L’economia decide le sorti?
Nella visione occidentale, frutto di secoli di storia di civiltà nate, cresciute e decadute, si è affermato ilparadigma del potere economico come fautore dell’ascesa o della discesa di un popolo, Stato o Nazione: la capacità d’acquisto e di creazione di nuove forme d’impresa e di commercio, si ritiene sia sempre stata l’ago della bilancia del potere: un potere che da economico diventa politico, l’estensione della Nazione al di fuori dei confini dello Stato.
Tale potere è sfociato, da qualche secolo, nell’arbitrarietà mondiale di potenze imperiali occidentali di colonizzare, depredare ed assoggettare al proprio volere popoli d’oltre mare; il potere si alimenta di se stesso ed il potere economico si alimenta di economia: bisogna considerare due aspetti fulcro dell’evoluzione dei rapporti di potere tra Stati Nazione ed Imperi occidentali e civiltà millenarie orientali: ma è davvero l’economia a decidere le sorti dei popoli?
Attualmente vi sono circa 500 milioni persone su 7 miliardi afferiscono a virtù la ricchezza economica, ergo 6,5 miliardi quali valori identitari virtuosi afferiscono alla loro esistenza?
Donald Trump ha dichiarato che “gli europei vivono sulle spalle degli Stati Uniti d’America”; la potenza imperiale che mantiene gli stati satellite. Questo è un esempio di micro-lettura geopolitica di quella che si chiama Sindrome degli Imperi, ovvero la consapevolezza – più o meno veritiera – di essere l’origine della sopravvivenza di chi gravita nella propria sfera d’influenza; nel caso appena citato non è così: l’export rasenta lo zero l’import quasi il 100% dei prodotti che circolano in terra nordamericana, quindi, non è poi così vero che gli europei vivono grazie agli americani.
Fotografando l’attuale situazione internazionale attorno al vecchio continente ed attraverso un obiettivo di largo spettro, c’è da chiedersi perché stanno avvenendo più conflitti contemporaneamente ed intorno all’area europea.
Perché i competitor degli Stati Uniti d’America hanno meno paura del loro potere economico e cercano di riappropriarsi di un potere di carattere imperialista che dopo la caduta del muro di Berlino è venuto meno, proprio a vantaggio di un’espansione economico-finanziaria di stampo atlantico: tali popoli millenari hanno avvertito una flessione del potere di cui sopra con conseguente arretramento del fronte di un colonialismo informale proprio dell’Occidente, il quale nell’ultimo decennio ha risposto stringendo patti di cooperazione economico-militare in quelle aree ritenute strategiche per contrastare il ripristino di un equilibrio mondiale o lo sbilanciamento a favore degli avversari, in un grande gioco di cui la potenza economica occidentale non sortisce alcun effetto. Per citare un esempio: le sanzioni economiche emesse dall’Unione Europea nei confronti della Russia non hanno fomentato un popolo che per il 70% vive sulla soglia di povertà, a rivoltarsi contro il tiranno, anzi, nell’ultima tornata elettorale Vladimir Putin ha ottenuto un plebiscito.
Lo spartiacque della “controffensiva orientale” è la Via della Seta: il trattato internazionale multilaterale tra gli Stati Nazione europei e la Cina costellato di partners mediorientali.
Le guerre russo-ucraina, iraniano-israeliana e la minaccia della Cina su Taiwan sono la testimonianza che tutti gli antagonisti USA non tengono più conto come prima della presenza (diplomatica) USA nei loro territori e che di fatto questa, nei primi due conflitti citati, non è più massiccia come prima; fonti internazionali danno gli Stati Uniti d’America come prossimi ad un abbandono della loro influenza nella regione indoeuropea: errore. La Storia insegna che le potenze imperiali non abbandonano mai del tutto le colonie ma effettuano un’evoluzione passando da imperiali ad imperialiste, il che implica un’oggettivazione della strategia a livello mondiale; una potenza imperialista mitiga la propria presenza, modifica il rapporto di potere attraverso nuove forme di condizionamento ma non abbandona mai del tutto una colonia, quindi, non si ritornerà alla situazione ex-ante ed in Italia ci vorranno decenni prima di convincersi di ciò perché siamo la popolazione più vecchia del mondo che per due ordini di motivi accetta difficilmente i cambiamenti: la paura dell’ignoto derivante da un cambio di paradigma di vita alla difficoltà progressiva nel farsi portatore ed accettare un cambiamento; essendo la media dell’età italiana attorno ai 43 anni, si è instaurato un conservatorismo biologico.
Al di sopra dell’economia ci sono i popoli.
