Riportiamo dal sito di Democratica le riflessioni post elettorali di Piero Fassino sulle Europee.
“Se l’obiettivo dei partiti sovranisti e nazionalpopulisti era quello di mettere in mora il Parlamento Europeo, l’obiettivo non è riuscito. Al netto del forte successo della Lega, in realtà l’esito delle altre forze antieuropee o euroscettiche è assai meno esaltante. Ha fatto notizia che il Front Nationale francese abbia sopravanzato En Marche, ma in realtà la Le Pen ha semplicemente confermato quel che aveva ottenuto alle elezioni presidenziali e non ha raccolto un voto di più.
In Polonia alla vittoria dell’euroscettico partito di governo fa da contrappunto il risultato raggiunto dalla lista unitaria europeista che sfiora il 40%. Orban ha confermato il suo alto consenso in Ungheria, ma nessuno in Europa si aspettava che il voto a Budapest andasse in altra direzione. Da qui in poi, in tutti gli altri paesi i partiti sovranisti raccolgono percentuali che ruotano intorno tra il 15 e il 10% o anche meno, spesso arretrando rispetto a consultazioni politiche precedenti.
La conferma la si ha nelle dimensioni dei gruppi parlamentari. I gruppi di PPE, PSE, Liberal-democratici, Verdi e indipendenti europeisti si attestano su 540 seggi. Aggiungendovi il gruppo della sinistra radicale (Tsipras, Podemos, Sinn Fein) critica ma non antieuropea, il campo proeuropeo raggiunge i 580 seggi. Il gruppo sovranista non supera i 50 e anche a voler sommare conservatori (che tuttavia non sono tutti antieuropei), populisti e sovranisti la somma non va al di là di 160 su 750, cioè poco più del 20% del Parlamento Europeo. E, dunque, la profezia di Salvini – “dopo il 26 maggio a Bruxelles faranno gli scatoloni “ (cioè dovranno sloggiare) – si rivela una arrogante quanto velleitaria boutade.
Ricordare tutto questo non significa sottovalutare il fatto che una parte di opinione pubblica – spesso i ceti popolari e più umili – abbia rivolto le sue preferenze ai partiti che si sono presentati come antisistemici. Anzi, se non si vuole che quei consensi possano aumentare ancora, è dovere delle forze europeiste interrogarsi sulle ragioni di quei voti, comprendere le sofferenze e le frustrazioni che li hanno motivati e mettere in campo una profonda revisione di quelle politiche europee che sono state vissute con disagio e fastidio dai cittadini. Ed è questo un compito che spetta soprattutto alle forze progressiste – a partire dal PSE – che di più hanno subito quella erosione. Sarà questa la vera nuova frontiera di un europeismo che sappia pensare, progettare e proporre un “nuova Europa”.
Analoghe riflessioni si possono svolgere sul voto italiano. Il successo della Lega è netto e incontestabile, ma si realizza cannibalizzando il campo di centrodestra e con il principale alleato a pezzi. Il voto ha messo a nudo l’inconsistenza politica, programmatica e di classe dirigente del Movimento 5 Stelle. Non si governa un Paese brandendo ogni giorno la clava del rancore sociale. Ne’ si mantiene la fiducia dei cittadini usando demagogicamente la riduzione dei vitalizi e del numero dei parlamentari, quando la crescita economica è a 0, debito e deficit crescono, gli investimenti sono fermi e la precarietà del lavoro torna a crescere.
Viceversa il voto segna una ripresa di credibilità e di consensi del PD e del campo progressista Lo si è visto nel voto europeo dove al 23% del PD si aggiunge un arco di forze democratiche che – pur non superando nessuna il quorum del 4% – assommano al 7%. Lo si è visto ancor di più nel voto amministrativo dove PD e liste di centrosinistra hanno conquistato fin dal primo turno importanti capoluoghi – Firenze, Bari, Bergamo, Modena, Pesaro, Lecce – e centinaia di comuni. Valga l’esempio dell’Emilia dove Lega e 5 stelle si proponevano di espugnare la sinistra nella sua regione simbolo.
Un disegno fallito: 3/4 dei Comuni emiliani andati al voto sono stati vinti da PD e centrosinistra. A Modena 27 Comuni su 34, a Bologna 37 su 46, a Reggio Emilia 22 su 30. Analoghi risultati in Toscana, nel milanese e in molte altre province italiane. Risultati che dimostrano che il PD è in piedi, sta recuperando consensi, ha una capacità di unire ed è in grado di costruire programmi e schieramenti per un’alternativa credibile e possibile. Nessuno ignora che questo cammino sarà impegnativo e non breve. E tuttavia il 26 maggio costituisce un solido punto di partenza per rimettere in moto energie, intelligenze, passioni”.