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parco ponte cateneDalle vicende del passato, dalla storia possiamo e dobbiamo trarre la spinta e la carica per il futuro.

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Non penso ad un giudizio acritico, per cui tutto ciò che è antico è bello, ma ad una valutazione critica degli avvenimenti che si sono susseguiti dalla costruzione della Cesarea Villa in poi, per valutare l’evoluzione dei luoghi, e delle dinamiche che li hanno governati, per esaltare i fatti positivi e rimediare a ciò che è risultato negativo e distruttivo.

La storia (della Villa e del Parco di Monza) è stata riletta, esaminata, sviscerata, interpretata fino nei minimi particolari; attraverso una notevolissima quantità di documenti, mappe, relazioni, studi, atti ufficiali, carte, pubblicazioni, immagini (con maggiore approfondimento per le architetture rispetto alle vicende della componente arborea e vegetale). Si può affermare che del passato si conosce tutto, o quasi tutto, anche se è molto difficile riuscire a fare sintesi di tutte le notizie, di tutti i testi, di tutti gli atti per disporre di una sequenza e una visione organica complessiva.

Nel 2015 si è celebrata , allo scadere dei 200 anni, la conclusione della presenza a Monza di Eugenio Beauharnais, ideatore e realizzatore del Parco, subentrato alla preesistente dominazione austriaca che ha realizzato la Villa e iniziato la realizzazione dei giardini reali; Eugenio ne prosegue – ampliandolo - il progetto, lasciando dietro di sé un territorio diversamente organizzato, agro-silvo-pastorale, finalizzato alla caccia, ma in grado di autogestirsi e di dare lavoro a decine di famiglie che in questo territorio vivevano.

È una storia ricca e complessa, nella quale hanno lascato tracce, gli Asburgo, i francesi di Napoleone, poi ancora gli austroungarici, poi i Savoia.

Ad un certo punto la traccia assume connotazioni diverse: subentra la fase dell’abbandono e della sopravvivenza stentata, che prepara la fase dello “spezzatino” termine volgare e banale, ma efficace per definire una situazione che è ormai prossima al secolo di permanenza.

Le premesse risalgono all’inizio degli anni 20 del novecento a cui seguono gli avvenimenti ufficiali nel 1922 con l’autodromo e la SIAS, poi nel 1923 l’ippodromo con la SIRE, poi nel 1929 con il Golf Club; nello stesso periodo una parte consistente del parco viene assegnata in uso perpetuo alla Scuola Superiore di Agricoltura (poi Facoltà di Agraria della U. Statale di Milano) perché ne faccia buon uso.

È passato il tempo, sono mutati i regimi, le ideologie, le sensibilità e le esigenze; il parco è diventato un luogo aperto e in buona parte accessibile a tutti. Dalla frequentazione riservata a pochi privilegiati si è passati, da una parte alla privatizzazione di alcune aree, e dall’altra alla frequentazione libera e incontrollata.

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Sembra banale, ma il muro di cinta, opera discutibile ai nostri occhi di oggi, ma funzionale ed imprescindibile per i tempi passati, ha difeso l’integrità fisica–territoriale del Parco dalle pressioni esterne.

A parte il muro, ci poniamo alcune domande:

- Il 900, soprattutto il secondo 900, sarà ricordato e celebrato alla stregua dei periodi reali e imperiali?

- Cosa potranno celebrare e ricordare con vanto delle vicende di questo periodo le future generazioni?

Non è una domanda retorica:

- l’opera grandiosa immaginata dai nostri predecessori del 700 e dell’800 è proseguita e si è affermata con le realizzazioni del 900’? Oppure le tracce sono state cancellate, disperse, deviate dal disinteresse, dal profitto, dai falsi miti, dai particolarismi, dall’indifferenza e dall’ignoranza? O semplicemente dalla mancanza di una “cabina di regìa”?

Credo che questo sia il nodo, la domanda di fondo che ci poniamo nell’affrontare questa giornata che spero sia una tappa di un cammino (iniziato qualche mese fa) che dovrà svilupparsi con la prospettiva e l’impegno, almeno da parte dei presenti, di evitare di fare l’ennesimo convegno di riflessione, episodico, accademico, e invece per elaborare linee di indirizzo e proposte credibili da affidare alle scelte di chi dovrà prendere le decisioni e per supportare un’operazione difficile e complessa.

