Queste elezioni politiche si svolgono nel pieno della peggior recessione economica del Dopoguerra. Rispetto a fine 2007, il PIL è sceso di 6,5 punti, la produzione industriale è crollata di quasi un quarto del suo valore, per non parlare delle contrazioni di consumi, investimenti e reddito disponibile delle famiglie. I disoccupati sono passati dal 6,2% del 2008 all’11,2% del 2012, il tasso di disoccupazione giovanile si aggira attorno al 37% e le ore di cassa integrazione continuano ad aumentare.
Nel Novembre 2011 l’Italia era sull’orlo del fallimento: il governo Berlusconi-Lega, per anni, era rimasto immobile di fronte all’erosione della struttura produttiva italiana sostenendo che la crisi non esistesse. Questa incapacità di far fronte alle necessità impellenti del paese aveva portato i detentori del nostro debito pubblico a perdere fiducia nelle capacità dell’Italia di ripagarlo. Eravamo percepiti come più rischiosi.
Uno spread più alto, non solo si aggiudicava le prime pagine dei giornali, ma aumentava gli interessi che lo Stato (con le tasse dei cittadini) deve (e dovrà) pagare per finanziarsi, deteriorando allo stesso tempo i bilanci delle banche italiane, costringendole a diminuire l’offerta di credito alle imprese e ai consumatori. Insomma, chi dice che lo spread non conta niente dovrebbe fare qualche ripetizione. In questa situazione, Berlusconi, privo di ogni briciolo di credibilità e colpevole di non aver fatto il necessario per affrontare quella situazione drammatica, si dimise. Non va dimenticato che quando Prodi lasciò il governo nel 2007, lo spread era a 37 punti, mentre nel Novembre 2011 si raggiunsero i 575 punti. Non va dimenticato che la BCE nell’estate 2011 aveva messo in moto un programma di acquisto di titoli di stato italiani (SMP), salvo poi interromperlo perché il nostro governo non manteneva le promesse.
Iniziò così il periodo del governo Monti che si proponeva tre obiettivi: rigore, crescita e equità. Di rigore ne abbiamo visto tanto, e va dato atto al professore di avere sistemato in buona parte i conti pubblici e ridato credibilità al nostro Paese. Le due grandi assenti in questo anno di governo sono state la crescita e l’equità. Sia chiaro: un Paese che non cresce, non può sostenere un debito pubblico al 126% e una crescita iniqua non è sostenibile. Non è neanche pensabile che l’austerità, sebbene in un primo momento necessaria, possa rimettere in moto l’economia, come numerosi studi dimostrano.
Di fronte a questo stato di cose, l’Italia va dunque alle elezioni. Siamo la seconda economia manifatturiera d’Europa, l’ottava economia mondiale. Il Made in Italy è un marchio conosciuto in tutto il mondo come garanzia di qualità. Il tessuto produttivo italiano, sebbene in terribile difficoltà, resiste sui mercati internazionali, come dimostrano i dati sulle esportazioni. Un Paese come l’Italia non può permettersi di essere governato da comici o da pagliacci. Per uscire da questa crisi serve una proposta politica concreta, sobria, che non si perda in facili promesse o grida, ma che metta al centro dell’attenzione il lavoro, l’impresa e la legalità.
Il Partito Democratico ha un programma che non è stato scritto in fretta e furia per queste elezioni anticipate, ma molte delle singole proposte sono state approvate negli ultimi anni dall’Assemblea Nazionale, dopo discussioni e dibattiti. Anche il PD non è stato immune da procedimenti giudiziari che hanno coinvolto suoi esponenti, ma la risposta è sempre stata netta. Il suo candidato premier è stato scelto tramite delle Primarie combattute, accompagnate da dibattiti televisivi aperti. Il 90% dei suoi candidati è stato selezionato attraverso Primarie. Due terzi di coloro che verranno eletti, non hanno mai messo piede in Parlamento prima d’ora. Il 40% saranno donne, un numero mai visto. Il 38% proviene dalle amministrazioni locali.
