normativa vigente in materia di cittadinanza  prevedono che l’acquisto della cittadinanza italiana sia basato principalmente sullo "ius sanguinis" (diritto di sangue), per il quale il figlio nato da padre italiano o da madre italiana è italiano.
Secondo la normativa vigente il minore, nato in Italia da genitori stranieri (quando non ricorrano particolari condizioni, come genitori ignoti o apolidi), può acquistare la cittadinanza per la cosiddetta “elezione di cittadinanza” che ha come presupposto la residenza legale, senza interruzioni, fino al raggiungimento della maggiore età, e richiede che la dichiarazione di voler eleggere la cittadinanza italiana sia resa entro un anno dal compimento dei diciotto anni di età.
Questa normativa presenta rilevanti criticità quali:
-  necessità di attendere il compimento del diciottesimo anno di età;
- possibilità di richiedere la cittadinanza entro e non oltre il compimento del diciannovesimo anno;
- obbligo di dimostrare di aver vissuto ininterrottamente sul territorio italiano. La norma prevede che la residenza sia regolare per 18 anni, pertanto se i genitori stranieri erano irregolari al momento della nascita, ovvero durante tale lasso di tempo hanno vissuto, anche per un breve periodo, in condizione di “clandestinità”, poiché l’irregolarità dello status dei genitori si riflette su quello dei figli la cittadinanza non viene concessa.
Dal momento che si condividono i contenuti di una proposta di legge (AC 5030) di iniziativa popolare, presentata nel corso della XVI legislatura da parte del comitato promotore “l’Italia sono anch'io”, promosso da 19 associazioni della società civile, si vuole introdurre:
a) l’acquisto della cittadinanza per nascita, in favore di chi nasca nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, che siano a loro volta nati in Italia ovvero regolarmente residenti sul territorio della Repubblica da almeno cinque anni. Questo per garantire uno stabile collegamento tra il nuovo cittadino e l’Italia, ed evitare che quanti nascano nel nostro territorio “casualmente” possano accedere a tale diritto.
Poiché l’acquisto della cittadinanza non deve essere imposto, perché è ben possibile che i nati in Italia vogliano conservare come esclusiva cittadinanza quella del Paese di origine, è prevista una dichiarazione di volontà espressa dei genitori (con la specificazione che entro due anni dal raggiungimento della maggiore età il soggetto possa rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana). In mancanza di dichiarazione dei genitori è possibile l’acquisto della cittadinanza a richiesta dell’interessato, da proporre entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
b) l’acquisto della cittadinanza per i minori non nati in Italia; occorre poi prendere atto della situazione dei minori che essendo nati in Italia da genitori “clandestini” (seppur tali per un breve lasso di tempo), ovvero di minori che pur non essendo nati nel nostro Paese vi abbiano vissuto gran parte della loro vita, frequentando la scuola e crescendo in questo contesto culturale, vogliano avere una prospettiva di appartenenza. Anche per loro è prevista la possibilità di acquistare la cittadinanza italiana quando abbiano compiuto in Italia un ciclo di istruzione o di formazione professionale. In questo modo l’investimento nella loro istruzione non sarà “perduto”, perché sarà servito a creare dei nuovi italiani.
Rispetto dei valori fondamentali del Nostro Paese
Per superare il possibile nodo critico derivante dall'acquisto della cittadinanza italiana da parte di quanti, provenendo da Paesi che abbiamo tradizioni culturali diverse, non aderiscano ai valori fondamentali del nostro Paese e delle Convenzioni internazionali in materia di parità di diritti e divieto di discriminazioni, è prevista da parte dei genitori, che formulino l’elezione di cittadinanza per i figli, una dichiarazione di impegno a educarli nel rispetto di tali valori e principi fondamentali.
Norma transitoria
Per applicare le nuove disposizioni anche a coloro che siano nati in Italia ovvero abbiano completato un ciclo di studi in Italia prima dell’entrata in vigore della legge è dettata una apposita norma transitoria.

I dirittti delle coppie omossessuali
La situazione attuale in Italia e in Europa
In tutta Europa e in molti Paesi extraeuropei i diritti delle coppie omosessuali vengono riconosciuti, secondo un trend inarrestabile, o dalle Corti giurisdizionali, o dal legislatore.
