Le proteste in atto a Hong Kong, ormai da marzo scorso, nascono in seguito alla proposta di legge sull’estradizione, che stabilisce l’estradizione in Cina di coloro che sono accusati di omicidio o di violenza. I dimostranti sono preoccupati che tale legge dia adito ad una violazione dei diritti umani, perchè simpermetterebbe di estradare gli oppositori politici al Partito Comunista Cinese, conducendoli a giudizio nei tribunali più iniqui al mondo.
Questa legge è un tassello del profondo contrasto tra Cina continentale e Hong Kong. Già nel 2014, infatti, vi furono proteste contro la riforma del sistema elettorale di Hong Kong, percepito come una preselezione dei candidati da parte del Partito Comunista Cinese. Questi rappresentano i tentativi di Pechino di erodere l’autonomia economico-politica di cui Hong Kong, ex colonia britannica, gode grazie agli accordi tra Gran Bretagna e Cina del 1997.
Le proteste, nate con un confronto pacifico, si evolvono in un diretto attacco politico contro la Cina il 12 agosto, giorno in cui si apprestava ad essere discussa la legge. Infatti, improvvisamente, un gruppo di manifestanti, abbattendo la resistenza della polizia, sono entrati nella sede del parlamento, mostrando una bandiera del periodo coloniale britannico. Questi hanno poi scritto sui muri graffiti di protesta indirizzati alla governatrice Lam e contro Pechino.
I manifestanti, non a caso, mostrando slogan come “Hong Kong libera” o “ Hong Kong non è la Cina”, durante i loro cortei, provocatoriamente definiscono le proteste “un’era di rivoluzione”.
Una formula ovviamente poco gradita al Partito Comunista Cinese, che sembra focalizzato unicamente a mantenere il monopolio del potere sulla Cina.
Le proteste intanto continuano incessanti da Marzo. Addirittura, per attirare l’ attenzione mondiale e quella mediatica, il 13 agosto i manifestanti hanno occupato l'aeroporto internazionale della città. Il 24 agosto migliaia di cittadini hanno “formato un’ iconica catena umana” durante una marcia autorizzata, degenerata poi in violenza a causa di alcuni manifestanti che hanno lanciato mattoni e pali contro i poliziotti. Per contrastare questa violenza i dimostranti hanno adottato lo slogan “BE WATER”, nella speranza che una struttura fluida e priva di leadership sia resiliente. I social hanno un ruolo, non scontato, nella comunicazione priva di interferenze del governo cinese. Attraverso gli account di Instagram, Telegram e Linkg i manifestanti si scambiano informazioni, organizzano flashmob e condividono tattiche. Il successo di queste proteste risiede nella loro estemporaneità. Infatti quando sopraggiungono i poliziotti a contrastare la manifestazione, i manifestanti si difendono e fuggono per dar vita a un nuovo corteo in una zona diversa.
Pechino sta dunque mettendo “il piede sull’acceleratore”, in quanto l’ ex colonia britannica è un tassello decisivo per i piani di sviluppo. Forse porre la parola fine all’ amministrazione speciale prima del dovuto rappresenta una conferma del monopolio del potere del partito Comunista Cinese, ormai infastidito dal espressioni come: “ una Cina, due sistemi”, amata tanto da noi occidentali.
Queste proteste sono un evento straordinario, dal momento che i dimostranti non sono più soltanto insegnati, studenti, impiegati, ma sono anche lobbisti. Ciò mostra il forte senso di identificazione come cittadini di Hong Kong, e non della Cina, da parte dei popolazione, che probabilmente vivrà a lungo nella ex colonia, anche quando inevitabilmente questa sarà soggetta al potere del PCC. Sebbene alla fine fu Davide a vincere contro Golia, questa battaglia si concluderà con l’annessione di Hong Kong allo stato cinese, eliminandone l'ambiguità dei due sistemi probabilmente con un dura oppressione, di cui ci giungeranno pallide informazioni.
Report