Sobrietà e concretezza servono a questo Paese e sono incarnate perfettamente da Pierluigi Bersani, autore di diverse riforme, come le liberalizzazioni, la riforma del commercio, la riforma del diritto fallimentare per le piccole imprese.
Questo è stato dunque il passato. Ma ora bisogna guardare al futuro e alle proposte. Il Partito Democratico vuole recuperare le due grandi assenti degli ultimi 20 anni: equità e crescita, senza perdere di vista l’equilibrio dei conti pubblici che rimane di centrale importanza. Non dimentichiamoci che poco più di un anno fa, l’Italia stava per fallire.
IMU: Spostare il peso dell’imposta verso i grandi patrimoni immobiliari, cercando di risparmiare chi ha patrimoni meno rilevanti. Il PD propone di esentare dall’IMU chi paga fino a 500€.
Debiti pubblica amministrazione: E’ uno scandalo che lo stato non paghi i suoi debiti nei confronti di fornitori e altre imprese legate ad esso da rapporti economici. Questo blocca la crescita e strangola il tessuto produttivo italiano. La pubblica amministrazione ha debiti nei confronti di privati per circa 70 miliardi. Il PD propone di pagare 10 miliardi all’anno alle piccole imprese per 5 anni (per un totale di 50 miliardi), emettendo titoli pubblici, con l’obiettivo di restituire liquidità alle imprese.
Opere pubbliche: Per creare posti di lavoro e per sanare gravi deficit di sicurezza del nostro paese non c’è bisogno di grandi opere. Il piano faraonico del governo Berlusconi, iniziato nel 2001, è stato completato solo per il 10%. Il PD propone un programma straordinario di piccole opere pubbliche del valore di 7,5 miliardi di euro, per rilanciare occupazione, mettere in sicurezza scuole, ospedali e sviluppare progetti ambientali. Le risorse si troveranno tagliando il bilancio della difesa, utilizzando fondi europei (che al momento sono utilizzati solo per il 37% delle disponibilità) e allentando il patto di stabilità per garantire maggiore capacità di investimento agli enti locali.
Spesa pubblica: la spesa pubblica italiana al netto di pensioni e interessi è la più bassa a livello europeo. Ciò non significa che non si debbano ridurre gli sprechi. Il Partito Democratico propone di sviluppare dei piani industriali per ogni pubblica amministrazione, al fine di individuare e tagliare gli sprechi. Stop, quindi, ai tagli lineari che non discriminano tra spesa di qualità e spesa inutile.
Ambiente: I soldi vanno spesi per la riqualificazione ambientale ed energetica degli edifici, bonifiche di grandi luoghi industriali; è necessario puntare su energie rinnovabili e il riordino del ciclo industriale dei rifiuti.
Innovazione: Sviluppo di banda larga e ICT per garantire servizi con conseguenze favorevoli su occupazione e occupazione giovanile. Credito d’imposta per investimenti in ricerca e innovazione.
Industria 2020: Progetto di politica industriale per sostenere sviluppo tecnologico, internazionalizzazione, ricerca e i settori del saper fare italiano, liberalizzazioni.
Costi della politica: riduzione numero dei parlamentari, riforma legge elettorale, riforma dei partiti per regolarne la vita interna. Tutti i partiti devono rendere pubblici i bilanci e farli certificare da una società esterna (il PD lo fa già).
Diritti: I figli di immigrati che nascono e studiano in Italia sono italiani. Riconoscimento sul modello tedesco delle unioni civili. Legge contro omofobia. Legge contro femminicidio.
Lavoro: Ciò che manca all’Italia, sono politiche attive per aiutare il matching tra domanda e offerta di lavoro: bisogna agire sull’istruzione tecnica e sui rapporti tra università e tessuto imprenditoriale, bisogna favorire i contatti tra le imprese e chi è in cerca di lavoro, bisogna investire sulla formazione. Per sostenere il lavoro femminile è necessario ampliare l’offerta di asili nido e introdurre incentivi fiscali.
