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PartecipoErgoRappresento ViaArosio1. La partecipazione attiva è formazione.

Contestualmente all’attualità, l’attivismo politico inteso come partecipazione alla vita politica della propria comunità è caratterizzato da un’evoluzione in senso numerico, quantitativo e capillare delle competenze necessarie ad un’analisi più realistico-veritiera della fetta di mondo in cui la sfera sociale di riferimento brama un cambiamento correttivo di una situazione di disagio.

La militanza attiva è dunque chiamata ad un processo di formazione corposo e meticoloso: fare politica vuol dire crescere e produrre ricchezza intellettuale a disposizione di tutta la comunità che o per scelta o per necessità non partecipa alla vita politica ed alla formazione delle decisioni che delineano la continuatio del quotidiano di ognuno di noi. È impossibile pensare che un unico soggetto attivo possa acquisire quantità di informazioni tali da assumersi la titolarità omnicomprensiva delle competenze necessarie ed atte a prendere decisioni di portata tale da assicurare benefici alla società. D’altra parte, nei secoli addietro, anche il più assolutista dei monachi era sempre circondato da un gruppo di consiglieri fidati e/o posti nelle condizioni tali essere da dover proporre soluzioni esaustive e gradite al sovrano, pena l’allontanamento o, nei casi di deriva tirannica della sovranità, la morte.

Ritornando ai giorni nostri, si fa largamente strada la questione del senso della comunità - politica attiva - , attiva sui fronti della formazione personale e della condivisione delle informazioni in sede espositiva assembleare che determina la buona navigazione di un Governo nelle acque torbide o cristalline della rotta intrapresa; il Mondo è in continuo cambiamento, evoluzione, modifica, miglioramento o deterioramento ed una classe politica preparata, bramosa nei giovani, ponderatamente sicura nel poter cambiare il mondo, che può attraverso formazione e partecipazione quotidiana e continua, un brulicante scambio di informazioni ed esperienze, dare il proprio contributo al cambiamento della società mantenendo la barra di navigazione dritta sull’orizzonte più lungimirante esistente, sapendo che esso si raggiunge solo passo dopo passo e, soprattutto, mantenendo vele spiegate salde all’albero maestro della giustizia sociale.

I veri cambiamenti sono quelli che partono dai giovani e si diffondono nella società secondo un’accettazione sociale di giustizia del cambiamento stesso, in quanto miglioramento delle condizioni di vita di tutti; quindi, come disse il Presidente Sandro Pertini:” sempre dalla parte dei giovani e della giustizia sociale”.

 

  1. La formazione è altruismo.

Se si dovessero trovare definizioni per la politica, una di esse riguarderebbe certamente la funzione altruistica dell’azione di un gruppo politico e/o del singolo militante. Etimologicamente la parola è di origine greca: polis e téchnē, ovvero la tecnica che gestisce la città; doveroso è contestualizzare la definizione nelle città-stato dell’antica Grecia: l’aspetto tecnico è stato argomentato ed è ora il momento di soffermarsi sull’aspetto politico inteso come arte della retorica e della soggettività intrinseca in ognuno di noi nell’esprimere il proprio pensiero. La scelta delle parole è dunque il primo step formativo di un soggetto politico, il quale deve saper scegliere le parole giuste per comunicare e veicolare un messaggio che è testimonianza degli ideali politici dello stesso e del gruppo politico di appartenenza, definisce la linea politica di governo della polis ed il concatenamento opportuno permette di ottenere un consenso dall’agorà: è proprio nell’agorà ateniese che inizia la politica: i saggi si riunivano per discutere i problemi della città, ivi comprese le minacce esterne e la possibilità di alleanze elleniche volte al respingimento del nemico comune. Le decisione che esce dalla prima forma primordiale di esercizio della Democrazia parte dalle informazioni raccolte all’esterno dell’ “aula” nella quale ci si riuniva per poi affrontare il tema attraverso contributi tecnici, pragmatici e volti ad una definizione pragmatica della soluzione scelta tra le varie proposte secondo un principio di maggioranza assoluta: è qui che si reinnesta la soggettività dell’arte della politica attraverso una o più traduzioni dal tecnicismo, attraverso l’arte della retorica, la persuasione diventa il metodo risolutivo del “conflitto” tra le parti, tra le proposte vengono estrapolati gli aspetti ritenuti migliori per realizzare concretamente e tecnicamente la linea politica del Governo della Polis.

