Le norme possono adattarsi alla realtà o provare a modificarla.
Vale per tutto: anche per i rimborsi elettorali. Il dibattito, piuttosto virulento, che si è aperto su questo tema, infatti, trascura il problema più importante: siamo soddisfatti di come funzionano i partiti italiani o no?
Credo la risposata sia quasi unanime: no.
Le scelte, a questro punto, sono due: se accontentarsi dei partiti come sono (e limitarsi a tagliare i rimborsi elettorali) o usare i rimborsi per spingere il sistema politico ad essere più aperto e democratico.
Per farlo basta applicare l'articolo 49 della Costituzione, chiedendo ai partiti politici rappresentati in parlamento di adguarsi ad alcuni standard democratici minimi, in cambio dei rimborsi elettorali.
In Germania, se Angela Merkel decidesse di sospendere i congressi della CDU, vedrebbe negare al proprio partito i contributi elettorali.
Tagliamo i costi della politica, partendo dalle indennità dei parlamentari e dei consiglieri regionali, sfoltendo gli enti pubblici e gli emolumenti dei membri dei consigli di amministrazione delle società partecipate. Ma salviamo il principio del finanziamento pubblico della politica. Ne avremo in cambio una garanzia: nessuno deciderà per milioni di elettori con un tweet. In fondo, la democrazia, non si esaurisce il giorno del voto ma serve a rendere protagonosti della vita di una comunità i propri cittadini.
Con i Giovani democratici, nel 2011, abbiamo scritto una proposta di legge di iniziativa popolare su questo. Potremmo chiamarla Finanziometro, e funzionerebbe, più o meno, così: link