7 Ottobre 2023: I persiani 2.0.
L’Iran spinge Hamas ad attaccare Israele in una data (di approssimazione settimanale) vicina alla firma degli Accordi di Abramo da parte dell’Arabia Saudita.
Gli Accordi di Abramo sono una proposta statunitense che, dal punto di vista sostanziale, consiste in un mutuo riconoscimento dello Stato di Israele da parte delle monarchie arabe; una forma di contenimento dell’Iran; essi elevano Israele a delegata al controllo a stelle e strisce della sfera d’influenza dell’Impero USA nell’area: tale posizione israeliana è avallata poiché è l’unica potenza nucleare tra tutte le Nazioni coinvolte geograficamente, storicamente ed economicamente nelle sfere d’influenza degli Imperi ex ante: per potenza nucleare s’intende la capacità di risposta ad un attacco nucleare.
La firma degli accordi avrebbe messo in scacco l’Iran rispetto a tutte le nazioni confinanti ponendo Israele come potenza imperiale in un’area in cui l’Impero è sempre e solo stato quello di Persia.
Una testimonianza dell’imperialismo iraniano e della sua volontà di mantenimento di un potere che sente proprio da secoli è da ritrovarsi nella guerra in Yemen: conflitto mosso dagli UTI, movimento politico autodefinito come “gli artigiani di Dio” è volto all’accettazione della sconfitta del 7 Ottobre da parte di Israele; il motivo per il quale gli UTI si muovano militarmente sul proprio territorio e non supportino direttamente in loco Hamas è nella posizione geografica strategica dello Yemen rispetto ai traffici commerciali marittimi mondiali: nello stretto di Adua transita il 16% percento delle merci dirette in occidente: destabilizzando quell’area si destabilizza il 16% del potere occidentale, che si basa, come asserito, sul potere economico.
Il Parallelo ucraino.
È ormai noto che la conquista militare dell’Ucraina non è il fine ultimo della Russia, poiché è altrettanto ovvio che la potenza militare russa avrebbe potuto spazzare via il nemico in un tempo decisamente inferiore rispetto all’attuale durata del conflitto.
Sul fronte opposto è la campagna comunicativa mediatica made in USA che ha giocato e gioca un ruolo fondamentale nel condizionamento dell’opinione pubblica sul casus belli dando luce a Volodymir Zelensky che senza la leva statunitense non avrebbe avuto ne una strategia comunicativa ne una cassa di risonanza di cui tutto il mondo sente i suoni.
Dal punto di vista militare, per poter approssimare uno dei possibili scenari futuri dal punto di vista geopolitico, è necessario fare un parallelismo con la guerra d’Afghanistan: l’impegno americano alla caccia di Osama Bin Laden ha prestato il fianco e dato l’opportunità a Russia e Cina di muoversi di concerto sul piano internazionale per estendere la propria sfera d’influenza oltre confine; andando per odine inverso, la Cina tra il 2000 ed il 2010 ha comprato massicciamente BOT statunitensi, finanziando di fatto la guerra d’Afghanistan ed applicando il paradigma del – non distrarre il nemico mentre sbaglia -; gli USA hanno commesso l’errore (anche per interferenza dei clientes NATO) di rimanere troppo tempo dopo la cattura del leader di Al-Qaeda cercando di modificare l’assetto istituzionale di un popolo che per quanto soggiogato e martirizzato dal regime talebano non sarebbe mai stato disposto ad accettare una forma di governo che per quanto bella gli sarebbe stata imposta dall’occidente e quindi inaccettabile.
Per avere una misura della “distrazione americana”, se pur con le dovute cautele, c’è un aneddoto significativo: durante la cerimonia d’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino 2008 l’esercito russo invade la Georgia, Bush viene informato da un suo collaboratore, e si rivolge immediatamente a Puti, seduto a fianco chiedendogli :”ma è vero che stai entrando in Georgia?”. Risposta: “Chi te lo ha detto?”. Parafrasando, si capisce immediatamente di come l’intelligence americana fosse distratta in terra mediorientale e di quanto ne fosse a conoscenza la Russia: la risposta di Putin lo dice chiaramente, ovvero, ammette la cosa e si stupisce di come gli americani siano venuti a saperlo dato che la CIA (e le altre 15 agenzie d’intelligence privata USA) erano focalizzate in Afghanistan.
La prova del nove è nel fatto che Bush era seduto di fianco a Putin: se avesse saputo di quanto stava per accadere in Georgia non si sarebbe mai e poi mai seduto di fianco ad un invasore.