Quindi, oggi, la composizione della sfera politico-amministrativa come si è evoluta dalla genesi ellenica?

Che si parli di militanti, dirigenti, segretari e presidenti di partito, la relazione con personalità aventi una formazione tecnico/scientifica è da osservare con una lente bidirezionale: i tecnici hanno bisogno delle informazioni e dei desiderata raccolti sul campo dalla militanza politica e portati nelle sedi decisionali dalla compagine politica eletta ad amministrare un territorio, essi elaborano proposte tecniche volte alla risoluzione di un problema od al cambiamento di una criticità sollevata dalle istanze popolari. A loro volta, i politici scelgono quale soluzione (od il mix tra le proposte) sia la più adatta secondo principi di lungimiranza etica conforme ai principi del partito politico di appartenenza ed aderenti alla linea politica di governo intrapresa.

In conclusione, la formazione politica è necessaria quanto la formazione tecnico/scientifica, che cooperando all’unisono in un turbinio di scambi e riscambi di informazioni e dati tecnici, elaborano il pacchetto di scelte che vengono attuate sul territorio ad aventi come target il miglioramento delle condizioni di vita della sfera sociale di riferimento: la formazione è la premessa politica per l’attuazione tecnica del più grande atto di altruismo esistente: la Politica.

  1. La storia politica insegna.

La politica in quanto forma di aggregazione di singoli individui aventi un obiettivo comune: la rivendicazione di diritti su più temi (lavoro, salario e condizioni di vita in primis) attorno al primo quarto del XVII secolo; questi primi gruppi di “pressione” erano composti da elementi della plebe, piccola, media ed alta borghesia: proprio quest’ultima fascia la più bramosa, ma non in quanto all’ottenimento di diritti ma ad un suo riconoscimento da parte della nobiltà.

Facciamo un passo indietro e contestualizziamo la sfera economico sociale all’inizio del XVII secolo: siamo agli albori della prima rivoluzione industriale, quindi parliamo di una società in fervore dove botteghe artigiane, piccole fabbriche, commercianti e operai vedono davanti a se un futuro migliore, un progresso ed i primi ostacoli da superare per il raggiungimento dei propri obiettivi; soprattutto, questa fascia di popolazione che verrà poi chiamata Terzo Stato, comincia a muoversi nel quotidiano con un piccolo potere di acquisto che da valore alla propria esistenza: inizia quel processo di autostima che comporterà il riconoscimento in se stessi della propria individualità in quanto esseri umani, l’utilità personale e sociale delle proprie azioni ed esistenza e quindi la bramosia del riconoscimento dei di diritti di cui, fino a pochi anni prima non si immaginava l’esistenza. I Re erano padroni del diritto di vita dei sudditi.

Nascono quindi le prime aggregazioni spontanee al di fuori degli ambienti di lavoro, nelle piazze, nei retrobottega e le primordiali forme di organizzazione di gruppi d’interesse: chi aveva tempo e risorse per poter gestire le formazioni politiche, farsi portatore delle istanze nei salotti buoni e contatti con la nobiltà potendo così rendersi portatore delle istanze popolari: l’alta borghesia. I membri di quella che oggi potrebbe essere chiamata Confindustria colsero la palla al balzo per cercare di entrare nei salotti della nobiltà ed acquisire lo status-quo di nobile su base economica: nella sostanza i soggetti in questione raccoglievano le istanze, aggregavano i desiderata ed i soggetti portatori sani delle istanze di cui sopra, tenevano i primi comizi ed annotavano ciò che ne emergeva per poi “sfruttare” il senso di frustrazione popolare come mezzo di pressione sulla nobiltà: nascono i Partiti di Notabili. Per notabili s’intende persone che si distinguono dalla massa per potere economico, istruzione, e “ricchezza”; per l’appunto l’alta borghesia.

Nel proseguo degli anni, i primi Parlamenti si strutturano, si ampliano e trovano luoghi fisici riconosciuti come ring della politica: tuttavia l’allora struttura sociale per ordini, nobiltà, clero e terzo stato, non prevedeva alcuna flessibilità tra i soggetti componenti il singolo ordine, ne la possibilità di trasposizione di un soggetto da un ordine ad un atro, ne - è questo l’aspetto politico chiave – l’ascolto da parte di nobiltà e clero delle terzo stato: nelle convocazioni parlamentari, il terzo stato poteva solo ascoltare e prende atto di quando deciso dagli “esseri superiori”, riportarlo all’esterno alla propria militanza e tentare attraverso azioni disorganizzate e portate avanti pressoché da piccoli gruppi; sostanzialmente, queste forme di protesta violente venivano snobbate in anni in cui il benessere cresceva e comunque, che le istanze venissero ascoltate o meno, il popolo intravedeva dei miglioramenti nella propria condizione di vita.

