La nascita del PD, dieci anni fa, è il risultato di una idea liberal di Veltroni e Rutelli, di unire le forze democratiche, ricostruire una sinistra di governo che assumesse responsabilità e capacità per cambiare e modificare i blocchi conservatori e corporativi, che impedivano alla società di evolvere economicamente, socialmente e culturalmente.
Questo presupponeva superare posizioni classiste ottocentesche, cosi come posizioni interclassiste e clientelari che avevano caratterizzato tutto il dopoguerra dai partiti comunista e democristiano. La fine dei due partiti, l’uno per il fallimento storico della sua esperienza e ideologia; l’altro affogato nelle sue contraddizioni clientelari; ha condensato nel PD le forze e le persone più sane e democratiche delle sinistra storica, come della sinistra cattolica e centrista. E’ nato cosi il PD. Più per un processo empirico che per un’elaborazione teorica.
Questo è stato il suo difetto e il suo limite, insieme al suo pregio. E’ mancata una discussione di massa sulle ragioni teoriche e politiche del superamento delle rispettive ideologie. Questo ha comportato incertezze comportamentali e ambiguità strategiche, che hanno disorientato moltissimi compagni, militanti e amici democratici. Ad esempio D’Alema era contrario alla denominazione di “democratico” perché troppo generico, preferendo “socialdemocratico” come se non ci fossero da discutere e cambiare pozioni teoriche e pratiche della socialdemocrazia europea. Cosi come, sempre D’Alema, era contrario a un partito unico della sinistra, in polemica con Bobbio, per valorizzare le differenze, diceva. Ma in verità per un residuo di concezione leninista del potere e di una visione di partito “ristretto” di militanti a tempo pieno.
Tutto questo ha allontanato molta gente e compagni ieri impegnati; ha agevolato l’emergere di molti opportunismi e liberato il campo a faccendieri ad ogni livello. Soprattutto è mancata una capacità culturale di rinnovarsi e di corrispondere alle mutate esigenze politiche.
Renzi ha rotto un pò di questi giochi di potere e posizioni di comodo, avviando una politica dinamica di riforme e di cambiamento di una palude conservatrice. Non tutto è riuscito bene, come nella scuola; alcuni errori sono stati fatti, come quella di non risanare e valorizzare i circoli, in particolare nelle grandi città. Si è andati avanti con alti e bassi e molte difficoltà, ma senza dubbio in modo positivo e dinamico come non era mai avvenuto e come una nuova sinistra democratica e responsabile doveva fare.
Oggi bisogna continuare a costruire una nuova classe dirigente, a partire dai circoli e i territori e bisogna definire meglio la propria identità, anche teorica. Un PD aclassista e liberal-democratico che si richiami ai valori dell’illuminismo e che persegua una società libera e giusta dove si affermi la meritocrazia come valore insieme a un capitalismo con coscienza sociale.
Questo il PD di oggi, questo il PD che spero sarà domani.
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