{jcomments on}E’ già accaduto venti anni fa: dopo anni di contrapposizioni spesso puramente ideologiche, demagogiche o strumentali, di politiche scriteriate, con corollari di sprechi, malversazioni, corruzione diffusa, i partiti italiani hanno gettato la spugna, ricorrendo ai cosiddetti tecnici: cioè a persone considerate all’altezza, a differenza dei cosiddetti politici, di rimediare al mal fatto e a rimettere la barca della polis in condizioni di galleggiare e di navigare.
Come venti anni fa, esiste il rischio di andare incontro a una nuova lunga crisi dei partiti, sostanzialmente a una Terza Repubblica che speriamo sia meglio della Seconda, che si è rivelata peggio della Prima.
L’insegnamento dovrebbe essere semplice: i partiti hanno fallito, venti anni fa come adesso, in quella che è forse la loro principale ragion d’essere: quella di selezionare oi aristoi, i migliori, i più capaci di guidare la polis.
Se questa è una loro funzione costitutiva (oltre a quella di elaborare proposte di governo della res publica), debbono chiedersi: come riuscire a svolgerla in futuro, per non fallire di nuovo dopo anni di turbolenza interna ed esterna?
Penso che per farlo debbono trasformarsi da associazioni chiuse, introverse, in associazioni aperte, estroverse. Debbono superare il loro stato di separazione dalla società civile, mascherato da una ricerca di consenso misurata dai sondaggi e quindi di per sé demagogica, nel senso letterale, perché basata sul considerare le persone come oggetti e non come soggetti politici.
I partiti debbono liberarsi di coloro che li considerano come strumenti di carriera politico/economica, di arrampicamento (e non di promozione) sociale, e come uffici di collocamento collaterale di arrampicatori falliti.
Allargando al massimo il coinvolgimento di cittadini, interessando il maggior numero possibile di essi alla gestione della res publica, i partiti potranno selezionare, all’esterno o anche al loro interno, i migliori da proporre agli elettori come leader, come classe dirigente aperta a un continuo ricambio.
La mia non è una condanna indiscriminata della classe politica attuale. Non dirò mai “sono tutti uguali”, perché non è vero e perché il dirlo fa il gioco proprio dei peggiori. Dirò di più: penso che il PD, nonostante e forse proprio per la sua dialettica interna e per il suo sforzo evolutivo (vedi ad es. le primarie), sia “in pole position” rispetto agli altri nella gara per diventare un soggetto politico nuovo. E’ però necessario far sì che a tutti i livelli, di fronte all’evidente insufficienza politica del sistema dei partiti, cresca il numero di persone che facciano tesoro dell’insegnamento del passato, che siano consapevoli della necessità della conversione (che consiste, lo ripeto, nella trasformazione dei partiti da associazioni chiuse in associazioni aperte), e intenzionate ad impegnarsi per la realizzazione di questo obiettivo.
Ma perché la loro azione abbia prospettive di successo è necessario che il sommovimento i parta dal basso. Nel caso del PD, dai circoli.
Troppo spesso i circoli, invece di cercare di attrarre il più gran numero di persone all’impegno sui problemi della cosa pubblica, si comportano come diramazioni periferiche di vertici preoccupati soprattutto di tenere sotto controllo l’opinione pubblica. Troppo spesso anche i circoli si riducono a conventicole di poche persone, sempre le stesse, impegnate per lo più nella trasmissione di ordini provenienti dall’alto, dedicando troppo poco tempo ai problemi locali e troppo a conversazioni poco informate e inconcludenti sui massimi sistemi. Troppo scarso è il loro ruolo di antenne/sensori/allarmi periferici del partito, la loro azione di denuncia dei problemi reali del territorio, di coinvolgimento dei migliori, di controllo severo dell’operato degli eletti alla gestione della cosa pubblica, di critica costruttiva verso i vertici del partito.
I partiti, debbono prendere lezione da molte e benemerite associazioni no profit, diventare organizzazioni volontaristiche, con severe regole interne ed esterne di trasparenza e di rendicontazione. Debbono vivere dei contributi dei loro soci, pubblicamente dichiarati, che saranno tanto più consistenti quanto più i partiti dimostreranno che farne parte serve a qualcosa.
Sarebbe ingenuo non tenere conto del fatto che la politica è sempre stata e sempre sarà un intreccio tra potere e servizio alla polis, e che i partiti sono il luogo principale di questo intreccio, il luogo dove più forte si manifesta la lotta tra coloro che vogliono mettere il potere al servizio della polis, e quelli che vogliono mettere la polis al servizio del potere.
Occorre fare tutto il possibile perché i primi prevalgano sui secondi.
Ringraziamo Giacomo per questo suo contributo. Questo è il primo articolo di una serie di interventi preparati dagli iscritti al circolo 6 sul tema della funzione del partito nel nostro tempo. Tutti gli articoli saranno pubblicati nelle prossime settimane sulle pagine del circolo.