Ricordo molto bene quando da ragazzina mio nonno mi concedeva di sfogliare e commentare insieme a lui le pagine dei quotidiani più importanti nel panorama editoriale italiano. Era per me una vera scuola di lessico, grammatica, ortografia ma soprattutto di pensiero.
Oltre a leggere e commentare alcuni articoli scritti in un italiano impeccabile e ricco era interessante leggerne i contenuti qualunque essi fossero: di politica, attualità e cultura.
Forse l’amore per la scrittura e questo desiderio quasi maniacale di mettere per iscritto i miei pensieri e le mie idee, oltre che dai libri letti, nasce anche da quelle letture pomeridiane nello studio del nonno, uomo colto e raffinato.
Oggi, mentre mi capita di sfogliare le pagine di alcuni giornali (la maggior parte direi) ripenso con malinconia a quei pomeriggi e soprattutto sono grata al destino che mio nonno non possa leggerli più.
Si dice che la carta stampata, l’editoria segua i gusti e l’evolversi della società e quindi non mi dovrebbe turbare più di tanto questo lento ed inesorabile scivolare di alcuni editori verso un modo di fare informazione più scandalistico che altro.
Ultimamente poi le star del giornalismo portano i nomi di Scanzi, Travaglio, Padellaro... invitati nei salotti televisivi come mentori del nuovo sentire e dissentire.
Ma anche giornali di tutto rispetto e di antica tradizione come il Resto del Carlino, la Repubblica od il Corriere talvolta cadono nel gusto dello scoop. Uno scoop però vuoto di contenuto e pieno di immagini , talvolta visibili (come fotografie) talvolta da immaginare.
E cosi mentre pochi giorni fa una donna moriva bruciata viva da un suo compagno che non aveva accettato il suo rifiuto (e si riteneva giustamente padrone di quel corpo rinnegato), mente molte ragazze e giovani donne combattono una battaglia contro anoressia e bulimia per corpi rifiutati da loro stesse, mentre il femminicidio non è più un fenomeno ma una piaga sociale e culturale, mentre tutto questo accade ed accade in Italia, proprio dei giornalisti riportano di nuovo e senza filtri il corpo della donna in primo piano. Ma non in modo sano e condivisibile, no tutt’altro, il corpo della donna come oggetto, come trofeo da mostrare e quindi guai se sia cicciottello, poco tonico, poco fotografico…
Capita cosi che se un trofeo olimpico lo vincono tre donne allora il giornalista, che è pure direttore del suo giornale, punta il dito sulle cicciottelle e su come sia stato possibile questo evento: anche tre donne grasse possono vincere una olimpiade!
La rete, l’opinione pubblica, forse perché trattasi di sport e non di politica o cultura, si è subito sollevata in difesa delle tre campionesse ed il ‘povero’ giornalista è stato licenziato in tronco. L’altra sera mi chiedevo se quest’uomo avesse delle figlie , se avesse incontrato nella sua vita lo sguardo di una ragazza anoressica, la fatica della sua famiglia, il dolore di chi le sta accanto- io, come professoressa, ne ho incontrate tante e sono difficili da dimenticare…
Anche le femministe storiche, le compagne, le intelletualii di sinistra si sono mosse a difesa di quelle tre povere ragazze…e si è visto come ancora oggi possa essere potente il grido femminile.
Questo in campo sportivo e sociale ma se ci spostiamo verso la politica il discorso cambia ed in peggio. In particolare c’è un giornale che ha fatto del corpo femminile il suo mantra. Ma questo corpo deve appartenere ad una ministra della nostra Repubblica se non solletica abbastanza il nostro giornalista… sono mesi che questo signore si permette di insultare ripetutamente la ministra Boschi con termini di squallido sessismo, maniacali, al limite della violenza sessuale.
Oggi mi sono svegliata con questa vignetta che girava in rete e quando sono andata a far la spesa, negli scaffali dell’Esselunga, il Fatto quotidiano, troneggiava.
Satira politica? Vogliamo nascondere questo dietro una parola ed un aggettivo? Fatelo ma io non sarò con voi a difendere la libertà di stampa. Questa non è stampa ma violenza.
Ho pensato ad un ragazzino, che in compagnia della mamma, annoiato buttasse l’occhio verso quei titoli, verso quella vignetta. Non una, ma due, tre, dieci volte in un mese… Lo stesso ragazzino, un giorno, magari durante un intervallo a scuola, vomiterà addosso alla sua compagna di classe, tutto quell’odio , quell’inquietudine che ha letto…
Ho pensato a mio nonno, ai bei articoli letti in sua compagnia, alla mia formazione giovanile.
Nel corso delle ore però la cosa che più mi ha dato fastido è stato il silenzio.
Silenzio dai miei compagni di partito (quelli di sinistra, per intendeci), dalle mie compagne di passati femministi, di alcune associazioni storiche pronte ad urlare per cicciottella e bambolina, giustamente, ma sorde e mute in altri casi.
Mi sono chiesta il perché di questo silenzio ma la risposta è troppo brutta per essere vera.
Allora che fare?
Ho due figlie femmine, voglio lasciarle vivere in un mondo cosi?
Allora comincio a gridare nel modo che so fare: scrivere. Scrivere. Scrivere e denunciare.
Magari stasera qualcun’altra scriverà con me. O condividerà il mio grido.
Francesca Pontani
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