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È VENUTA MENO L’IDEA.

La comunità, non solo locale ma soprattutto locale, ha rinunciato ormai da troppo tempo, ad una visione unitaria, pur necessariamente adeguata al mutamenti di tutto il contesto. Sono scemati l’interesse e l’attenzione alla elaborazione culturale, alla organizzazione del territorio, alla valorizzazione della risorsa in grado di perpetuarne l’organicità, la forza attrattiva, la ricchezza culturale, la spinta innovativa (l’originaria azienda agricola modello, la gestione sostenibile del territorio), ed anche l’unitarietà e la coerenza architettonica (si pensi alla sede RAI, alla torre di controllo, al padiglione dell’autodromo e alle tribune disperse nel bosco, alle piste conservate anche se inutili).

Tutto questo è avvenuto ed è proseguito anche in una fase storica recente in cui si è presa coscienza delle problematiche ambientali, del disastroso consumo di suolo, della pessima gestione della risorsa acqua, della bassa qualità della vita nell’ambito urbano.

A cavallo dell’inizio del millennio si è iniziato un timido (sebbene molto costoso) percorso di ricupero con un piano triennale di riqualificazione sancito dalla L. 40 del 1995. I risultati si sono visti. Pur nella loro episodicità sono stati guidati da uno sguardo complessivo sul Parco, supportati da una modesta e sofferta ma doverosa coerenza, cercando di riannodare i fili di una rete sfilacciata e piana di buchi.

Poi è arrivato il ricupero e il riuso della Villa Reale, elemento essenziale e trainante per tutto il contesto (Parco e città di Monza).

Ora, visti i risultati, preso atto di alcuni errori, avendo compreso la necessità di proseguire nella ricostruzione della rete, siamo alla ricerca di una idea in grado di sostenere nuovi sforzi e reperire le risorse per i prossimi anni in modo corale, per stimolare un impegno generale di riqualificazione e riuso che riemetta a posto e in ordine i pezzi del puzzle del grande Parco per restituirgli la dignità e il rispetto che si merita.

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CI VUOLE UN’IDEA FORTE

Perché spesso ci si è dimenticati di due legami fondamentali e inscindibili che hanno fatto la storia del Parco. Il legame tra La Villa e i Giardini Reali, per un verso, e il legame tra la Villa/con/giardino e il Parco sull’altro versante. Legame inteso non nel senso di identità o omogeneizzazione (come in parte è avvenuto tra Giardini e Parco) ma come rapporto e dialogo e sintonia tra le varie parti del sistema, ciascuna con le proprie peculiarità e note caratteristiche sia strutturali che di uso.

E’ impresa ardua, non è cosa da poco perché l’idea guida, - il piano di valorizzazione - non può limitarsi alla scadenza temporale della tornata amministrativa, alla prevalenza della maggioranza sull’opposizione dello schieramento momentaneo, ma richiede prospettive di ben più ampio respiro, frutto di pensiero libero, colto, profondo, in grado di immaginare un orizzonte lontano e molto più ampio di quello della Brianza milanese.

Il terzo millennio ci presenta questa situazione:

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Il Parco è un’isola verde circondata da territorio urbanizzato e da suolo consumato. Questa immagine, da sola, stimola la riflessione dell’attrattiva che può avere un ampio prato, un bosco, un corso d’acqua con gli alberi e i pesci, sul cittadino frequentatore assiduo di strade senza spazi verdi e senza relazione con gli elementi naturali.

Sul Parco si scaricano i molteplici bisogni dei cittadini che hanno bisogno per il loro equilibrio psico-fisico-sociale (così affermano gli studiosi in materia) di spazi aperti, di aria pulita, di spostamenti lenti, di possibilità di ascolto e dialogo con il creato, di fare l’esperienza primordiale del bosco e della foresta.

Il Parco, pur con tutte le magagne che si porta appresso è tuttora luogo eccellente di biodiversità, difficilmente ritrovabile e percepibile nel vasto contorno urbanizzato.

