Ogni volta che un diritto conquistato viene rimesso in discussione con la forza o viene negato, è un brutto giorno per tutti. Per chi subisce la negazione di quel diritto, ma anche per chi ottiene che venga negato.
E sì, anche per lui o per esso (si tratti di persona, di azienda, di istituzione, di diritto vero e proprio o clausola contrattuale, come si è a lungo disquisito), perché non è su di un sopruso, per quanto apparentemente legittimato, ma vissuto come tale in mancanza di un vero accordo, che si può costruire un tessuto di relazioni personali o industriali e creare un sistema produttivo efficiente ed efficace, che duri a lungo.
E’ il caso della Fiat, del mancato negoziato tra l’intero sindacato e l’azienda e della lacerazione che ne è seguita. E’ già stato detto della colpevole latitanza del governo e di un ministro delle attività produttive, che se avesse messo in questa storia, un centesimo dell’interesse riservato alle aree edificabili monzesi, forse le cose sarebbero andate diversamente. Ma gli interessi in gioco non erano per Romani propriamente gli stessi, ed ecco la logica di tali diversi comportamenti.
Sta di fatto che le condizioni di lavoro degli operai della Fiat peggioreranno, che del piano industriale di Marchionne non è dato sapere né il dettaglio, né la tempistica, che non si sa ancora se Mirafiori diventerà una fabbrica “cacciavite” (una realtà industriale con il compito di solo assemblaggio di pezzi “qualitativi” e “produttivi”, importati dall’ America) e che il 50% dei lavoratori non avranno rappresentanza sindacale.
Se qualcuno si illude che questo capolavoro di tensioni e ombre, alimentato dall’arroganza di Marchionne, che ha condotto una trattativa più da padrone delle ferriere che da uomo del 2000, dalla latitanza del governo, dall’impegno assiduo profuso da Sacconi a “spaccare” il sindacato, dalla debolezza della Confindustria e dalle divisioni sindacali, consenta una migliore governabilità della fabbrica e una sua evoluzione, a mio avviso, si sbaglia di grosso.
Mi sento dire spesso che sono una illusa, che c’è la globalizzazione, che il mondo è cambiato e bisogna adattarsi. E’ vero e mi rendo conto che, poichè i tempi della conquista di diritti pari ai nostri, da parte dei lavoratori dei paesi emergenti, non saranno brevi, è realistico ipotizzare che alcune nostre conquiste contrattuali dovranno essere sacrificate sull’altare della concorrenza internazionale.
Sostengo tuttavia, e sarebbe opportuno che tutti se ne rendessero conto e ammettessero che quando un lavoratore è costretto al baratto tra un diritto o una conquista contrattuale, e il lavoro, è una sconfitta per tutti. E il voler far passare tutto ciò come una svolta epocale positiva e costruttiva, mi sembra fuorviante e profondamente ipocrita. Sarà un bel giorno e la svolta sarà davvero epocale, ma in senso positivo, quando i lavoratori di ogni parte del mondo potranno godere di diritti e tutele consolidate che consentano loro di fare una vita dignitosa e quando il lavoro comincerà a risalire, nella concezione comune e nell’attenzione dei governi, in cima alla scala dei valori su cui si basa una società più giusta.
Ora chiedo al mio partito di essere attento, intransigente e propositivo nell’accompagnare i lavoratori della Fiat in questo difficile cammino. Attento alle loro istanze, intransigente con gli impegni che Marchionne si è assunto e che dovrà rispettare, propositivo nel cercare una ricomposizione del sindacato e una soluzione al problema della rappresentanza sindacale nell’azienda.
Agli operai Fiat, a tutti loro, indistintamente, sia che abbiano votato quel Si strappato o quel No orgoglioso, l’augurio di ritrovarsi uniti, perché è solo nell’unità che la classe operaia, che ancora esiste (e loro l’hanno dimostrato oggi più che mai), potrà affrontare in modo adeguato questa sfida.
Ma soprattutto un Grazie per aver saputo rivendicare con coraggio la dignità del lavoro.