Mentre la maggioranza di governo ingombra il video declamando fantasiosi spot elettorali noi, vox diaboli, ci accorgiamo che c’è qualcosa di strano oggi nel sole anzi di antico; i lavoratori esistono, le fabbriche anche. E quando nell'ultima campagna elettorale scrivevo, da buon metalmeccanico, che nessuno stava parlando con me, non esprimevo solo una sensazione, un modo di vivere la fabbrica, ma sopratutto la situazione di isolamento culturale dentro il quale si muovono oggi i lavoratori.
Dal 1980, anno dei famosi 37 giorni della Fiat, a oggi, passando dal 1993 anno della trasformazione del contratto nazionale, abbiamo purtroppo assistito alla costante crescita del livello di disaffezione di molti nei confronti della politica e del sindacato. E così passando da un governo all’altro, abbiamo vissuto l’incapacità politica di elaborare visioni condivise, la mancanza di un senso di responsabilità collettiva nei confronti di un progetto da lungo termine, spesso ricattati dalla necessità di digerire le scelte politiche in alternativa alla minaccia della caduta del governo.
E' cresciuto così un senso di apatia per una politica che registra una presenza più attiva e costante di alcuni dei nostri sindacati che rischia di allontanarli sempre più dalle fabbriche, dalla realtà dei luoghi di lavoro, là dove la contrattazione di secondo livello rimane un sogno e il recupero dell’inflazione e la flessibilità non producono sicurezza e non salvano la vita.
Per non parlare poi del contratto nazionale, eterno compromesso, frutto dell’arroganza, anch’essa universalmente riconosciuta, dei nostri industriali. Ma ciò che è peggio trasformandosi nel tempo da strumento di solidarietà generale a strumento di disuguaglianza, mercato della socialità e dei diritti svenduti a prezzi diversi, dove il costo della vita viene riparametrato per livelli di professionalità, gli stessi livelli che attendono da anni la riscrittura ormai nel libro dei sogni e con la parte normativa ridotta a complicate istruzioni per l’uso. Ma non possiamo chiuderla così, pur riconoscendo senza esitazione l’insostituibilità del contratto nazionale che come tale va difeso, dobbiamo da subito impegnarci per rendere questo strumento più attuale, più dinamico, dove il rafforzamento degli elementi di solidarietà, per contrastare i rischi di una crescente e dirompente disuguaglianza sociale, si fondano con la necessità di un rafforzamento della contrattazione integrativa di secondo livello, ancora inaccessibile per molti di noi.
Certo è evidente che tutto questo richiede un’importante sforzo di mediazione tra le istituzioni, le persone e il territorio, ma questo è il fare della politica. In questi luoghi il PD deve essere qualcosa di più, deve essere la sfida al vecchio modo di fare politica quella che oggi viene assorbita da molti attraverso le immagini e i discorsi in televisione, una politica da poltrona, con un basso costo di partecipazione, che si alimenta e si carica soltanto attraverso le dimostrazioni di tifo pro e contro. L’impressione invece è quella di un partito costantemente fuori onda. Mai sul pezzo, con le vecchie avanguardie paragonabili ad antichi messaggeri inviati dalle aristocrazie nel campo nemico per trattare un accordo in luogo dello scontro. Nel frattempo “il resto” cerca di sopravvivere perso in una “disputatio” dove non mancano mai i soliti vecchi e noiosissimi Magister e dove l’unica cosa che pare ritrovarsi è la volontà di mantenere, da parte di molti dei prescelti (nel senso di non eletti), una identità politica ad uso e consumo personale. E in onda ci và solo il presidente bonsai circondato dai suoi vassalli perché lui un profilo ce l’ha. Il Profilobenito.
E chi va via perde il posto all’osteria, salvo poi lamentarsi se il disagio e il dissenso assumono carattere e forme poco aristocratiche, lontane dal bon-ton in giacca e cravatta. E il tempo scorre inesorabile tra la ricerca di un profilo alto e una caduta in basso. Ogni tanto qualche nostalgico con il Grembiulino scolastico in perfetto stile “non è mai troppo tardi” ci ricorda che i salari sono bassi e la pressione fiscale troppo alta e se il governo continua così potrei anche arrivare ad esprimere il mio dissenso nel rispetto del ruolo e delle istituzioni che sono chiamato a rappresentare senza mai scadere nella forma espressiva di insulto o di vilipendio e bla,bla bla...
Cara onorevole opulenza, non è in su queste basi che si fonda la riforma del Welfare e del mercato del lavoro, non è su queste basi che dovremo trattare con il governo. In un contesto privo di novità, già vecchio nel suo proporsi, queste tematiche dovrebbero disegnare realmente i contorni del nuovo. Non già il riproporre elenchi di riforme come se fossimo stati folgorati sulla strada per chissà dove, come se l’avventura politica di molti di questi signori stia appena per cominciare. Non già l’improvviso accorgersi dell’esistenza di ceti talmente poveri dall’essere praticamente esclusi dai benefici fiscali a causa dell’esenzione della presentazione della dichiarazione dei redditi. Non già l’accorgersi della precarietà in tutti i sensi, divenuta oramai uno stile di vita di molti giovani e meno giovani, dopo aver partecipato al varo della legge 30. (la Francia insegna).
Non vado oltre, ma e’ come assistere al risveglio, ogni "x" di anni, di un grosso mammifero che guardandosi intorno riscopre il mondo senza rendersi conto che ha dormito solo lui.