I fatti sono - più o meno – noti. 31 dicembre 2015: in una piazza gremita della civilissima Colonia centinaia di donne lì accorse per festeggiare il Capodanno vengono pesantemente e vergognosamente molestate da uomini stranieri,
prevalentemente di cultura islamica, i quali approfittano della ressa per lanciarsi in “prodezze” da branco famelico a danno delle malcapitate.
13 gennaio 2016: in uno stadio della civilissima Barcellona, quello dell’Espanyol, migliaia di uomini, prevalentemente di cultura occidentale, approfittando del tipico senso di impunità da branco assicurata dall’essere gremiti nella loro curva, compiono la “prodezza” di insultare platealmente e pesantemente – davanti a migliaia di spettatori sugli spalti, oltre che milioni in tv - una sola, malcapitata, donna: Shakira, la regina del pop.
Questa donna, ai loro occhi, deve essere punita per almeno tre imperdonabili peccati.
Il primo è che è la moglie – nonché la madre dei figli – di Gerard Piqué, grande campione nonché icona dell’arcinemico calcistico, quel Barcellona pigliatutto che da anni fa loro mangiare solo polvere.
Il secondo e che è una donna bella, molto bella, ma non è la loro donna, purtroppo per loro, si intende.
La terza è che è una donna emancipata, molto più ricca e più famosa del marito – lei era già Shakira molto prima di diventare la signora Piqué – la quale non solo non porta il velo, ma che di veli, quando le gira così, ne veste anche pochini e piuttosto succinti.
Questi sono i peccati per i quali lei è il bersaglio grosso del becerume tipico del tifoso frustrato.
Infatti, se già non ha senso che per insultare un rivale sportivo, o rivale in generale, si insulti la sua donna, perché i tifosi della curva dell’Espanyol, volendo proprio colpire una donna del “nemico”, invece di Shakira non ha puntato al top insultando, per esempio, la moglie di Lionel Messi ?
Non certo per rispetto al campionissimo, al re dei re, ma perché la signora Messi, anche lei bella e simpatica, si limita a fare quello che – per la mentalità piccina di questi curvaroli - è consono che faccia: la regina consorte, che accudisce al focolare domestico e alleva amorevolmente i principini eredi al trono.
Shakira no.
Lei brilla di luce propria, balla e si dimena cantando il Waka Waka strizzata dentro costumini che ne esaltano le forme. In sostanza incarna alla perfezione quel principio di autodeterminazione della donna che, giustamente, la cultura occidentale rivendica come un fiore all’occhiello del proprio percorso storico e culturale.
La vicenda, grazie soprattutto alle dichiarazioni del sindaco di Barcellona Ada Colau - che ha chiesto una pesante sanzione per la squadra dell’Espanyol - si è presto trasformata, almeno in Spagna, da deplorevole fatto di mera cronaca sportiva a vero e proprio caso politico.
Ed è giusto che sia così, perché la vicenda va a toccare un nervo scoperto anche nella cultura occidentale.
Perché diciamolo francamente e senza ipocrisia: negli anfratti meno nobili e più inconfessabili della mentalità cosiddetta occidentale, al netto di ogni nobile enunciazione di principio, perdura, incontrastata, la seguente equazione: se sei maschio, bello, disinibito e ti esponi discinto e oliato come un arrosticino a favore di telecamera, allora sei un vero sex symbol.
Se sei bella, famosa, disinibita e ti esponi discinta - e anche non oliata - a favore di telecamera allora sei, quando proprio ti gira bene, una vera puttana.
E il vero problema è che questa equazione è radicata non solo nella mente della maggior parte degli uomini, ma anche in quella di una parte tutt’altro che trascurabile delle donne.
E io non ci vedo niente di associabile all’espressione “superiorità culturale” al fenomeno – purtroppo diffuso molto di più di quanto se ne parli – di migliaia di maschi che, radunati a migliaia sugli spalti di uno stadio, o semplicemente riuniti a migliaia e migliaia sui social network – divenuti ormai gli spalti virtuali di tutti gli stadi del mondo – colgono ogni pretesto, sportivo o politico che sia, per calunniare, insultare, o svilire una donna: e lo fanno per colpire non tanto o non solo lei, ma un obiettivo diverso, che può essere un altro uomo, un partito, una fede religiosa o un squadra di calcio.
Perché utilizzano l’insulto, la calunnia e lo svilimento ai danni della donna come arma, quasi fosse una spada, un fucile o un’ascia: un oggetto, insomma.
Una donna oggetto.
E non mi si dica che la differenza tra i fatti di Colonia e quelli del Barcellona sta nel fatto che i tifosi dell’Espanyol, alla fine dei conti, si sono “solo” limitati all’offesa e alla denigrazione senza allungare le mani: perché se la superiorità consiste unicamente nel mancato palpeggiamento, allora siamo messi bene.
Ma proprio bene.
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