La Corte costituzionale italiana ha considerato legittima la norma che vieta alle persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio, tuttavia ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore concedere riconoscimento giuridico a diritti e doveri di tali coppie, sulla base dell’art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, ed ha aggiunto che per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, ivi compresa l'unione omosessuale.
Una recente sentenza della Corte di Strasburgo (24 giugno 2010), pur negando che la Convenzione dei diritti dell’uomo attribuisca agli omosessuali un diritto al matrimonio, ha riconosciuto il loro diritto alla vita familiare (art. 8 della Convenzione), il cui riconoscimento, da parte dello Stato, benché non doveroso, appare auspicabile ai fini di una più compiuta tutela.
La Cassazione italiana, nella sentenza n. 4184 del 2012, ha affermato che le coppie gay «conviventi in una stabile relazione di fatto, se non possono far valere il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio celebrato all'estero», tuttavia hanno il «diritto alla vita familiare» e a «vivere liberamente una condizione di coppia», oltre al diritto, in presenza di «specifiche situazioni» (che non vengono, però, individuate), a un «trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata». Solo di recente la giurisprudenza di merito si è occupata della possibilità di estendere i diritti riconosciuti al convivente eterosessuale anche al convivente omosessuale; in particolare la Corte di Appello di Milano (sentenza 31 agosto 2012) ha riconosciuto il diritto del convivente omosessuale di un dipendente bancario a fruire delle prestazioni mediche che la Cassa Mutua Nazionale di tale istituto bancario riconosceva al convivente more uxorio.
Numerosi Comuni italiani hanno istituito registri delle unioni di fatto. Il Comune di Empoli nel 1993 fu il primo a dotarsi di tale registro ma la relativa delibera comunale venne bocciata dal Co.Re.Co. Nel 2001 il TAR accolse il ricorso del Comune di Empoli contro la decisione del Co.Re. Co e da allora numerosi comuni si sono dotati di registro. Tra gli altri: Pisa, Firenze, Ferrara e, da ultimo, Milano, Napoli, Cagliari. Nel 2006 La Spezia fu il primo comune a prevedere espressamente l’iscrizione in questi registri anche delle coppie omosessuali: da allora molti comuni hanno previsto tale possibilità. Le amministrazioni comunali concedono alle coppie di fatto benefici sulla base della mera convivenza (punti per assegnazione case popolari, per sussidi etc.)
Anche alcune regioni (Calabria, Toscana, Umbria, Emilia-Romagna), nei loro statuti, hanno fatto riferimento al riconoscimento dei diritti delle unioni anche omosessuali, disponendo che venga riconosciuta tutela anche alle “forme di convivenza” ulteriori rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio. Il Governo Berlusconi (2001-2006) ha impugnato alcuni di questi statuti, segnalando profili di illegittimità costituzionale; la Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi.
Nel mondo occidentale numerose legislazioni riconoscono forme di convivenza registrata (per es. Australia, Belgio, Danimarca, Francia) ovvero ammettono al matrimonio soggetti appartenenti allo stesso sesso (Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Portogallo, Norvegia, Svezia, e, dal 2012, Danimarca). In alcuni casi i due istituti coesistono (ad esempio, in Belgio, dove sono disciplinate le convivenze registrate e dal 2003 è ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso).
In Germania l’unione registrata è prevista per i soli omosessuali e dà luogo a diritti e doveri analoghi a quelli derivanti dal matrimonio. Nella Repubblica Federale Tedesca con l’approvazione della legge 16.2.2001 è stato previsto che: “Due persone del medesimo sesso stabiliscono una convivenza, quando esse dichiarano vicendevolmente, personalmente ed in presenza l’una dell’altra che esse desiderano condurre insieme una convivenza a vita. Le dichiarazioni non possono essere sottoposte a termini o condizioni”.
La nostra proposta: il modello tedesco
Nella prossima legislatura si proporrà di disciplinare le unioni omosessuali sulla falsariga del modello tedesco.
SOGGETTI: Possono accedere alla disciplina delle unioni civili i partners omosessuali maggiorenni e non coniugati o non conviventi con terzi, e non legati da stretti vincoli di parentela (ascendenti discendenti, fratelli, sorelle).
FORMA: Occorre una dichiarazione resa davanti all'autorità competente per la celebrazione, in Italia l’ufficiale di stato civile.
