Contro la pratica barbara delle dimissioni in bianco si è da tempo sviluppato un movimento di donne appartenenti a realtà civili, sociali e politiche diverse tra loro, che ha posto con grande forza il problema anche all'attenzione del nuovo governo, in particolare alla ministra Fornero, che si è più volte dichiarata disponibile ad affrontare il tema, da ultimo nell'incontro che abbiamo tenuto ieri.
È molto grave che nel nostro Paese, a fronte di leggi avanzate e di principi costituzionalmente sanciti, siano sempre di più i lavoratori e le lavoratrici costretti al ricatto di un foglio bianco già firmato, custodito in un cassetto, che può essere usato in qualsiasi momento apponendo solo la data del licenziamento. Nello stesso tempo, questa pratica danneggia quei datori di lavoro che, applicando correttamente leggi e contratti, subiscono la concorrenza di chi abbatte i costi evadendo responsabilità sociali.
Questo abuso lede profondamente la dignità del lavoro ed è tragico che le più colpite siano le donne alla nascita di un figlio, soprattutto alla luce del fatto che l'Italia detiene il tasso di occupazione femminile più basso d'Europa insieme al più basso tasso di natalità. Secondo l'Istat negli anni più pesanti della crisi il 30% delle madri (contro il 4% dei padri) ha dichiarato di aver interrotto il lavoro per motivi familiari e 800.000 sono le donne che hanno dichiarato di essersi dovute dimettere a causa della gravidanza e per aver firmato una lettera in bianco.
Non è vero che maggiori tutele ingessano il mercato del lavoro e pregiudicano la crescita. È vero il contrario: senza regole, oltre che in assenza di servizi e politiche adeguate, è sprecata la risorsa del lavoro femminile che, se raggiungesse gli obiettivi di Lisbona, secondo Bankitalia produrrebbe un incremento del Pil del 7%. Senza il rispetto delle regole accadono tragedie come quella avvenuta a Barletta.
Il Pd si sta battendo da tempo per ripristinare le norme contro questa barbarie, che erano contenute nella legge 188, cancellata dal precedente governo. In particolare, in commissione Lavoro alla Camera, inizierà a febbraio la discussione della proposta di legge a prima firma Gatti, attorno alla quale provare a costruire la condivisione di un arco di forze più ampio. Le donne hanno sostenuto, per ammissione della stessa ministra Fornero, gran parte del sacrificio richiesto in questi mesi, in particolare sul piano pensionistico. Ora è necessario che il confronto che si è aperto sul mercato del lavoro e, in generale, sugli strumenti necessari alla crescita del Paese mettano al centro il recupero dell'esasperato svantaggio femminile.
Il riconoscimento del valore della maternità è una delle chiavi attraverso le quali affrontare la situazione di disuguaglianza tra i generi e provare a ripensare l'idea e la qualità dello sviluppo. Come democratiche, abbiamo lanciato da tempo la proposta del congedo di paternità obbligatorio di 15 giorni, così come prevede l'Europa, che ponga, anche in termini culturali, la grande questione della condivisione del lavoro di cura. Abbiamo chiesto una tutela della maternità estesa e rafforzata anche in presenza di forme e tipologie contrattuali diffuse soprattutto tra i giovani. Vogliamo puntare su un modello di sviluppo che abbia al centro una robusta quota di beni comuni e la valorizzazione del lavoro di cura e dei servizi alle persone. Visto con gli occhi delle donne, ciò che può apparire solo come spesa, è in realtà un grande investimento sociale.