Moltissimi amministratori locali brianzoli di comuni e provincia (sindaci, presidente, assessori, consiglieri) hanno risposto al richiamo dell’incontro con il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, avvenuto venerdì 21 c.m. nell’Aula Magna della Facoltà di Medicina a Monza.
E’ una voce autorevole, che parla chiaro e lineare, per ricordare costantemente ai cristiani la coerenza di comportamento, senza curarsi delle reazioni vivaci ed infastidite che vengono da chi ha evidentemente la “coscienza sporca”.
Tettamanzi ha voluto fortemente questo incontro perché vede negli amministratori locali i “politici” più vicini ai cittadini e al territorio e quindi i potenzialmente più efficaci a gestire i loro problemi ed opportunità, in poche parole il progresso sociale della comunità locale. Perciò esordisce esprimendo la sua riconoscenza agli intervenuti perché il loro ruolo è di essere “al servizio della persona e della sua ricerca di realizzazione e di felicità”.
Essi si preoccupano di problemi molto concreti, precisi, contingenti attraverso una conoscenza dell’ambiente “quanto mai preziosa in un’epoca in cui i processi di globalizzazione rischiano di trasformarci sempre più in abitanti inconsapevoli di luoghi anonimi”. E’ un servizio, che gli amministratori svolgono, in condizioni di maggiori difficoltà rispetto all’impegno politico a livello nazionale perché si svolge “con risorse umane ed economiche sempre più scarse” e perché esposti “in continuità e in modo diretto al giudizio dei cittadini” (critiche alle politiche di Tremonti e alla legge-porcata di Calderoli?). E’ peraltro un servizio, quello locale, che se bene svolto, fa comprendere alla gente l’importanza dell’azione politica in senso generale (e quindi esteso al livello nazionale!).
Dice Tettamanzi: “Sentiamo oggi più vivo il bisogno di una maggiore autorevolezza delle Istituzioni e di una accresciuta fiducia negli uomini e nelle donne che le governano” (a qualcuno saranno fischiate le orecchie!). Questo recupero è necessario perché “mai come oggi la politica, intesa come arte così difficile e così nobile, come l’ha definita Benedetto XVI, rischia di degradarsi sino a diventare un apparato costoso, preoccupato principalmente di rappresentare e tenere in vita se stesso” (altra fischiata!). A questo scopo offre agli amministratori l’aiuto delle comunità cristiane, impegnandosi a far cessare nelle stesse comunità, dai sacerdoti ai fedeli, “il pregiudizio e il sospetto con i quali si guarda a chi si occupa della cosa pubblica”.
Detto questo passa a parlare delle comunità amministrate. Per questo parte dalla famosa parabola del buon seminatore (passa dal Vangelo alla vita, come dice il suo vicario episcopale Cattaneo), che riporto, dal Vangelo di Luca:
“Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo se la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme ad essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto”.
L’amministratore pubblico come seminatore, Tettamanzi fa questo accostamento. Perché? Innanzitutto quattro diversi terreni, ma il seminatore con generosità e fiducia semina dappertutto. Cosa rappresentano i diversi terreni? Non si parla evidentemente di immobili più o meno preziosi, ma di “terreno umano”, costituito dalle persone che abitano un certo territorio, dalla cultura che esprimono, dalla loro organizzazione sociale, dalle attività culturali, educative, economiche che generano. In questo terreno possono trovarsi le quattro caratteristiche ricordate nella parabola.
Tettamanzi è stato lieto di riscontrare come nella Diocesi brianzola c’è moltissimo terreno fertile. Perché l’ambito familiare educa convenientemente, in ambito sociale ci si prende cura di chi ha più bisogno, in ambito economico si creano lavoro ed opportunità per i giovani. Su questo terreno si può partire per coltivare anche gli altri, che sono quelli rappresentati dal “disagio personale, familiare, economico, sociale, culturale”, dove sono riscontrabili tutte le forme di emarginazione, povertà, maltrattamento, ingiustizia, inefficienza. Sono terreni che non sono in grado, per ora, di essere fertili, ma che potranno diventarlo. Compito questo, la liberazione “dai sassi e dai rovi”, di chi si occupa della cura del territorio.
