Caro Matteo, caro segretario
Ieri ero presente come delegata di Monza alla Assemblea Nazionale del Partito Democratico. Forse l’Assemblea più difficile sia psicologicamente che politicamente a cui abbia mai preso parte da quando sono tesserata al Pd.
Ho ascoltato con interesse la tua relazione che come sempre ha toccato punti a cui mi sento particolarmente affine: il populismo dilagante, l’Europa, i giovani, il lavoro.
Ho ascoltato in silenzio tutti gli altri relatori che si sono susseguiti dopo di te e ho cercato, credimi, di capire il perché di questa paventata scissione, di quei toni aspri scambiati tra le due parti, di quel rincorrersi in queste settimane senza mai incontrarvi e parlarvi davvero.
A chi come me fa politica attiva nelle piazza, nei gazebo, tra le gente, nei nostri circoli territoriali rimaneva incomprensibile questa guerra fredda tra maggioranza e minoranza “tutta romana …”.
Ti ho appoggiato da sempre e se ho preso la tessera del Pd è stato proprio per appoggiare la tua mozione in congresso attivamente. Come si dice: renziana della prima ora.
Una cinquantenne sognatrice e testarda, una donna di sinistra delusa da una sinistra sempre in minoranza, non per destino ma per scelta. Una sinistra che non parlava più alla gente ma si parlava addosso negli esclusivi ritrovi, arroccata su un novecento ormai lontano, a braccetto con un sindacato che difendeva posizioni e tradizioni abbandonando i giovani, i precari, la classe media che cominciava a soffrire per la globalizzazione.
Una sinistra che aveva passato vent’anni a rincorrere Berlusconi senza proporre nulla di programmatico, di nuovo, di riformista.
Una ditta, come diceva Bersani, appunto, senza cuore e senza futuro.
Avevo creduto nel progetto Pd portato avanti da Veltroni ben dieci anni fa.
E da Veltroni, dal suo bellissimo discorso, che è suonato come una sveglia per tutti noi, ieri ho deciso di ripartire.
Quello che ti chiedo oggi, come compagna zeta, è di farlo anche tu.
Di farlo tutti, almeno tutti quelli che ancora credono in questo progetto, “ in una sinistra riformista e radicale, una sinistra che sia maggioranza prima che in parlamento nella nostra società, una forza maggioritaria, apert, inclusiva”.
Perchè come ci ha ricordato Walter ieri, ci sono i Trump, le Le Pen, i Salvini a ricordarci che destra e sinistra ci sono ancora...
Il Partito Democratico di cui tu fino a ieri ti sei onorato di esserne il segretario ha una storia. Ha un cammino. E’ l’incontro di quelle forze riformiste che dopo la caduta del muro di Berlino si sono incontrate ed hanno messo in comune i loro ideali, le loro storie, i loro limiti, i loro uomini e le loro donne.
Un partito che non nasce dalle ceneri di altri due partiti, ma dalla storia di uomini e donne, riformisti veri e non gruppi e correnti divise solo da logiche di contrapposizione.
Ecco, ieri mentre Veltroni parlava, ho capito finalmente il perchè si era arrivati a quel punto: ci eravamo persi. (Non in questi ultimi tre anni ma da molto più tempo e questo né D’Alema né Bersani avranno il coraggio di ammetterlo. Meglio indicare te come male di tutto...).
Ci eravamo, ci siamo persi... E non perché, come dicono i tuoi avversari, sei arrivato tu come segretario, o perché abbiamo virato a destra o siamo diventati il partito dei banchieri e dei petrolieri, non per le alleanze con Verdini o Alfano, né per la Buona Scuola o il Jobs Act.
Ci siamo persi il motivo per cui siamo anzi eravamo nati, ci eravamo incontrati.
Ieri si annusava il dolore e lo smarrimento di chi anni prima aveva creduto nel Partito Democratico, alla sua idea, alla sua novità.
Un Partito che superava il singolo per tornare a parlare plurale. A tutti. Nessuno escluso.
Un partito nato per superare la sindrome della Sinistra, come l’ha chiamata Veltroni, quella della divisone interna, quel demone tremendo che ogni volta che siamo al governo ci fa fare un passo indietro… e bruciare di volta in volta i nostri leader.
La sinistra non può permettersi di essere minoranza, non nel Pd, che ha accolto dentro anche un Centro riformista e laico con cui combattere povertà, disuguaglianze, per trovare libertà di scelte e diritti.
I valori di uno dentro i valori e la storia dell’altro, nel nome delle riforme e delle persone.
Allora, per concludere, caro Matteo, caro segretario, nel prossimo congresso, in cui ti appoggerò e farò campagna elettorale per te, convinta e felice, a Torino rilancia il Pd partendo dal Pd.
Non c’è bisogno di formule magiche, scissioni, twitter o social. Ci siamo noi. Il popolo del Pd, la storia del Pd, il suo cammino. Riparti da noi. Da chi, da sinistra (come me) e dal centro (come molti miei amici), dieci anni fa ha stretto un patto: noi prima di me, il paese prima del partito, i valori prima delle poltrone o del potere.
Riparti dal territori. Avrai ed avrete molte soprese.
La vostra gente vi sta aspettando. Da dieci anni.
Report