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Il Parco è luogo di sensazioni vitali e di esperienze educative/formative dirette e immediate: incontrare gli animali grandi e piccoli, correre in un prato, sentire lo scroscio della cascata, osservare i pesci dal vivo senza velleità di cattura, capire il senso di un fontanile o di una roggia, vivere il succedersi delle stagioni segnate dai colori, dalla schiusa delle gemme alla caduta delle foglie, fare l’esperienza dei cicli vitali, dal seme alla morte dell’albero; sentire e riconoscere il vento sia di brezza che di temporale, verificare il ciclo della produzione agraria dall’erba del prato allo yoghurt, capire la dinamica di un bosco e imparare a conviverci.

Dunque un Parco con funzioni educative e formative sia per piccoli che per adulti, per singoli o per gruppi organizzati, per turisti e per scolaresche.

Il parco come luogo di incontro e di socializzazione attraverso l’attività ricreativa e ludico/sportiva anche tra persone di provenienza europea e extraeuropea;

il parco come luogo di pacificazione con se stessi e con il mondo; perché nel Parco si ritrova la calma per pensare e si può riconoscere la sintesi virtuosa dei diversi contributi austroungarici, francesi, italiani, lombardi in una mirabile sintesi in chiave europeista;

il parco come luogo di incontro senza barriere.

Il parco come area produttiva di beni primari – la carne il latte e derivati, la verdura, - la fattoria didattica non quella inventata per fare scuola che vive di sovvenzioni ma quella reale che vive di ciò che la terra produce e che trasforma attraverso l’organizzazione dei fattori della produzione per ricavarne un reddito e per la vita dignitosa di chi lavora.

Il parco come area permeabile per mitigare gli accumuli di pioggia;

Il parco come scuola di giardinaggio, di cura e gestione del verde ornamentale;

Il parco come luogo di ricerca e sperimentazione tanto necessaria e poco praticata sul tema del contenimento delle specie esotiche-invasive, sul tema della sicurezza degli impianti arborei, sul tema delle patologie epidemiche dei vegetali.

I Giardini Reali dovrebbero tornare ad essere, non sfondo per spettacoli più o meno circensi, ma ambito di conoscenza e di cultura, tempio della natura, collezione botanica vivente, arboreto, luogo di sperimentazione dell’adattabilità delle specie provenienti da tutto il mondo così come era stato pensato all’origine e nei primi due secoli di storia. (riferimento agli arboreti sparsi per il mondo).

L’accoppiata Parco/Giardino, nella sua autenticità e unitarietà, è una ricchezza di cui tutti devono poter godere e trarre beneficio senza consumare distruggere e senza che siano compromessi i suoi cicli vitali; semplicemente frequentandolo, percorrendolo e studiandolo, aiutati da qualche strumento di conoscenza che lo possa far apprezzare compiutamente.

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Il Parco non è una cornice a cui manca il dipinto

non è un contenitore in attesa di essere riempito da contenuti soprattutto se inadatti e incompatibili;

non è una casa vuota in attesa di essere abitata; basta farla abitare dalle persone giuste, quelle per cui è stata pensata; ieri erano i coltivatori della terra al servizio del Palazzo; oggi potrebbero essere gli addetti alla manutenzione, alla sorveglianza, alla didattica; non è un territorio vuoto fatto da un banale prato che finalmente viene messo a frutto montandoci sopra un palco per 100 mila spettatori;

non è un’opera incompiuta in attesa di coloro che vogliono compierla mettendoci dentro oggetti e attività che la snaturano;

pur riconoscendo che un Parco Democratico del 3° millennio ha bisogno di adattamenti e può avere molte diversità dal Parco Reale dell’800

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La mia conclusione è questa: “Il Parco è”, è questa cosa che vediamo, tocchiamo, ammiriamo; esiste, vive, probabilmente oggi in modo disordinato, incoerente, non conservativo; bisogna darne un’interpretazione autentica ai massimi livelli possibili senza comprometterne la salute e la prospettiva futura, perché dovremo consegnarlo alle future generazioni integro nel suo processo evolutivo e ancora leggibile in tutte le sue componenti di naturalità affiancate dall’opera di gestori illuminati e attenti.

