Legittimamente e responsabilmente molte attività di aggregazione, di socializzazione e di animazione sono state sospese in queste settimane: a salvaguardia della salute degli utenti, del personale, e dei loro familiari. Che cosa crea questo stato “forzato” di cose?
Anziani che non possono frequentare i Centri diurni, che sono, oltreché luoghi di ritrovo e socializzazione, anche luoghi di verifica delle condizioni di salute, fisica e psichica, di condivisione delle difficoltà e delle paure, occasioni di relazioni affettive ed amicali.
Pazienti psichiatrici che non possono frequentare i Centri di riferimento, sanitario e sociale, e che quindi perdono una routine spesso così faticosamente costruita nel tempo e delle abitudini che per molti di loro costituiscono uno strumento prezioso per mettere ordine e pace in stati d’animo spesso disturbati da disequilibri, angosce incontrollabili, manie a volte problematiche per sé e per gli altri.
Persone con disabilità che non possono frequentare i Centri Socio Educativi (strutture per la medio-alta gravità) e che quindi perdono l’unica possibilità di uscire di casa, di avere contatti con altri che non siano la propria stretta cerchia familiare ed il controllo socio-sanitario che questi servizi garantiscono.
Adolescenti in difficoltà che non possono frequentare i Centri di Aggregazione, e che quindi rimangono ulteriormente soli, facile preda di tentazioni e richiami aggregativi che, oltreché pericolosi per la salute fisica, sappiamo essere quantomeno “inutili” se non dannosi, per quella psichica e relazionale.
Oltre a tutte queste problematicità che riguardano le persone con particolare fragilità, le ricadute sono “importanti” e particolarmente onerose per le loro famiglie, per diversi motivi: si potrebbe essere in difficoltà a trovare soluzioni di accudimenti sostitutivi di familiari che comunque devono continuare a lavorare; si potrebbe essere schiacciati dal peso della gestioni di assistenza e cura quotidiana continua e senza “tregua”, venendo a mancare quella funzione di sollievo alle famiglie che tutti questi servizi offrono; si potrebbe perdere quello spazio di confronto e di sostegno che l’incontro con gli operatori e con le altre famiglie garantiscono in condizioni “normali”, dove la normalità è comunque segnata da criticità croniche, che non finiscono mai, che non danno mai respiro.
Ecco: tutto questo è ineliminabile in questi giorni: non si può fare nulla di diverso. Chiediamo, tuttavia, che gli operatori delle strutture, sollevati dalla gestione quotidiana di questi servizi, si rendano disponibili a contatti almeno telefonici, a sporadiche visite “da lontano” per tenere accesi i fili di relazioni fondamentali per la vita delle persone fragili e per la “tenuta” delle loro famiglie.
I Codici Deontologici delle professioni di aiuto, prevedono che gli operatori delle istituzioni, sia pubbliche che del privato, che si occupano di servizi alle persone, si rendano disponibili al supporto delle situazioni di emergenza: questa E’ una situazione di emergenza, per tutti ed, ancora di più, per chi fa più fatica. Contiamo su questa responsabilità professionale, che vale tanto quella degli operatori sanitari che stanno dando l’anima negli ospedali, e siamo sicuri che non verrà a mancare.
In sicurezza per gli operatori, certamente, ma in modo creativo ed innovativo nelle forme e negli strumenti.
Chi deve vigilare e sollecitare a che tutto ciò sia garantito, lo faccia! Non basta rivolgersi, appoggiarsi e sollecitare le forze del volontariato, che già MOLTO generosamente stanno facendo la loro parte in prima, seconda e terza linea: il soggetto pubblico attivi responsabilmente una diversa prossimità, che non faccia veni meno il sostegno, il conforto, l’aiuto. Perché NESSUNO RIMANGA SOLO!
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