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“L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.”

La nostra Costituzione recita così al comma 1 dell’Articolo 10 – principi fondamentali: i Padri Costituenti hanno fatto sì che, in ambito internazionale, ci proponessimo con spirito di apertura e in senso inclusivo rispetto a ciò che ci accade intorno e che viene disciplinato attraverso trattati e organizzazioni (internazionali per l’appunto). Alcune interpretazioni dell’articolo citato lasciano spazio a visioni di matrice servile del bel Paese che, in tempi non sospetti, sono stati palesati in ambito europeo (lungi da chi scrive giudicare trattati sottoscritti, confronti politici in merito e tanto più governi italiani di qualsiasi colore politico che li abbiano siglati e intrattenuti).

La posizione geografica italiana mostra immediatamente come lo stivale sia il “luogo” di transito di merci e persone e un punto d’osservazione privilegiato sia in ambito civile che militare: la penisola è una portaerei su terra e un porto accessibile, hub del crocevia degli spostamenti marittimi mondiali.

La Storia, con la esse maiuscola, è passata per l’Italia e ha lasciato segni tangibili sulla nostra terra: influenze architettoniche e ingegneristiche, elementi culturali autoctoni e d’importazione, modulati e plasmati sulla matrice millenaria della nostra civiltà, fino ad arrivare a tradizioni culinarie di cui si è portato esempio in un precedente articolo. Gli italiani sono portatori sani di tutto ciò che il mondo ha vissuto, di cui ha parlato e che ha messo a disposizione per il miglioramento di molteplici aspetti dell’evoluzione umana. Purtroppo, l’altra faccia della medaglia vede il nostro Paese come hub militare d’eccellenza e bramato nei secoli da molteplici desideri imperialisti: dal controllo della penisola al controllo attraverso la penisola, passando da Stato e Chiesa.

Carlo Magno si fece incoronare dal Papa a seguito di un accordo che conferì il potere temporale all’Imperatore, dandogli lo sbocco sul Mare Caldo, obliterato e legittimato da incoronazione papale di cui l’oggetto materiale fu quella Corona che a Monza adoriamo e a cui afferiamo il nostro ingresso nella nobiltà mondiale: la Corona Ferrea adornò il capo del regnante che divenne Re dei Longobardi, spostando la – per così dire – cooperazione internazionale dei Longobardi dallo Stato Pontificio al Sacro Romano Impero, di cui entrarono a far parte salvaguardati da quell’accordo tra Re Carlo e Sua Santità. “Do ut des” semplificato: Carlo voleva controllare il Mediterraneo, ma per farlo doveva passare da un popolo protetto dal Papa, quindi scelse la via diplomatica. Con l’incoronazione sottomise il potere temporale a quello spirituale, avendo in cambio libertà d’azione temporale sul territorio di competenza ecclesiastica per eccellenza.

In un passato più recente, il nostro mare è stato attore non protagonista del momento più basso della cooperazione internazionale occidentale: sopra l’isola di Ustica, un DC9 ITAVIA scomparve misteriosamente durante le prime fasi di atterraggio su Palermo, all’incirca alle h.20.30 del 28 giugno 1980: il mattino dopo, affiorarono i cadaveri dei passeggeri in un raggio di circa 50 Km dall’ultimo rilevamento radar. Esplosione a bordo? NO. Dirottamento? NO. Improvvisa follia del comandante Gatti? NO.

Dal secondo dopoguerra, la nostra portaerei su terra è stata costellata di basi militari USA, di cui alcune poi riassegnate alla forza NATO: l’Italia era terra di confine tra i due blocchi e la diplomazia tricolore intratteneva rapporti con entrambi, fino ad arrivare alla moglie americana e all’amante libica. I pezzi sulla scacchiera scottavano tanto da rendere mortale una semplice mossa: il Rais provocava, la NATO rispondeva e gli italiani mediavano. Nel farlo, il 28 giugno 1980, ci rimisero la pelle 81 esseri umani. Nell’accertare la verità (percorso non ancora terminato), molte bocche vennero messe a tacere, altrettanti documenti caddero nell’oblio e, soprattutto, testimonianze e verbali radar militari italiani risultano tuttora mancanti.

Come anticipato, l’Italia: osservatore privilegiato e attore non protagonista dello scacchiere internazionale e base strategica, ponte di collegamento tra Occidente e Oriente o mix di culture?

Il nostro privilegio lo conosciamo bene ormai: protagonisti, comparse o vittime noi ci siamo sempre.