Con la ritirata dall’Afghanistan, gli americani hanno imparato dall’errore e da potenza imperiale sono passati a potenza imperialista, ovvero, impiegano le risorse in maniera oculata e lungimirante e non più con la sola volontà di imporre un controllo ovunque gli torni utile farlo; quindi sanno che in Ucraina non possono rimanere a lungo perché il vero avversario, la Cina, si sta strutturando militarmente per invadere Taiwan e gli USA devono innanzitutto presidiare l’indopacifico e scongiurare la disfatta economica dell’Occidente. Quindi, l’obiettivo a stelle e strisce è congelare il conflitto ucraino e negoziare con i russi per strapparli all’alleanza con la Cina: ribadendo l’accordo russo-cinese sul supporto militare in termini di armi e formazione di cui la Cina ha un disperato bisogno per poter attraversare quei 160 Km di mare che la separano da Taiwan e conquistarla.
Gli accordi Cina-Russia sono più ampi del semplice ambito militare: dalla vendita del gas russo, alla probabile restituzione della siberia alla Cina, ovvero, del più grande bacino energetico al mondo, passando per l’ambito commerciale e la spartizione delle terre rare africane, il nemico numero uno al mondo per gli Stati Uniti d’America è la Cina, di cui la Russia è il socio di minoranza; aggiungendo a ciò la probabile riannessione di Taiwan, che produce circa il 70% dei semiconduttori utilizzati al mondo, lo scenario occidentale, ed in particolare della potenza egemone in Occidente da più di un secolo, si farebbe insostenibile ad un confronto su qualsiasi piano o ambito con quella che è narrata sarà la prossima prima potenza mondiale.
In ultimo, l’obiettivo sancito dal Partito Comunista Cinese è la presa di Taiwan entro il 2049, ovvero il centenario della rivoluzione di Mao.
La Russia sta perdendo strategicamente la guerra all’egemonia imperialista, nonostante stia vincendo tatticamente la guerra d’Ucraina; l’umiliazione sul piano internazionale è da sempre l’unico motivo delle rivoluzioni e dei cambi di regime o Leader; Putin non può permettersi di far umiliare l’Impero Russo agli occhi della comunità internazionale. Gli americani lo sanno, come sanno che sedersi ad un tavolo e fare accordi con il baluardo del modello occidentale è equivalente all’umiliazione militare: Putin per quanto odiato rappresenta per il popolo russo, il baluardo contro l’occidente; non gli verrebbe perdonato un accordo con Biden o Trump. Chi vincerà le elezioni in America è ininfluente agli occhi del popolo russo, è il modello occidentale il nemico, a prescindere da chi lo incarna.
L’Unione Europea: terra ad orizzonte.
Le civiltà e le collettività che di generazione in generazione le compongono e ne determinano l’evoluzione esprimono il loro volere in molti modi: che il modello europeo di Democrazia sia il più rispettoso ed accogliente dell’individualità è fuori discussione: la tirannia talebana ed il dispotismo di Pasdaran o Ayatollah sono noti agli stessi popoli soggiogati che combattono battaglie per l’affermazione di diritti umani, allo stesso modo di come la collettività europea le ha combattute e le combatte tutt’ora.
La vera espressione della grandezza della Democrazia dell’Unione Europea è, dal punto di vista della politica interna, l’elaborazione di provvedimenti che lasciano ampio margine di manovra agli Stati membri affinché gli elementi culturali propri di ogni popolo vengano salvaguardati e tutelino le libertà personali; dal punto di vista della politica esterna la nostra bandiera a 12 stelle di cui si effigiano 27 Paesi è intrinsecamente composta da funzionari diplomatici, Ministri, Presidenti del Parlamento e della Commissione, piuttosto che chiunque rappresenti l’Unione Europea all’estero, i quali esprimono la potenza del vecchio continente con una sempre giovane apertura al dialogo, la tenace volontà di risolvere i conflitti attraverso il metodo diplomatico, la determinazione con cui si porta avanti ogni progetto e la spasmodica ambizione di completare il processo d’integrazione europeo.
Potremo rappresentare la terra all’orizzonte per popoli afflitti da guerre, individui svuotati della loro personalità, il faro che guida chi fugge dalla tirannia e rischia la morte in un’attraversata, l’esempio per chi la combatte rimanendo sulla propria terra e rischiando la morte anch’esso; mai e poi mai però imporremo il nostro modo di vivere con la violenza e con l’arroganza di chi è convinto di un’egemonia imperante delle civiltà, oppressiva dei popoli, e tutelata da un oceano sicurezza.
Gli Stati Uniti d’Europa saranno il vero deterrente alle guerre ed alle egemonie di stampo etnico ed economico.
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