L’arcivescovo proponeva a questo proposito l’apertura di “quattro cantieri sociali” per confrontare le esperienze ed affrontare i problemi. Il primo cantiere serve per studiare e condividere il segreto del terreno fertile, ciò che funziona, con gli altri terreni. Il secondo serve ad individuare gli interventi per chi ha bisogno di aiuto per tornare autosufficiente. Cioè deve comprendere le nuove forme di povertà e trovare, attraverso il terzo settore e il volontariato, i necessari rimedi. Un terzo cantiere è necessario per intervenire sulla questione educativa (Tettamanzi insiste giustamente su questo aspetto). Il quarto serve per monitorare e diminuire il più possibile le forme di esclusione sociale (disabili fisici e mentali, malati terminali, detenuti, barboni…).
Qual è dunque il profilo del buon amministratore, quali le proprietà che deve possedere? Viviamo in tempi di crisi, talmente difficili che a mancare non sono solo lavoro e risorse economiche, ma anche la voglia di futuro e la speranza. Però la sapienza popolare ci ha insegnato che si impara di più dai momenti di difficoltà che da quelli felici. La crisi è dunque un’opportunità dalla quale può nascere il nuovo e il buono. L’amministratore deve esserne consapevole e professare intimamente e saper trasmettere fiducia. La fiducia va offerta a collaboratori, cittadini, soggetti della società civile, da coinvolgere e responsabilizzare: “per ottenere fiducia, occorre per primi saperla offrire”. Ancora, “ogni tempo porta con sé una profezia da scoprire”. Qual è quella del nostro tempo? E’ presto detto: siamo in un tempo in cui si è indebolita la comunicazione tra le persone, a causa della progressiva erosione delle relazioni, c’è una percezione di solitudine. Allora chi amministra deve seminare relazionalità in modo che i singoli cittadini di un territorio si sentano concittadini. Bisogna definire un orizzonte di bene comune condiviso, sostenibile e che guardi al futuro, in modo da scongiurare conflitti tra differenti gruppi sociali.
Sono inoltre necessarie lungimiranza e pazienza. Lungimiranza significa capacità di distribuire nei giusti tempi azioni e progetti, con la pazienza invece l’amministratore sa mettersi in ascolto della vita quotidiana, rendendosi più vicino alla vita della gente e alle sue quotidiane esigenze. Così si educano anche i cittadini ad una responsabile e doverosa pazienza. Con la pazienza, infine, ci si fa carico dei tempi lunghi della crescita sociale, culturale e civile di tutte le componenti della comunità. Lungimiranza significa sostenere la famiglia nelle sue esigenze concrete (qui Tettamanzi ha insistito a lungo dicendo, tra l’altro, che si annunciano numerosi sostegni alla famiglia, ma nei fatti non si vede molto!). Ancora, lungimiranza è preservare il patrimonio ambientale, i boschi, i terreni agricoli e verdi senza devastarlo in modo scriteriato per fare spazio a nuovi insediamenti commerciali o residenziali, non strettamente necessari (detto in modo piano e calmo, ma sono parole pesanti come pietre!). E ancora, l’amministratore deve essere dotato di perseveranza, deve avere cioè costanza e tenacia nel perseguire i giusti obiettivi e deve sopportare le avversità. Non c’è che dire, un profilo davvero impegnativo!
Ed ha continuato così a lungo parlando anche di giustizia (“I diritti dei deboli non sono diritti deboli”) e benevolenza (atteggiamento necessario nella nostra società che si presenta sempre più incattivita, nei pensieri, nelle parole e nelle azioni) per chiudere con la definizione del seme, per continuare il paragone con la parabola. Il seme buono è “il bene dell’uomo stesso, della persona umana, colta nella sua struttura di base, nei suoi dinamismi profondi e nelle sue fondamentali finalità”.
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