L’aggressività che registro oggi sui social network da parte di persone che conosco nel privato e che sono tranquilli padri o madri di famiglia o la facilità con la quale le istituzioni democratiche vengono denigrate anche da insospettabili colleghi e amici, non è forse lo stesso humus nel quale i regimi autoritari hanno attecchito nella prima metà dello scorso secolo?
Non mi sono pertanto stupito quando sull’Unità del 14 dicembre ho letto una breve riflessione di Roberto Rampi sul momento che stiamo attraversando di cui riporto qui un breve passaggio:
“... esiste la dittatura del popolo quando qualcuno si fa interprete dei peggiori istinti e, invece di provare a indicare soluzioni alternative e raccogliere consenso su questa o su quella, soffia sul fuoco della rabbia e della sofferenza con il solo scopo di arrivare al potere. Le grandi dittature del ‘900 sono arrivate al potere con il consenso del popolo, sull’onda di un travolgente consenso popolare...”.
Io credo che non possiamo sottovalutare il momento che stiamo attraversando: chiamatelo come volete “disagio sociale”, “impoverimento della classe media”, “reazione populista”, “mucca nel corridoio” ma faremmo tutti un errore storico se facessimo finta che non stia accadendo nulla e occupassimo il nostro prezioso tempo a discutere delle nostre beghe interne cercando di farci le scarpe l’un l’altro.
Non so bene quale potrà essere e quanto sarà efficace la risposta che come Partito Democratico sapremo dare a questa fase. So per certo che nell’orizzonte politico italiano non ci sono molte forze politiche organizzate dotate delle competenze necessarie per tirare le fila e fare una proposta politica ai bisogni dei nostri cittadini.
Il passaggio che abbiamo di fronte è molto stretto: non sappiamo se e quando si terranno le elezioni, non sappiamo se, come e quando sarà riformata la legge elettorale. Nel 2017 avremo le elezioni amministrative e molto probabilmente un referendum. I tempi dei nostri congressi sono così dilatati che pensare di tenerne uno rischiando che cada in mezzo ad un appuntamento elettorale sarebbe, a mio giudizio, una decisione suicida.
E se il passaggio è stretto forse è meglio che anziché azzuffarci tra noi (mi sto rivolgendo a tutte le anime e correnti del partito), sarebbe più opportuno concordare da subito un disarmo bilaterale al fine di unire tutte le forze disponibili per definire gli obiettivi da raggiungere a breve e a lungo termine per iniziare quanto prima a metterci in marcia. E questo, volenti o no, con Renzi alla guida della segretaria del PD, perchè non ci sono altre soluzioni praticabili.
Per questa ragione mi rivolgo a Renzi: penso che alla sua autocritica (che ho apprezzato) devono seguire degli atti che rivelino un deciso cambio di rotta passando dalla fase che definirei “monarchica” della guida del partito a quella “comunitaria”, aprendo cioè una discussione a tutto campo.
Ho infatti trovato alquanto fastidioso trovarmi di fronte alla proposta di ripartire dal Mattarellum senza che vi sia traccia alcuna di come si sia arrivati a questa scelta, buona o cattiva che sia. Non pretendo che mi si telefoni per dirmelo, ma quando la medesima osservazione giunge alla segreteria da un membro della direzione del PD, peraltro sostenitore del Mattarellum, significa che si è ancora in piena fase “monarchica” (o al limite “leopoldiana”).
Fino ad oggi non ci sono segni di avvio di questa auspicata discussione: si parla di una grande iniziativa di ascolto dei cittadini da tenersi entro la prima metà di febbraio. Davvero non sappiamo cosa vogliono i cittadini? Davvero abbiamo ancora bisogno di chiederglielo?
Avrei preferito usare i prossimi mesi alla preparazione di un messaggio di speranza, usando questo tempo per definire un piano di lungo periodo da concordare con i nostri amministratori e con quelle eccellenze che abbiamo tra i nostri iscritti e simpatizzanti.
Un piano di ricostruzione del tessuto sociale, di rilancio delle nostre imprese, di rinnovo delle nostre infrastrutture, di redistribuzione della ricchezza, di semplificazione fiscale e legislativa.
Un piano che garantisca tempi certi per ottenere giustizia, che garantisca una previdenza sociale dignitosa e universale e faccia della scuola un luogo accogliente perché quella è la porta di ingresso attraverso la quale i nostri giovani si affacciano alla vita. (Fatevi un giro dei plessi scolastici, date un occhio ai piani di studio e capirete a cosa mi riferisco) .
Avrei anche preferito che si usassero i prossimi mesi per curare la campagna di comunicazione di un piano così complesso, in modo da poter spiegare e veicolare il messaggio con chiarezza e riavvicinarci ai nostri elettori e simpatizzanti per prepararci al prossimo appuntamento elettorale con una proposta credibile.
Invece ci ritroveremo al gazebo in una fredda giornata di gennaio a interrogare la pancia dei cittadini quando forse sarebbe stato molto più utile usare la testa.
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