Parco come scuola, come biblioteca, come palestra, come tempio, come piazza.

IL PARCO HA BISOGNO DI RISORSE?

E’ una domanda, ma anche una affermazione.

Come tutte le strutture che offrono servizi ai cittadini ha necessità di essere mantenuto, curato, e pulito tenendo conto che alcune componenti essenziali (i prati e i boschi), essendo produttive non dovrebbero, in astratto, gravare negativamente sul bilancio, ma semmai fornire un contributo positivo.

Più aumenta il numero dei frequentatori e più si diversificano i bisogni da soddisfare e più il parco si deve attrezzare per soddisfare le diverse esigenze. Più frequentatori più rifiuti, più calpestio e più degrado da ricuperare; più accessi e più necessità di organizzarli. Questa è la complessità della modernità.

Si tratta di trovare un equilibrio tra i benefici usufruibili dai cittadini e i relativi costi per soddisfare le esigenze – produrre servizi - senza deprezzare il capitale.

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CI VUOLE UN’IDEA FORTE

Con due secoli abbondanti di storia alle spalle le premesse ci sono già, i fondamenti sono nella identità del bene e nelle sue caratteristiche intrinseche; non si parte da zero, non c’è molto da inventare; forse bisogna rileggere la storia vissuta e le vicende del passato, valorizzare le scelte vincenti, farne una sintesi qualificata, reinterpretare le scelte vincenti alla luce delle necessità dei cittadini del 3° millennio.

Rifuggirei dall’adottare una strategia difensiva, di sola tutela, di sola conservazione e protezione.

Serve una strategia di attacco, basata su uno schema di gioco vincente, forse non nei numeri, ma nella qualità della proposta, che risponda alle mutate necessità del nostro vivere quotidiano, per oggi e per domani, in questa terra lombarda nord milanese sempre più cementificata, nevrotica, assordante, inquinata, che potrebbe attirare l’interesse anche del turista giapponese o americano.

Un’idea vincente dovrebbe essere la riduzione dello spezzatino e la visione del benessere generale in grado di superare le esigenze particolari e solo settoriali.

Un’idea vincente presuppone la volontà di ritrovare una coerenza e una compatibilità tra l’uso dei prati, il governo e l’uso dei boschi, il governo delle acque del Lambro, sia per le magre come per le piene, l’uso e la valorizzazione delle biomasse, il miglior uso compatibile dei numerosi edifici, più o meno nobili del Parco, l’uso del parco come ambito qualificato e unico per la ricerca scientifica per es. in campo agronomico, forestale e di arboricoltura, dell’attività sportiva e ricreativa in forme nuove, compatibili, non distruttive. Credo che alla commissione dell’UNESCO interessino queste cose perché in ambito internazionale gli spezzatini, soprattutto se assordanti, penso non siano un piatto gradito e accettabile.

Tutto questo può avere un costo che la collettività può e deve essere in grado di sostenere a fronte degli innumerevoli benefici prodotti.

Un ettaro di Parco ben gestito, in condizioni di normalità di uso, costa certamente meno e fornisce molti più servizi di un ettaro di area urbanizzata, sulla quale nessuno fa valutazioni di costi, che sono certamente superiori e che, comunque, la collettività è disposta a sostenere.

Dentro una visione organica e unitaria potrebbe trovare giustificazione anche il prezzo di un biglietto per l’accesso ai Giardini Reali (ovviamente già compreso nel prezzo di accesso alla Villa). Molti altri già lo fanno. Non tanto in funzione di pagamento di un servizio quanto per operare un’azione di selezione nei confronti di un uso banale e consumistico che un arboreto delicato e prestigioso non può sopportare. Senza escludere che la selezione degli accessi possa essere fatta con altri sistemi, altrettanto efficaci, ma probabilmente più costosi¸ dando per acquisito che ai cittadini monzesi e dei comuni confinanti siano riservate condizioni di particolare favore.

Rischio però di scivolare e condizionare il seguito dei lavori debordando dagli argini predefiniti.

Il mio compito era di introdurre i lavori: spero di essere stato utile e stimolante per il seguito dei lavori.

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