La Presidente Meloni ha proposto e illustrato brillantemente, all’assemblea della CGIL, la politica neoliberista del suo governo. Quarant’anni dopo i suoi genitori: Ronald Reagan e Margareth Thatcher.
Quello che conta, secondo questa visione, è l’aumento del PIL, non importa come distribuito. Per redistribuire il reddito, si dice, prima bisogna produrlo.
Il sistema fiscale non deve essere progressivo, ma piatto, cioè vantaggioso per i ceti più ricchi.
Quando la marea si alza, tutte le barche si alzano. Se i ricchi diventano più ricchi, poi, per thrickle down (gocciolamento), tutti ne saranno avvantaggiati.
Se una persona non guadagna abbastanza per sostenere la propria famiglia, non bisogna aiutarla troppo perché non avrebbe più lo stimolo a lavorare.
No al salario minimo perché spinge le aziende a pagare meno i dipendenti. Lasciamo i salari alle leggi del mercato e degli sfruttatori.
Molti ancora la bevono. Diceva J, M. Keynes: «Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto». Meloni è una donna pratica.
Spero che qualcuno di sinistra risponda, argomentando come e meglio di lei.
Che la sinistra non intende affatto aumentare le tasse a chi già le paga, né aumentare il debito pubblico, che grava sulle nuove generazioni;
Che d’altra parte ci vogliono ingenti risorse per migliorare la situazione drammatica dell’istruzione pubblica, della sanità, della casa, della giustizia, dell’ambiente.
Che l’aumento del PIL non aumenta il benessere della società e le entrate dello stato, se va nel tasche di poche persone che lo accumulano e non pagano le tasse. La sua produzione e i suoi impieghi debbono corrispondere al benessere della società e andare di pari passo con un'equa distribuzione.
Che quindi la lotta contro gli evasori, basata su prove certe, è necessaria e possibile: nel 2022 sono stati recuperati oltre 20 miliardi di euro di una evasione che si stima intorno al 100 miliardi, il 10% del bilancio statale. Occorre proseguire su questa strada, in modo mirato.
Che occorre ridurre le disuguaglianze: in Italia il 10% delle persone più ricche possiede oltre il 50% delle ricchezze totali, mentre il 50% meno abbiente ne possiede meno del 10%.
Che il principio “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” non l’ha inventato Marx, è scritto nel Vangelo.
Che quindi il sistema fiscale deve essere decisamente progressivo. Contrariamente a certe teorie astratte (curva di Laffer e dintorni) il sistema progressivo, anche molto spinto, (oltre il 70%) ha dato buona prova dal 1930 al 1980, prima del neoliberismo.
Che una riduzione delle disuguaglianze conviene a tutti, salvo che ad alcuni, sia sul piano economico (maggiori consumi) sia su quello della sicurezza (meno cittadini esclusi).
Che sarebbe il caso di adeguare le imposte italiane sulle eredità e donazioni più ingenti ai livelli dei paesi civili.
Che una tassa progressiva sui patrimoni limitata al 5-10% dei contribuenti più ricchi, esentando quindi il 90-95%, della popolazione, non sarebbe un problema. Molti “capitalisti” che prosperano in una economia sana, anche in Italia, si sono dichiarati disponibili. Come nel caso della lotta ai monopoli, data da sempre per scontata, sarebbe doveroso contrastare le eccessive concentrazioni di ricchezza e potere in poche mani.
Che per far fronte alle carenze nell’istruzione, la sanità, la casa, la giustizia, la difesa dell’ambiente, occorre una energica spending review a carico degli enti e degli interventi inutili o meno urgenti, spesso imposti da gruppi di potere, lobby, corporazioni.
Che la politica industriale dello Stato deve favorire le attività produttive la cui governance applica criteri avanzati in termini ambientali, sociali e gestionali (ESG).
Che il reddito di cittadinanza, o d’inclusione, è un ottimo contributo ai consumi, e quindi al PIL, e alla sicurezza.
Che il salario minimo è una regola dei paesi civili.
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