Leggo con interesse l’articolo dello scrittore israeliano Abraham Yehoshua pubblicato sul nostro sito. Lui auspica in sostanza che, nei confronti di Hamas, ci sia un atteggiamento di “riconoscimento” di essere un nemico, con il quale intavolare trattative, o fare la guerra in campo aperto, e non chiamarlo più terrorista.
Darebbe certo un chiarimento, una semplificazione, ma è questa la massima aspirazione alla quale possiamo tendere?
Le cose che stanno accadendo in questi giorni in Israele e nella striscia di Gaza fanno male al cuore. Abbiamo da un lato dei palestinesi che hanno ucciso dei ragazzi israeliani. Per ritorsione ragazzi israeliani hanno ucciso e bruciato un ragazzo palestinese.
Hamas ha cominciato a lanciare missili su Tel Aviv e perfino su Gerusalemme. Israele ha reagito in modo sproporzionato bombardando la striscia di Gaza. Il risultato è che sono morti più di 200 palestinesi, tra cui molti bambini, mentre da parte israeliana si conta fin’ora un solo morto.
Ma Hamas continua a lanciare missili, ben sapendo che la reazione sarà durissima. Sembra quasi che le centinaia di morti palestinesi facciano gioco politico ad Hamas. I civili sono usati come scudi umani (deposito di missili trovato in una scuola )
Vista così appare come un confronto tra la caparbietà di Hamas e la ferocia di Israele. Sono stato anch’io in Israele/Palestina l’altr’anno e le impressioni che ne ho ricavate mi permettono ora di avere una visione appena un po’ più aperta di quella realtà.
I sentimenti di chi visita Gerusalemme in particolare sono di estremo contrasto. Se visiti il museo della Shoah ne esci con una stretta al cuore. Le immagini e le testimonianze sono drammatiche, Più crude di quelle che abbiamo visto al cinema o alla TV.
Ma è il museo dei bambini sterminati dai nazisti che ti lascia senza fiato.
Una grande cupola, assolutamente buia. Migliaia di piccoli specchi scendono dall’alto, sorretti da fili invisibili. E una sola luce al centro. L’aria fa ondulare gli specchi che riflettono migliaia di volte quell’unica luce! E una voce soffusa che dà il suono, uno per uno, dei nomi dei bambini. La registrazione va avanti giorno e notte. Impiega alcuni mesi ad elencarli tutti. Poi ricomincia da capo.
Ma se vedi ciò che accade attorno a Gerusalemme, è un’altra l’ emozione che ti prende.
Qualche esempio:
- ai confini della Valle del Cedron, che è quella dove sorgeva la Città di David, in territorio palestinese, archeologi israeliani organizzano scavi di supposto interesse. Così facendo però la casa dei palestinesi che sta sopra rischia di crollare, e la famiglia deve andarsene;
- se una famiglia di israeliani viene in possesso di una casa in territorio palestinese ( gli acquisti sono proibiti, ma in qualche modo riescono ad entrarci) subito viene realizzata una garitta con tanto di sentinella che protegge quella famiglia;
- ho visto uno dei famosi insediamenti israeliani, su una collina, in territorio palestinese: una serie di condomìnii, con palazzi di molti piani. Vere e proprie comunità di alcune migliaia di abitanti. Naturalmente protette da soldati.
- La strada che da Gerusalemme porta al Mar Morto, attraversa il territorio palestinese. E’ protetta a destra ed a sinistra, da reticolati. I palestinesi non possono attraversarla e per raggiungere magari dei parenti che vivono dall’altra parte, ad un chilometro di distanza devono fare dei giri lunghissimi.
- Per non parlare del muro. Alto, incombente. Ed i frontalieri palestinesi che, giornalmente vanno a Gerusalemme a lavorare, devono sottomettersi a controlli estenuanti, lunghi, che li costringono ad alzarsi prestissimo alla mattina.
Per tutte queste cose è facile capire che estremisti come Hamas riescano a fare proseliti, e portino avanti una politica del tanto peggio tanto meglio.
Certo la sintesi storica fatta da Abraham Yehoshua racconta di atrocità commesse dalla legione Araba, dai giordani, dai siriani, ecc. che non volevano cedere le terre, da loro occupate per secoli, agli scampati dalla Shoah.
Oggi mettere in dubbio l’esistenza di Israele non ha senso storico. Ma ora che Israele è in posizione di maggior forza dovrebbe farsi promotore per una soluzione pacifica e non di eterna belligeranza.
Se davvero si vuol mettere termine a quel massacro occorre, come da tempo si sostiene internazionalmente, dare ai palestinesi una territorio che sia loro, e che soprattutto sia unito, e non a pelle di leopardo come ora. E Gerusalemme…. fruibile per tutte le tre religioni monoteiste.
Ma è facile dirlo. Molto più difficile farlo accettare. Da entrambe le parti.
Ps. anch’io ho visto realtà, nelle quali palestinesi ed israeliani vivono di comune accordo, direi quasi in spirito di fraternità. Sul Corriere di oggi (17 luglio) si parla di una ragazza israeliana - Michal Rotem di 27 anni - che si adopera per dare un nome a tutti i morti, bambini compresi, nella striscia di Gaza. E dà loro un nome scrivendolo in ebraico!! Leggibile quindi dagli israeliani stessi! E sembra che i giovani li leggano.
Sono begli esempi che segnano come non tutti neanche a Tel Aviv o Gerusalemme la pensano allo stesso modo e lasciano spazio alla speranza.
Intanto è bello che noi, come suggerisce il segretario provinciale Pietro Virtuani, ci si mobiliti per la pace.
Un sacerdote italiano che vive a Gerusalemme ci ha detto: chi viene qui per una settimana, sente il bisogno di scrivere un articolo (come so facendo io!). Chi si ferma un mese vuole scrivere un libro. Chi si ferma un anno….. sente il bisogno di pregare.
O, aggiungo io, laicamente, di manifestare per la pace.
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