EFFETTI PERSONALI: Dall'unione derivano effetti analoghi a quelli discendenti dal matrimonio. I conviventi si debbono reciproca assistenza e sostegno e debbono “gestire in comune le loro esistenze”., nonché un obbligo di mantenimento analogo a quello previsto per i coniugi. Una deroga è prevista in materia di filiazione.
REGIME PATRIMONIALE: il regime legale sia quello di comunione degli acquisti ammettendo, tuttavia, la possibilità per i conviventi di derogarvi con la conclusione del contratto di convivenza, che può essere redatto proprio al fine di disciplinare i rapporti patrimoniali tra conviventi.
ADOZIONE ED ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE: non si interverrà in tema di filiazione e adozione; l’adozione resterà riservata alle coppie eterosessuali coniugate; ma andranno previste norme per disciplinare la possibilità che a uno dei partner omosessuali sia attribuita la responsabilità genitoriale sul figlio naturale dell’altro partner, nonché la possibilità che il convivente possa adottare il figlio biologico (e non adottivo) dell’altro.
SUCCESSIONE: il convivente andrà considerato erede legittimo del partner e andrà prevista una quota di legittima.
PARENTELA: il convivente va considerato membro della famiglia dell’altro convivente.
SEPARAZIONE: il convivente può chiedere all'altro il mantenimento commisurato al tenore di vita, al reddito e al patrimonio avuto in costanza di convivenza. E’ prevista la possibilità di assegnazione della casa “coniugale”.
SCIOGLIMENTO: come per il matrimonio è necessaria una decisione giudiziale, che può essere chiesta in caso di cessazione della convivenza e quando vi sia richiesta congiunta ovvero non sia possibile ripristinare la comunione di vita.
PENSIONE: La legge tedesca dal 2004 equipara gli effetti dell’unione registrata a quelli del matrimonio per quanto riguarda il diritto ad ottenere la pensione di reversibilità, in ottemperanza a quanto previsto dalla sentenza MARUKO della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella quale, facendo leva sul principio di parità di trattamento e sul divieto di discriminazione fondato sulle tendenze sessuali in materia di occupazione e lavoro, è stato stabilito che nel caso in cui uno Stato membro disciplini unioni registrate, attribuendo ai partner dell’unione diritti analoghi a quelli previsti per i coniugi, costituisce discriminazione fondata sul sesso non riconoscere al partner gli stessi diritti in materia di diritti pensionistici riconosciuti al coniuge. In Italia, andrà dettata una disciplina uniforme, in materia di pensione di reversibilità, per le coppie omosessuali ed eterosessuali, ma in entrambi i casi, a tutela della finanza pubblica e per prevenire facili elusioni, andrà prevista una durata minima della unione (matrimonio, unione omosessuale), e in assenza di figli minori, quale condizione per l’accesso alla pensione di reversibilità.

Provvedimenti contro il femminicidio e violenza sulle donne
La violenza contro le donne è una drammatica violazione dei diritti umani fondamentali che nel nostro paese ha assunto un carattere pervasivo e strutturale. Nel 2011 sono state 137 le donne uccise, nel 2012 sono state 124, spesso per mano di mariti, compagni o ex-partner. E’ il conto tragico di un fenomeno che deve essere contrastato con un'efficace ed urgente strategia politica: vogliamo approvare subito la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul e presenteremo, come già nella passata legislatura, una legge organica contro il femminicidio formulata secondo le più recenti Convenzioni internazionali, che costituisca il vincolo per serie azioni di governo.
Il 25 giugno 2012 è stato presentato all’ONU il primo Rapporto tematico sul femminicidio, frutto del lavoro realizzato in Italia da Rashida Manjoo. Prevenzione, punizione dei colpevoli, protezione delle vittime sono i ritardi dell'Italia. Secondo il rapporto la maggior parte delle violenze non sono denunciate perché perpetrate in un contesto culturale sessista, dove la violenza domestica non è sempre percepita come un crimine, dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza e persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono adeguate per riconoscere il fenomeno, perseguire per via legale gli autori di tali crimini e garantire assistenza e protezione alle vittime. Il Rapporto rileva che in Italia gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società. La violenza non è un fatto residuale, ma attiene a profonde motivazioni culturali ed ai cambiamenti introdotti dalle donne, ai rapporti, ancora caratterizzati da modelli fondati su dominio e prevaricazione, tra i generi e le persone.
