di Franco Isman su Arengario.net
(foto di Michele Isman)
Mercoledì 23 novembre: una serata voluta in particolare dall'assessore Alfonso Di Lio per ri-presentare le memorie di Giovan Battista Stucchi “Tornim a Baita – dalla campagna di Russia alla repubblica dell'Ossola” ristampate dopo più di trent'anni dal Comune, con la partecipazione dell'Anpi di Monza e Brianza.
Una Sala Maddalena abbastanza piena nonostante la concomitanza di Milan Barcellona…
Una illustrazione del libro che si è trasformata in un ritratto dell'uomo Stucchi: “ragazzo del '99” tenentino nella Grande Guerra, appassionato della montagna, avvocato, antifascista ma non militante, capitano degli alpini nella seconda guerra mondiale, dopo la tragica ritirata di Russia e dopo l'otto settembre entra nella Resistenza: "come spesso accade a coloro che hanno camminato a lato della morte e si sono poi trovati al di qua del pericolo, vedevo tutto chiaro, sapevo che la lunga marcia non era finita" scrive nelle sue memorie.
Di Lio fa una breve introduzione dicendo che Tornim a baita rappresenta un pezzo di storia della Città, poi presenta i relatori: Giorgio Rochat, storico, che aveva consigliato la pubblicazione del libro e ne aveva scritto l'introduzione, Pierfranco Bertazzini già sindaco di Monza, che aveva sempre apprezzato Stucchi come un avversario leale e preparato in consiglio comunale, Rosella Stucchi, figlia di G.B., che aveva curato il completamento del libro dopo la morte del padre nel 1980.
Rochat racconta qualcosa della biografia di Stucchi e dice che ha riletto dopo trent'anni il libro che ha trovato ancora bello, apprezza di più la prima parte sulla ritirata di Russia, ma anche su quanto avvenuto prima, e cita il bel brano dove Stucchi parlando davanti ai suoi soldati schierati prima della partenza per la Russia decide che vuole condividere il loro destino e che non avrebbe “recitato l'ignobile farsa dell'armiamoci e partite”. Si sofferma poi sui rapporti di Stucchi, delegato del CVL (Corpo Volontari della Libertà, il braccio armato del Comitato di Liberazione Nazionale), con i servizi inglese ed americano nelle persone di Mc Caffery e di Allen Dulles in Svizzera. Americani e inglesi vorrebbero dai partigiani soltanto informazioni e azioni di sabotaggio, mentre questi vogliono diventare una vera e propria armata di liberazione nazionale. Gli alleati si impegnano a paracadutare armi alle formazioni partigiane, ma non sempre questo impegno viene rispettato.
Bertazzini, in gambissima con i suoi novant'anni, comincia ricordando il loro primo incontro all'inizio della guerra sul treno Milano Monza dove lui, tenentino di prima nomina, vede salire un capitano degli alpini e scatta sull'attenti salutando, poi si presentano e lui racconta che suo padre era bidello al liceo Zucchi, e Stucchi lo conosceva bene.
Questa esibizione delle proprie origini proletarie da parte di un Bertazzini di solito un po' sussiegoso è stata bella e spontanea. Poi racconta di un suo biglietto di complimenti a Stucchi dopo un suo intervento in consiglio comunale di cinquant'anni fa, per dimostrare che le sue affermazioni di ammirazione e di stima non sono retorica. Infine una citazione dal libro: “il Paese più libero è quello che ha meno disoccupati”; applausi a scena aperta.
Rosella Stucchi racconta come alla morte del papà Gibì, nel 1980 nell'amata Bellamonte in Trentino, dopo una giornata a funghi ed un grappino serale, la prima parte del libro, quella sulla Russia era completa, mentre la seconda si componeva di parti battute a macchina e di numerosissimi foglietti manoscritti che lei aveva faticosamente composto un po' come un puzzle, magari con qualche ripetizione perché non voleva perdere nulla. Racconta di aver fatto leggere il manoscritto a Nuto Revelli che le aveva suggerito di rivolgersi a Rochat e di come questi si fosse mostrato entusiasta dicendole che era da pubblicare.
Poi, dopo la pubblicazione nel 1983, numerose recensioni (22) anche importanti e ne cita diverse:
Rigoni Stern su La Stampa parla di “prosa schiva e piana senza ombra di retorica e senza la giusta rabbia di Nuto Revelli”;
Leo Valiani sul Corriere della Sera scrive “… nell'epica battaglia di Nikolaewka, le memorie di Stucchi raggiungono il culmine della loro capacità rievocativa: Stucchi ne fa il resoconto nudo e crudo, così come aveva vissuto quella tragedia degli alpini mandati a morire nelle steppe russe con un armamento incredibilmente inferiore a quello degli avversari russi e degli alleati tedeschi…”.
E poi Enzo Forcella su Il Messaggero, Arturo Colombo ancora sul Corriere, Carlo Leidi su il Manifesto, Gianfranco Petrillo su l'Unità e tantissimi altri.
Giovan Battista Stucchi era un uomo di sinistra che aveva una grande sintonia con i giovani, per trent'anni in consiglio comunale a Monza, prima con il Partito socialista, poi con lo Psiup, infine indipendente. Così a sinistra che, diceva, in consiglio sentiva gli spifferi della porta…
Basta leggere i foglietti riprodotti, fedelmente riportati nel libro; in uno è scritto:
“La repubblica nata dalla Resistenza ne è la figlia degenere. Sì, è una repubblica ma a parte l'assenza del re il resto è tutto il contrario di quello che la Resistenza aveva configurato”.
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