Intendiamoci, non è che con le prossime elezioni verrà infranto il tetto di cristallo che ha impedito finora, in Parlamento come in tutte gli altri luoghi di decisione, alle donne di avere pari opportunità con gli uomini.
Però, analizzando come si sono mossi i partiti per arrivare alla compilazione delle liste, si può già misurare il tasso di riconoscimento del valore aggiunto che le donne possono portare alla crescita del Paese nelle sedi in cui pochi decidono il destino di tutti gli altri.
Tra questi, certamente, i due rami del Parlamento. Bene il Pd che nei seggi blindati ha collocato metà di candidati donne sotto la spinta dei risultati delle primarie che hanno confermato una volontà di esserci fin qui troppo soffocata dagli interessi di tutti gli altri. E così quindici capilista su 38 sono donne. «Una rivoluzione» l’ha definita Bersani confermando nelle liste il quaranta per cento di presenze femminili nel rispetto del dato che in determinate realtà locali si è andati ben oltre la soglia minima indicata.
Una rivoluzione organica. Voluta e confermata. Sel ha toccato il 46 per cento riservando la metà dei vertici alle donne confermando la volontà della coalizione Pd-Sel di puntare sulle donne che «per noi sono il motore del cambiamento» per dirla con la senatrice Anna Finocchiaro, capolista in Puglia per palazzo Madama, mentre per il Pdl le donne sono «una scocciatura da evitare».
Delusioni e conferme
E già, il Pdl, il partito dell’ex premier che ha promesso «una valanga rosa» e di ben altro spessore rispetto al recente passato ma poi, alla resa dei conti, non è andato oltre il premio previsto a quante lo hanno sostenuto e non lo hanno tradito.
Doveva essere «un terremoto di genere». Non si avverte alcuna scossa scorrere le liste messe insieme con tanta fatica. Il Pdl al Senato, in dieci regioni non ha candidato donne in posizioni eleggibili, e Berlusconi è capolista ovunque. Maria Rosaria Rossi, la sua collaboratrice preferita, l’ha garantita con un posto.
Anche in Lombardia, la regione più maschilista, dove nei primi diciassette posti sono tutti candidati al maschile. Certo ci sono i guizzi del Friuli Venezia Giulia dove alla Camera alla guida della lista ci sono due donne ma anche la Calabria con scherza con tre candidate, oppure c’è la fidata Michela Vittoria Brambilla che guida la lista della Camera in Emilia Romagna.
Ed anche l’«affollamento» alla Camera nel Lazio in cui bisognava salvare Renata Polverini, la presidente scalzata dalla sua poltrona dalle gesta di Fiorito-Batman e di tutti gli altri. Stando ai dati attualmente disponibili, e al netto delle opzioni dei capilista maschi, alla Camera poco più del venti per cento dei deputati del Popolo della libertà sarà donna e al Senato a stento si arriverà al dieci.
Passiamo al Movimento Cinque Stelle. Con le Parlamentarie sono state indicate attraverso la votazione on line 17 donne su trentuno capilista: impiegate, studentesse, casalinghe disoccupate.
Quelle che Beppe Grillo, inciampando nella sua stessa foga si limita ad esaltare solo perché «nessuna di loro ha la bocca rifatta o il culo di polistirolo» ma sono «donne normali con i figli, che tengono su la famiglia».
Delusione dal fronte Monti. Ed anche Antonio Ingroia non ha mancato, attraverso le sue candidatura, di immaginare una rivoluzione civile quasi esclusivamente con i pantaloni, al di là di nomi capaci di raccogliere voti. Sulla rete è cresciuta la protesta. E c’è chi ha parlato di “Ingroiellum” a proposito del metodo seguito dal magistrato in aspettativa per selezionare i suoi candidati.
Ci sarebbe stata una lottizzazione di posti che, oltre le apparenze, garantirà ai capi dei partiti che hanno contribuito alla formazione della Lista Ingroia di avere un seggio, almeno alla Camera, dove sondaggi alla mano i posti a disposizione potrebbero essere una ventina. Difficile davvero uno scranno al Senato. La necessità di accontentare i sodali con un capolista civetta e i posti suddivisi tra i big ha di fatto scalzato la cosiddetta società civile.
E quindi le donne che potranno vedersi rappresentate da Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano morto in carcere e Giovanna Marano, ex candidata a governatore della Sicilia. Il rammarico di una donna per «un’occasione mancata» che ha «sprecato l’entusiasmo di tante persone perbene» è stato testimoniato da Cecilia Strada.
La priorità negata
Il presidente del Consiglio uscente, «salito» in politica, stando sempre ai sondaggi, dovrebbe eleggere 74 deputati (di cui 49 a Scelta civica) e 35 senatori. In un Twitter Monti ha scritto «la priorità per l’Italia è valorizzare il ruolo delle donne». Però nelle liste elettorali non c’è riscontro di questo assunto se non per le undici capolista su cinquantuno. Le altre partecipano ma poi resteranno fuori.
Su un totale di 579 candidati alla Camera le donne sono 178. Al Senato su 301 candidati le donne sono 79. Quindi, se i voti effettivamente espressi ricalcheranno i sondaggi, data la collocazione ottenuta nelle liste solo il dieci per cento delle donne delle liste che fanno capo a Monti saranno elette. Un po’ poco per l’attesa di rinnovamento che il Professore prestato alla politica, e che ora ci vuole restare a tutti gli effetti, va sostenendo di avere suscitato.