I dati Istat ci consegnano la fotografia di un’Italia che si impoverisce sempre di più. Nel 2013 le persone in povertà relativa (la soglia è pari a 972,52 euro per una famiglia di due componenti) sono il 16,6% della popolazione (10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta il 9,9% (6 milioni 20 mila).
Tra il 2012 e il 2013, l’incidenza di povertà relativa tra le famiglie è stabile in tutte le ripartizioni territoriali; la soglia di povertà relativa è di circa 18 euro inferiore al valore della soglia del 2012.
L’incidenza di povertà assoluta è aumentata dal 6,8% al 7,9% (per effetto dell’aumento nel Mezzogiorno, dal 9,8% al 12,6%), coinvolgendo circa i milione 206 mila persone in più rispetto all’anno precedente.
Da un’analisi della Coldiretti emerge che sono 428.587 i bambini con meno di 5 anni di età che nel 2013 hanno avuto bisogno di aiuto per poter semplicemente bere il latte o mangiare, con un aumento record del 13% rispetto all’anno precedente.
Vincenzo Spadafora, Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, rileva che “se confrontiamo i dati di oggi con quelli di due anni fa scopriamo che la povertà assoluta dei minorenni è raddoppiata: erano 723 mila nel 2011, sono saliti nel 2013 a 1 milione 434 mila”.
E il Presidente delle ACLI Gianni Bottalico commenta: “di fronte a una povertà assoluta passata dal 4,1% dell’intera popolazione, 2,4 milioni nel 2007, al 9,9% nel 2013, 6 milioni 20 mila persone, occorre che il Governo metta all’ordine del giorno il progetto di dare a tutti coloro che si trovano in povertà assoluta un reddito di inclusione sociale, come propone l’Alleanza contro le povertà in Italia, un cartello di un trentina di organizzazioni che chiede l’introduzione da subito di un piano nazionale contro la povertà strutturato, pluriennale e con risorse che ne permettano l’avvio dal 2015”.
Dove trovare le risorse?
Oggi Nicola Cacace, in un articolo apparso sull’Unità parla della peculiarità del dato italiano relativo “alla elevata ricchezza concentrata in poche mani, il 46% della ricchezza totale di 8.542 miliardi è posseduta da 2,4 milioni di famiglie, il 10% della popolazione, mentre l’ultima metà della popolazione ne possiede meno del 10%. Di fronte al perdurare di una crisi feroce che colpendo duramente poveri e ceto medio mina le basi di convivenza civile e democratica, di fronte alle condizioni di ricchezza di una minoranza, meritata fin che si vuole, ma comunque realizzata anche grazie agli stakeholder del sistema paese, lavoro, territorio, ambiente, etc., la soluzione di chiedere un contributo straordinario – non chiamiamola più patrimoniale come si suggerisce da più parti -, un contributo una tantum ai cittadini che possono per aiutare a non morire, donne, vecchi e bambini mi sembra una soluzione obbligata per una nazione che voglia continuare ad essere tale e non solo una declinazione geografica. Perché rivolgersi alla ricchezza e non al reddito come fatto in occasione di crisi passate (Giuliano Amato?). Perché la ricchezza in Italia è più facilmente monitorabile rispetto ai redditi, la ricchezza immobiliare è nel catasto, la ricchezza finanziaria nella banca dati della Finanza. Sinora né Renzi né i suoi hanno mostrato sensibilità al tema, con l’eccezione del responsabile economico Taddei, se ho ben capito alcune sue riflessioni. Ma si sa, Spes ultima dea”.
E il mio partito, il PD, ha qualcosa da dire in proposito? Oppure continua a tacere.
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