Siamo dunque consapevoli che per combatterla c’è bisogno di un cambiamento culturale e nessuna legge, anche la più rigorosa, può contrastarla se non è accompagnata da una volontà di cambiamento nel rapporto tra i sessi e le persone. Occorre una nuova stagione delle relazioni, la presenza appropriata delle donne in tutti gli ambiti della società, la valorizzazione del ruolo e della soggettività femminile. Per questo non ci convincono le risposte che la riducono a questione meramente penale, ma crediamo sia necessario adottare un approccio multidisciplinare che coniughi misure volte a prevenire le cause stesse della violenza - anche contrastando quegli stereotipi che ne sono alla base - e a promuovere una visione paritaria dei rapporti tra generi.
Ci impegniamo ad approvare immediatamente la legge di ratifica della convenzione di Istanbul e a sostenere ogni iniziativa legislativa per adeguare l’ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione, a presentare una proposta di legge contro il femminicidio e, più in generale, ad adottare le norme regolamentari e i provvedimenti amministrativi che promuovano realmente una cultura segnata da un diverso rapporto tra i generi contrastando il femminicidio quale negazione della soggettività, dei diritti fondamentali, della dignità delle donne, agendo sul piano della prevenzione e del contrasto della violenza, e della tutela delle vittime.
Dieci misure urgenti:
1 - istituzione di un apposito “Osservatorio sulla violenza nei confronti delle donne”, con il compito di assicurare lo svolgimento di una rilevazione statistica sulla discriminazione e la violenza di genere e sui maltrattamenti in famiglia, attraverso un sistema integrato ed omogeneo.
2 - Rafforzamento del sistema dei servizi, pubblici e convenzionati, organizzati in rete su tutto il territorio nazionale. Riconoscimento del ruolo delle case e centri antiviolenza, quali luoghi nei quali non solo possa trovare tutela la vittima di violenza o di discriminazioni di genere, ma nei quali possa pure darsi libero corso a iniziative volte alla promozione della soggettività femminile, anche mediante azioni di solidarietà e accoglienza rivolte ai figli minori delle stesse donne, a prescindere dalla loro cittadinanza. Promozione in conformità agli standard internazionali dei programmi di trattamento degli uomini autori di violenza.
3 - Misure volte a sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al fenomeno della violenza di genere e a promuovere una rappresentazione rispettosa della dignità femminile .
4 - Campagne di prevenzione e sensibilizzazione a partire dalle scuole volte a formare gli studenti attraverso un’educazione alla relazione e alla promozione di un rapporto rispettoso tra i sessi.
5 - Formazione specifica di tutti gli operatori che accolgono, sostengono e soccorrono le donne vittime di abusi, operatori sanitari, legali, psicologi, forze di polizia.
6- Rafforzamento della rete territoriale di contrasto, attraverso protocolli d’intesa tra soggetti istituzionali, quali province, comuni, aziende sanitarie, consigliere di parità, uffici scolastici provinciali, forze dell’ordine e del volontariato che operano sul territorio. Creazione di banche dati condivise tra forze di polizia e tribunali volte a fornire i dati giudiziari all’osservatorio.
7 - Tutela peculiare anche sul piano previdenziale e lavorativo, inserendo tra i livelli essenziali delle prestazioni di accoglienza e socio-assistenziali le attività volte a fornire misure di sostegno alle donne vittime di violenza sessuale, stalking e maltrattamenti.
8 -Qualora ad essere vittime di violenza o abusi sessuali, maltrattamenti o stalking siano donne migranti, si estende a loro la sfera di applicazione del permesso di soggiorno ex articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
9 - Aggravante comune per tutti i delitti contro la persona commessi mediante violenza, realizzati alla presenza di minori; maggiori diritti alla vittima nella fase più delicata del procedimento penale, ovvero quella delle indagini, prevedendo in particolare l’obbligo di comunicazione alla persona offesa della cessazione di misure cautelari, della chiusura delle indagini preliminari o della richiesta di archiviazione ; carattere prioritario ai procedimenti penali per i reati sessuali o contro la personalità individuale, attraverso la creazione di corsie preferenziali. Riconoscimento della violenza assistita come grave pregiudizio per i figli minori e causa di decadenza o limitazione della potestà genitoriale si sensi degli artt. 330 e 333 c.c.
10 - Istituzione del Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne, destinato a finanziare le iniziative.