Se c’è una moda tutta italiana è quella della memoria corta. Un problema è tale solo se fa notizia. Una tragedia vera solo se riportata sulla prima pagina delle principali testate nazionali. L’opinione pubblica si disgusta per episodi e poi ritorna quella di sempre. Annoiata. Aspettando il nuovo scandalo.
In fondo è il naturale prodotto dell’educazione. Un mondo cresciuto per date simbolo non può certo credere nella stessa cosa per più di tre giorni. Anche se niente, ovviamente, si risolve in quel ristrettissimo lasso di tempo. È così che le cose non cambiano. Non cambiano mai, per la precisione.
16 dicembre, un servizio del TG2 fa scoppiare lo scandalo CIE.
Sei giorni dopo, un’inchiesta di Repubblica diffonde dati sconvolgenti su un sistema che tutti, senza mezzi termini, definiscono da lager. Cinque centri aperti in Italia, per un totale di 964 detenuti, più altri sei chiusi e uno fantasma. Il costo per lo Stato? Oltre un milione e 800 mila euro. Al giorno, s’intende.
Sotto questa vicenda ce n’è infatti un’altra, tipicamente italiana. Criminalità organizzata non fa necessariamente rima con mafia. Sono decine gli “operatori sociali” che si prendono a carico i vari centri per immigrati, con l’aiuto del denaro pubblico, per un motivo che dà indicazioni precise sulla loro bontà e vocazione caritatevole. Il lucro.
Sorprendente come dietro ogni uomo senza dignità ce ne sia un altro con le tasche gonfie di soldi. Perché gli ospiti dei CIE, trattati alla stregua di bestie, costano all’incirca 45 euro al giorno. 70 se minorenni. Soldi con cui si potrebbe tranquillamente dar lavoro a cittadini e clandestini. Invece si preferisce riempire tasche di imprenditori senza scrupoli. Il problema della dignità, purtroppo, non riguarda solo la politica.
Il fatto più sconcertante è che in questa gestione si riesce pure ad essere nell’illegalità. La Bossi-Fini e le condizioni delle carceri italiane certamente semplificano le cose. Togliendo di mezzo i diritti umani aumenta il valore aggiunto, questo è ben noto. Tuttavia, per massimizzare il profitto, si dimentica anche un cardine della normativa: le tempistiche per l’espulsione o per il rilascio a fronte di permesso di soggiorno.
Così i periodi di detenzione si dilatano all’infinito, al ritmo di 45 euro al giorno, 1395 euro al mese. Ogni impresa ha una strategia competitiva, in fondo. Come sottolinea Ahmed, un tunisino detenuto a Porte Galeria intervistato il 23 dicembre 2013 da Repubblica: “La verità è che ci tengono così a lungo qui perché così prendono i soldi dallo Stato”.
Una dichiarazione che non avrebbe alcun bisogno di commenti. Che purtroppo ci sono. E non si tratta di congetture bensì di dati. Esempi. Uno per tutti. A Sant’Angelo di Brolo la società di gestione, il Consorzio Sisifo, ha intascato 468.000 € trattenendo migranti con permesso di soggiorno. Senza, tra l’altro, venire minimamente sanzionata. Anzi, adesso gestisce anche il CARA di Foggia.
Una realtà tremenda. In primis, per come vengono trattate delle persone. Come diceva Wilde, " in prigione quello che è buono nell’uomo si sciupa e si dissecca". I CIE non sono villaggi turistici bensì carceri dove l’identità dell’individuo viene annichilita. Ed è questo, non certo la genetica, a generare criminalità. Secondariamente, è tremendo che qualcuno possa lucrare senza pudore sulla vita. Scappare dalle guerre per diventare oggetto. Non è esattamente quanto intende la Costituzione con l’inciso “L o straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica ”.
Da ultima c’è un’offesa. Una duplice offesa. Quella perpetrata a danno dei cittadini da politicanti incompetenti e media. I primi perché regalano soldi pubblici a trafficanti di uomini; i secondi perché professano il falso, spostando il nemico sull’immigrato e fomentando l’odio.
Dietro tutto questo sistema non c’è solo una masnada di indegni signorotti. C’è un’operazione culturale immensa che vuole riportare il Paese nel bel mezzo del secolo passato. Quando diverso era nemico e la razza era pura. Certo, il burattinaio neanche si rende conto di quel che sta facendo. Eppure lo fa. Su una doppia via. Una prima palese. Cambia la testa degli italiani con i giornali e con la televisione Muta la parola “clandestino” in “ cattivo”. Una seconda occulta. Nasconde quel che fa davvero. D’essere un trafficante di uomini; una vita lussuosa foraggiata coi soldi dei contribuenti; come tratta coloro che dovrebbe aiutare. Certo, protegge i suoi interessi. D’altronde, come ben ammoniva Wilde: " E fanno bene a nascondere il loro inferno | Poiché vi son fatte cose | Che né il Figlio di Dio né il figlio dell’uomo | dovrebbero mai vedere". Così era a fine 1800. Possibile che ancora oggi così sia?
Ma tutto questo non ha alcuna importanza, in Italia. Almeno non fino al prossimo scandalo.