Questi sono solo alcuni esempi storici di come il tricolore brilli negli occhi di menti e braccia potenti e di come sia protagonista – talvolta a sua insaputa – di questioni e trattative di respiro mediterraneo e d’altre terre e mari. Alcuni “cliché” però rimangono invariati, come a testimonianza di continuum geopolitico millenario, di cui sua Signora Italia ne è prima donna. Il parallelo storico è sul platino di portata: sull’attuale scacchiere internazionale, che ruolo civile e militare ha la nostra nave? Chi è al timone su quale rotta ci sta portando? I rematori remano? Il vento è in poppa? Ma soprattutto, qual è stata l’evoluzione delle relazioni internazionali (civili e militari) dall’ultimo dopoguerra a oggi?

Come in ogni analisi, non esiste uno univoco scenario di partenza, un anno zero dello stato naturale delle cose dal quale tracciare un vettore di lettura: nelle relazioni internazionali, nel gomitolo multicolore ogni sfumatura s’interseca secondo una volontà, quella del timoniere.

Il quesito è: sappiamo cosa è successo? Sappiamo cosa succede? Cosa e quanto futuro possiamo prevedere?

Torna sempre il sommo Thomas Hobbes, che con la domanda delle domande dà origine a ogni chiave di lettura: “Allo stato naturale delle cose c’è la guerra o la pace?”

Analizzando le controversie internazionali (armate) attualmente in svolgimento, ci accorgiamo immediatamente di come le sfumature di cui sopra determino delle zone d’ombra di difficile interpretazione: dall’Ucraina alla Palestina, passando per Libia e Balcani, il terreno sul quale poggia lo stivale è insidioso, con il “passo falso” dietro l’angolo, e l’Europa per una volta, forse, poggia sul tacco dell’eleganza Romana nel percepire i venti, le maree e orientarsi tra le stelle. Il tutto nella consapevolezza che, a bordo della nave, ci sono passeggeri variopinti di estrazioni sociali differenti, afferenti a diversi gruppi sociali, speranzosi di nuove e diverse rotte di sicurezza. A chi la decisione? Chi è il comandante della nave? Quale la scelta?

Fino al 1989 c’era un muro a delinearla, netta e contrapposta all’altra, identificante due modelli di vita (approssimazione doverosa) differenti e facilmente affrancabili rispetto alle sfumature dell’inclusività di una Democrazia – quella europea – che è protagonista del modello di vita migliore esistente sul pianeta: in esso il potere è ripartito e bilanciato da pesi e contrappesi fatti di organi decisionali collegiali, disciplinati e ancora una volta, in loro stessi, rispettosi dell’altrui facoltà di espressione del pensiero. In una parola: DEMOCRAZIA!

La via diplomatica, il concept che rende possibile l’umano disciplinare delle relazioni internazionali e l’esistenza delle O.I., è la garante del rispetto per la nostra terra e il popolo di cui orgogliosamente faccio parte perché noi, nonostante calpesti e derisi, siamo un popolo e non siam divisi. La provocazione di Mameli suona da monito: siete divisi!

Un retaggio storico inevitabilmente alla luce di tutto il mondo ma che manca di un’interpretazione di più ampio respiro: quella delle relazioni internazionali che poggiano sulla dicotomia tra guerra e pace. Quindi, se da sempre fummo “calpesti e derisi”, da sempre ci siamo ribellati, rinascendo e risorgendo ma, soprattutto, unendoci. L’unione di tribù diede vita a Roma, l’unione di contee e ducati diede vita all’Italia e oggi, l’unione tra Stati dà vita all’Europa. Tutto ciò necessita di un’unica condizione: esserci. Come l’Italia è sempre stata al centro delle relazioni tra stati e modelli di vita (politicamente ed economicamente intesi), gli italiani sono al centro delle relazioni tra popoli e culture e, per fare ciò, hanno cominciato dialogando tra di loro, tra tribù, contee, ducati, Stato e Chiesa.

La partecipazione, il dialogo e il confronto sono ancora il porto sicuro della nave Italia, quella boccata d’ossigeno alla quale tutti speriamo di arrivare presto, in tempi di mari tempestosi e stelle sbiadite.

L’esempio di Roma civiltà millenaria, creatrice di filati di seta di cultura, è l’unica stella di cui abbiamo bisogno, per ricordare a noi stessi chi siamo: italiani, europei, persone, esseri viventi tra altri esseri viventi che, a prescindere da tutto il resto, accettano, rispettano e accolgono l’altrui esistenza. Un mix di culture come di sfumature di colori, influenze architettoniche e artistiche che solo il Bel Paese ha potuto e può sostenere, ostentare ed esportare in tutto il continente come cultura di tutti, perché tutti sono passati da noi.

E allora sventola, bandiera della Democrazia, verde bianca e rossa, a bande verticali di eguali misure.

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