Europa e Euro: la moneta unica ha portato enormi benefici (inflazione bassa, basso costo del denaro, mercato europeo ancora più integrato). Durante la crisi si sono visti i limiti di questa struttura. Tuttavia per superare questo scoglio, serve ancora più Europa: dopo l’unione monetaria, bisogna proseguire nel processo di integrazione bancaria, fiscale e politica.
Fisco: la pressione fiscale in Italia sfiora il 45% del PIL, il total tax rate arriva al 68% degli utili delle imprese. Il prelievo statale sulla busta paga arriva al 53,5%. Di fronte a questi dati è facile fare promesse roboanti, ma non fattibili, visti i nostri conti pubblici. Il Partito Democratico propone di agire soprattutto sul cuneo fiscale, diminuendo il costo del lavoro, e di scontare gli utili reinvestiti in azienda. Il PD, propone anche di abbattere la prima aliquota IRPEF dal 23 al 20%, ma solo coi proventi della lotta rafforzata all’evasione fiscale, che rappresenta quasi il 20% del PIL.
Queste sono alcune significative proposte del Partito Democratico, che ha tutte le carte in regola per governare bene. Le stesse persone oneste e impegnate che amministrano bene il territorio (comuni, province, regioni) sono poi quelle che andranno in Parlamento. L’Italia ha bisogno di questo. Un’eventuale riedizione di un governo Berlusconi-Lega sarebbe un dramma per il paese data l’incapacità di questo binomio di affrontare i problemi concreti, nonostante avessero avuto larghe maggioranze parlamentari.
Non sono le grandi promesse da prime pagine dei giornali a tirare fuori l’Italia dalla recessione in cui è imbrigliata. Non può essere Mario Monti, assieme a Fini e Casini, a risolvere il problema della crescita, viste le politiche recessive messe in atto nell’ultimo anno e visti gli errori (esodati, riforma del mercato del lavoro). Non può certamente essere un comico che in piazza urla favole e insulti che gli portano applausi, ma non va in televisione perché ha paura che le sue favole vengano smontate facilmente. Una sottospecie di dittatore all’interno del suo movimento, che epura chi lo contraddice. Poi c’è la rabbia, condivisibile, legittima. Ma il voto di domenica determina il nostro futuro per i prossimi 5 anni. Non è uno schiaffo ai politici. E’ un voto per noi stessi e per il nostro futuro. Non serve a niente il rassemblement di estrema sinistra condito di dipietrismo (in Europa Di Pietro è alleato con i liberali tedeschi, inglesi,…), due anime che non si capisce cosa c’entrino l’una con l’altra e che assomiglia molto a un tentativo maldestro di guadagnare qualche posto in Parlamento. Anche Fermare il Declino, nonostante abbia portato alcune proposte concrete e parzialmente condivisibili, si è dimostrato essere l’ennesimo partito personalistico.
Domenica e Lunedì si sceglie tra una riedizione dei vecchi governi PDL-Lega e un nuovo governo di centrosinistra. La legge elettorale non fa sconti: se Berlusconi e la Lega prendono un voto in più alla Camera o al Senato avranno la maggioranza. Il paese ha bisogno di altro.
L’Italia ha bisogno di un governo progressista. Un governo che, attraverso politiche oculate e riformiste, superi il degrado civico ed economico che ha caratterizzato l’Italia e gli Italiani negli ultimi anni. Un governo di persone competenti e prive di conflitti d’interessi. Un governo che non sia calato dall’alto, ma che sia legittimato politicamente. Un governo sostenuto da partiti radicati nel territorio, non monopersonali.
Un governo che tragga spunto dalle migliaia di amministratori locali onesti e impegnati. Un governo europeista e responsabile. Un governo credibile, che sappia imporre gli interessi del proprio Paese. Un governo che non gridi, ma parli con fermezza. Che abbia una prospettiva di lungo periodo. Insomma, l’Italia ha bisogno di un Governo.
Il Partito Democratico, con le sue proposte, il suo radicamento nel territorio, le persone che ne fanno parte, è in grado di governare questo Paese in modo onesto e concreto.
I problemi dell’Italia non si risolvono con slogan urlati in piazza o in televisione, ma necessitano di soluzioni ponderate ed efficaci.