Ma il mondo cambia.

Dall’epoca del Re Sole, Luigi XIV, a suo nipote, Luigi XVI, l’allora centro culturale d’Europa, la Francia, vede un declino la cui colpa risiede nella supponenza della nobiltà dell’epoca, in un Re incapace di mantenere saldo il comando nelle sue mani, nella sua inesistente autorevolezza, ed una Regina, reietta dalla propria famiglia (Austriaca), mandata a centinaia di Km per sposare un uomo di cui non conosceva nemmeno il volto e, caratterialmente frivola e lasciva: Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena (d’Austria). Fredda manipolatrice, supponente più di tutte (oggi diremmo prima donna), viziosa, viziata, amante della “bella vita” come se le fosse dovuta a causa dell’imposizione nuziale e rancorosa nei confronti della famiglia d’origine, ella si distinse come l’incarnazione della beffa oltre al danno (il marito) per il popolo.

Le feste a Versailles si sprecavano, la sua lascivia e frivolezza trovarono espressione nello spreco, nell’opulenza e (senza alcun giudizio) nei continui tradimenti nei confronti di un marito totalmente in balia degli eventi di palazzo, di Nazione e di guerre che producevano figli morti in battaglie atte ad ampliare l’ego del sovrano, la ricchezza della nobiltà ed il budget per le feste della moglie; insomma, il popolo moriva di fame e di piombo ed a palazzo si faceva festa tutte le notti.

Maestà il popolo non ha il pane!”, “Ditegli di mangiare le brioches.”; questa la celebre frase di sua maestà che scoccò l’ora de la Revolution, tuttavia bisogna necessariamente fare un passo indietro e parlare della convocazione dell’assemblea parlamentare del 1789, nella quale il Clero ma soprattutto la Nobiltà, preoccupata dei tumulti di una polveriera popolare pronta ad esplodere, diedero la possibilità al Terzo Stato di intervenire in Parlamento: il disperato tentativo di acquetare un popolo ormai esausto solo frutto della consapevolezza della paura di perdere i propri privilegi e non di una reale sensibilità, sommati alle brioches fecero esplodere quella polveriera che mai fu presa in considerazione; la Bastiglia è presa.

I cambiamenti che partono dal basso trovano il loro compimento nel sangue delle rivoluzioni.

Compiendo su salto temporale, ponderato ad un aumento progressivo dell’interesse alla vita politica da parte della popolazione, destreggiandosi tra rivoluzioni, controrivoluzioni e cambi di forme di Governo, si arriva al XX secolo ed alla definizione di: partiti di massa.

È necessario fare alcune precisazioni a riguardo prima di addentrarsi nell’analisi di questa forma di partecipazione, se di partecipazione vera si può parlare.

Il primo riferimento è da porsi nei riguardi dei tre totalitarismi che hanno caratterizzato l’Europa nella prima metà del secolo: Fascismo, Comunismo e Nazismo: non si deve far riferimento tanto alla forma di Governo che, a prescindere dal colore politico porta in seno tratti distintivi comuni ma ai partiti che hanno ne hanno dato origine; l’apparato interno, in particolar modo, ha come tratto distintivo di paramilitarismo, anch’esso comune a tutti e tre i partiti. Una visione piramidale piuttosto ripida, che conferisce il pieno comando dello strato superiore nei confronti dell’inferiore e della base del partito. Tale base è tanto più ampia tanto più il consenso è radicato: ecco la massa di cui si fa riferimento: la base del partito.

Le grandi adunate, intrise di ritualità politiche, ivi compreso il “saluto”, oltre che elementi trascendentali con un’architettura slanciata verso l’alto volti a richiamare un riferimento divino e accompagnatore della missione del leader, hanno progressivamente alienato le individualità e conferito all’uomo sull’altare dell’eletto quel ruolo di riferimento di vita e non più solo politico: la progressiva totalizzazione del controllo sulla popolazione ha fatto il resto, governando il gregge in maniera sempre più capillare e totale. Tutti partecipavano alla vita politica ma non come esseri pensanti, bensì come materia informe del pensiero del partito e del leader: una massa inerte, esaltata al momento giusto e soggiogata in ogni possibile pulpito che andasse non esattamente nella direzione del partito unico al governo.

