La gazzarra, per dirla con un eufemismo, fatta dai grillini a proposito della procedura d’urgenza imposta dalla presidente Boldrini per l’approvazione del decreto IMU Banchitalia è l’ennesima prova di una mancanza di volontà di questa formazione politica di entrare nel merito delle questioni e della ferma determinazione di volere ad ogni costo lo sfascio delle istituzioni.
Poiché però anche tra noi, e da una parte degli economisti, vengono sollevati problemi di merito - che a mio avviso non costituiscono elementi invalidanti del decreto - è bene riprendere alcune questioni.
Non tra gli addetti ai lavori, ma tra la gente è passata l’idea sbagliata che poiché la Banca d’Italia è un Istituto di diritto pubblico, questa fosse a tutti gli effetti pubblica e che quindi nel decreto fosse stata introdotta una sua privatizzazione.
La Banca d’Italia è sempre stata un istituto privato regolamentato nella sua missione e nella sua gestione da leggi dello stato, non ultima la costituzione (art. 47 che sancisce la tutela del risparmio dei cittadini).
Il compito che lo stato affida alla Banca d’Italia riguarda principalmente il controllo del modo di operare delle banche, la definizione del tasso di sconto che determina il costo del denaro, la stampa di moneta e la tutela del risparmio dei cittadini.
Prima del Decreto la composizione azionaria di questo Ente era costituita da Banche italiane, qualche Assicurazione, qualche Ente Pubblico; in questa avevano posizione di spicco 2 Banche, Intesa e Unicredit, che detenevano più del 52% del pacchetto, per effetto della confluenza in questi due Istituti, dopo le privatizzazioni degli anni 90, di altre Banche che hanno portato con sé le loro quote azionarie.
Questa composizione squilibrata a favore di Intesa e Unicredit ingenerava il sospetto che queste due banche avessero un peso eccessivo e contrastante con lo spirito di ente super partes che la Banca Centrale doveva avere.
Banchitalia aveva un capitale sociale di 156.000 euro, invariato dal 1936, una cifra ridicola; verrebbe quasi voglia di fare una colletta e comperarla, se non fosse che ha delle plusvalenze accumulate pari a 15 miliardi di euro (tralasciando 100 miliardi in oro e altri 8 in valuta perché fanno parte della gestione affidata dello stato, quindi ininfluenti sulle questioni poste dal Decreto).
I 15 miliardi accumulati sono in parte un sostitutivo dell’irrisorio Capitale Sociale della Banca e in parte costituiscono la garanzia che una Banca centrale deve dare a livello internazionale.
Sono soldi che appartengono ai Soci, non sono soldi pubblici che possono essere regalati dallo stato a chiunque.
I soci avrebbero dovuto ricevere l’anno scorso, da Regolamento, dividendi per un importo di 600 milioni di euro e non i 70 che invece hanno avuto, e il solo accumulo di utili non distribuiti negli anni porta ad una cifra attorno ai 7MD di euro che erano oggetto di contenzioso tra azionisti e Banca d’Italia.
Il decreto stabilisce che 7,5 MD degli accantonamenti di Banchitalia siano trasformati da capitale di riserva in capitale sociale con il vincolo che nessuna banca e nessun ente presente possa superare una quota del 3 % .
E’ prevista poi la possibilità di ampliare il numero degli azionisti ad enti e fondi pensioni che abbiano sede sociale in Italia diminuendo di fatto il peso delle banche sanando nello stesso tempo lo squilibrio derivante dal peso eccessivo di Intesa e Unicredit.
E’ comprensibile che quelle banche e quegli enti che dovranno vendere le loro quote per rientrare nel tetto del 3% avranno un beneficio economico importante per effetto della rivalutazione dei loro Fondi di garanzia in cui erano depositate le quote di partecipazione in Banchitalia.
E’ palese che non si tratta di un regalo, ma di una restituzione di capitali che sono degli azionisti e che serviranno ad allargare le maglie del credito.
L’aumento dei fondi di garanzia di alcune banche che ne deriva risponde infatti alle direttive della convenzione di Basilea 2 che mette in relazione la possibilità di erogare credito con l’entità dei Fondi di Garanzia.
Con questa operazione si fornisce una boccata di ossigeno al credito, all’economia e lo stato incassa circa 1,5 md di euro di tasse a copertura all’operazione sbagliata fatta sull’IMU per il ricatto berlusconiano.
La perplessità espressa da alcuni Istituti Bancari tedeschi sta nel fatto che, poiché la Banca d’Italia si farà garante della collocazione acquistando ad un prezzo di 25.000 euro le quote rese libere da chi oggi detiene più del 3% delle azioni, la stessa possa essere penalizzata da una debole richiesta di azioni che la costringerebbe ad abbassare la quotazione stabilita indebolendo le sue riserve.
Diversamente l’Unione Europea ha approvato i contenuti di questo Decreto, pur consigliando una particolare attenzione all’accumulazione di risorse di garanzia.
Aver inserito nello stesso decreto la questione IMU per motivi di copertura ha svilito la portata di questa nuovo assetto della Banca D’Italia e averlo affrontato attraverso un Decreto ha consentito qualche strumentalizzazione di troppo e qualche incomprensione nell’opinione pubblica su di un provvedimento complessivamente positivo, la cui unica alternativa sarebbe stata la pubblicizzazione della Banca con un esborso di fondi che in questo momento non è realizzabile e nemmeno giusto.
Avremmo potuto fare una pubblicizzazione come la Germania che ha speso 67 MD di euro o come l’Inghilterra che ne ha spesi 84 o la Francia 37?
Io credo di no, inoltre questa scelta non avrebbe garantito un ruolo più autonomo e positivo di quello della FR americana che ha una struttura e vincoli simili a quelli previsti dal nostro Decreto.
Come sempre le forme istituzionali di Enti Economici o dello Stato non risolvono di per sé i problemi.
Sono le logiche economiche e la capacità della politica di cambiarle che possono fare la differenza e rimettere in moto lo sviluppo, ma questo come si dice nei film è un'altra storia.
Per concludere: Si stanno accumulando una serie di decisioni di privatizzazioni che a mio avviso non si possono portare avanti con affrettate procedure d’ urgenza. Esse richiedono una riflessione che il Paese e il Parlamento devono compiere perché riguardano il futuro del nostro assetto economico.
Non vorrei che “l’urgenza del fare” ci portasse a dimenticare che in tutti i campi, siano la politica istituzionale o le questioni economiche, le scorciatoie frettolose complicano invece di risolvere i problemi, fanno perdere tempo e producono risultati insufficienti.