Quello che più impressiona dell’enorme ferita che i lavori di Pedemontana hanno aperto nei territori dell’ovest lombardo è la completa scomparsa del bosco della Moronera. Il principale elemento di naturalità della piana agricola comasca con permanenze secolari è stato letteralmente squarciato da uno svincolo a quadrifoglio dell’infrastruttura. Prima c’erano rilevanti presenze di olmi, querce, lecci, castagni … Ora, asfalto.
Sulla necessità di realizzare Pedemontana e di squassare ulteriormente questo territorio, già fortemente urbanizzato, per fare passare nuove strade abbiamo da tempo compreso l’esistenza delle più svariate convinzioni e dei diversi punti di vista. Ma sull’inflessibilità di pretendere le compensazioni ambientali che, innestandosi sugli interventi di mitigazione da disporre lungo il tracciato, ricostruiscano il più possibile le aree consumate, non ci devono essere tentennamenti.
L’obiettivo deve essere quello di riprodurre il disegno tipico del territorio agrario lombardo, fatto di appezzamenti di terreno coltivato inframmezzati da aree boschive, filari e strade sterrate… Questo progetto, dal costo di 100 milioni di euro, deve essere realizzato pari passo con l’infrastruttura principale. Con questo intento sono stati chiamati in audizione nella VI Commissione Ambiente i dirigenti della Società Pedemontana che hanno confermato nei loro interventi il sostanziale blocco dei lavori scaricando le colpe sui Comuni, incapaci, a loro avviso, di collaborare con puntualità.
Sappiamo benissimo che non è così e che i ritardi non possono che essere attribuiti a chi gestisce le opere. Fatto sta che la ferita, per ora, rimane e le popolazioni, presenti anche in audizione con i comitati e le associazioni ambientaliste, siano giustamente preoccupate.
E sono ancora più preoccupate per la mancata attuazione di quanto prescritto dal Cipe circa la tratta B2 interessata da inquinamento da diossina, in particolare per il piano di caratterizzazione che dovrebbe essere fatto in contraddittorio con Arpa.
L’opera procede a fatica tra ritardi, incertezze, mancanza cronica di risorse e tentativi di modifica dei progetti e degli impegni iniziali. Il modello assomiglia sempre di più a quello della Salerno – Reggio Calabria.
Una cosa è certa: non è più possibile permettere l’avvio di opere pubbliche a queste condizioni