Arriviamo quindi al secondo dopoguerra, con tre grandi partiti: Partito Comunista, Democrazia Cristiana e Partito Fascista; è doveroso annoverare comunque il partito Liberista e Partito Socialista che però, proprio per quanto detto, avevano una rilevanza di bassissimo conto: è da qui però che comincia la risalita dell’affermazione degli aspetti idealistici ed il loro frastagliamento che determina un emisfero parlamentare sempre più segmentato e la possibilità di ogni singolo individuo di identificarsi in maniera più libera ed aderente alle formazioni politiche presenti nell’arco parlamentare. Complice un sempre più basso tasso di analfabetizzazione ed un sempre più alto livello di formazione accademica, nonché un progresso economico che apre la mente consentendo consumi più squisitamente di proprio gusto nonché l’accesso ad attività ludico-formative che non sono più assoggettate al controllo totale ed all’indottrinamento politico, il popolo diventa sempre più individualista, nel senso positivo del termine. Ma c’è sempre una deriva: il materialismo.

All’inizio degli anni 80 e conseguentemente alla disgregazione di grandi movimenti politici come la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista, si assiste ad una ulteriore capillarizzazione e suddivisione dei partiti, la cui conseguenza per il popolo è, paradossalmente, la difficoltà nell’identificazione e nella rappresentatività di un partito politico poiché alcune sfumature idealistiche risultavano condivise tra più formazioni politiche.

Gli scandali della prima repubblica, il clientelismo ed il malaffare emersi con mani pulite hanno così fornito una (giusta) causa per una disaffezione per la politica ed un allontanamento da quella componente idealistica che fungeva da collante tra popolo e politica: sentirsi presi in giro, derubati e defraudati dei meriti del progresso del paese dal 1945 ha così spostato l’attenzione su “valori” materiali e concreti derivanti da azioni personali di breve periodo; in politica, tale dinamica si identifica come un’ascesa del leader a scapito degli aspetti valoriali la cui iperbole la si vede nella comparsa del nome del Segretario di Partito sul simbolo del patito: nascono i partiti piglia-tutto.

La componente facente da spartiacque con il passato è una non-componente: l’ideologia.

I partiti piglia-tutto si caratterizzano, infatti, per una scarsa componente ideologia compensata da una forte leadership del front-runner, o leader per l’appunto: la loro azione politica volta al consenso elettorale si basa su fattori di breve termine, confezionati di campagna elettorale in campagna elettorale, salvo uno o due punti fermi che garantiscono il seguito di militanti ed iscritti, fonte di sostegno economico ed operativo; non a caso, quando molti fattori di breve termine cambiano (nel breve periodo) si assiste a scissioni, nascite di nuove identità politiche ma non ad un cambio di leadership.

Poco altro si può dire di questi soggetti politici se non che essi rappresentano un mondo in continuo cambiamento, rapido, a volte con passaggi in contrasto tra precedente e successivo, globale e di difficilissima interpretazione per chi si vuole identificare in valori fermi e perpetui ma guardando con fiducia al futuro, al progresso ed al riformismo in chiave di identità valoriali che plasmano e si plasmano con la concretezza dell’azione politica in quanto governo del mondo e rappresentanza estesa del potere del popolo sovrano.

L’animale politico è in evoluzione, sempre, come ogni essere vivente, perché la politica vive del mondo, nel mondo e trae nutrimento dal mondo stesso che lancia continui segnali di evoluzione, che vanno interpretati, sviscerati, analizzati e metabolizzati, nonché presi a motivazione per chi vuole partecipare attivamente al cambiamento, alla definizione della linea politica che lo realizzerà ed alla conservazione di valori dai quali non si potrà mai fare a meno, come il rispetto del Pianeta, il rispetto della vita umana, il rispetto del lavoro in qualunque sua forma onesta si manifesti e si esprima, il rispetto dell’altrui pensiero, parola e modo di vivere, il rispetto di ogni inclinazione caratteriale e sociale e, per finire, il rispetto dell’espressione del voto e di ciò che ne deriva, in quanto unica, vera, concreta, salvaguardia del popolo e del suo immenso potere: in una parola, la salvaguardia della DEMOCRAZIA.

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