Così potremmo definire, in sintesi, Ernesto Olivero. Lo abbiamo incontrato a Desio, lo scorso 22 febbraio, su invito della Scuola di Formazione Sociale e Politica della Diocesi di Milano “Date a Cesare quel che è di Cesare”.
E tanta gente ha raccolto l’invito ad ascoltare uno degli ultimi testimoni carismatici del nostro tempo. Ragazzo curioso e sensibile costituisce nel 1964, a vent’anni, un gruppo di “azione” in aiuto degli emarginati, dei poveri e dei disadattati di una Torino in piena espansione demografica ed economica. Da quel piccolo gruppo originario di amici che andavano in giro portando cibo e coperte ai barboni il Sermig (SERvizio MIssionario Giovani) è diventata una delle più grandi e significative realtà di accoglienza e solidarietà oggi esistenti.
Oltre al celeberrimo “Arsenale della Pace”, così ribattezzato il quartier generale concesso agli inizi degli anni ’80 dopo i lavori di riconversione dei ruderi del vecchio arsenale militare di Torino, la comunità conta altri due “arsenali”: a San Paolo del Brasile e in Giordania.
Migliaia di volontari e centinaia di migliaia di accoglienze, pasti, aiuti, incontri, coperte, missioni di pace, appelli… “Non avrei mai immaginato che saremmo diventati tutto questo e cresciamo ancora, con l’aiuto della Provvidenza” dice Ernesto, raccontando con passione la sua storia. Una storia fatta di tanta, tanta generosità, di dialogo, di incontri, di fiducia. “Tante volte incontro persone incredule o che non capiscono il senso di quello che facciamo, eppure io non giudico, non mi scoraggio, vado avanti, andiamo avanti, sostenuti dall’aiuto di moltissime altre persone che invece ci vogliono bene, vedono il vero bene che si fa all’Arsenale.
Bisogna venirci per capire, e dopo esserci stati si capiscono tante cose, si cambia… Le nostre battaglie non finiscono sui giornali, non se ne parla quasi mai, eppure ogni giorno, ogni ora ci impegniamo in appelli o missioni di pace, di giustizia, di carità. Il nostro sostentamento è garantito solo dalla generosità di tantissimi amici e persone”.
Di persone Ernesto ne ha conosciute ed incontrate davvero moltissime: dai barboni ai capi di stato, dai giovani tossicodipendenti ai cardinali, dai disoccupati finiti sulla strada ai potenti del mondo. Gli uni per accogliergli, per offrire loro un aiuto concreto, un riscatto sociale; gli altri per perorare incessantemente, instancabilmente gli appelli alla Pace nel mondo, alla Giustizia sociale, ad una politica che rimetta al centro la dignità e i diritti dei più deboli.
L’incontro è stato anche l’occasione per la presentazione del suo ultimo libro “Per una chiesa scalza” in cui Ernesto racconta anche la storia del suo rapporto non sempre facile con la Chiesa.
Amico intimo di Papa Wojtyla, del Cardinal Martini e di numerosi altri porporati, confessa che non sempre gli uffici vaticani hanno accolto con entusiasmo e sostegno pieno le sue iniziative e proposte, ma alla fine “lo Spirito Santo, la Provvidenza illuminano le menti degli uomini, dei tanti santi uomini che guidano la Chiesa. Io amo infinitamente la Chiesa: è per questo che ogni tanto mi arrabbio”. “Non giudicare mai, non avere mai pregiudizi e non stancarsi mai di pregare, di confidare nel Signore”.
Questo è lo stile col quale Ernesto conduce il suo progetto di pace. Tutti gli uomini chiedono solo di essere incontrati, ascoltati, accolti. Nella semplicità e nell’estrema umiltà di questo “profeta” dei nostri tempi possiamo leggere una speranza viva, la testimonianza appassionata che con la fiducia e il rispetto reciproci, con la forza del sacrificio e della condivisione possiamo superare anche questo travagliato passaggio storico.
Abbiamo bisogno di uomini capaci di grandi slanci di solidarietà, di profeti in grado di traguardare i tempi, che parlino un linguaggio nuovo rispetto ai tanti fallimentari modelli artificiosamente e perigliosamente costruiti nel nostro relativismo postmoderno.
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