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climate changeContinua a firma di Francesca Dell'Aquila una "rubrica clima*" che intende mettere in luce la complessità e la per certi versi l'unicità dei tempi che viviamo in relazione all'ambiente che ci circonda. Buona lettura. 

L’ultimo Rapporto dell’IPCC è il 5° Rapporto del 2013. Il testo delinea, in particolare, quattro “scenari di emissione”: ne menzioniamo qui due. Il primo è di contenimento dell’innalzamento globale della temperatura a +2 gradi entro il 2100, situazione che si verificherebbe applicando quanto, poi, verrà definito dall’Accordo di Parigi; il secondo è di c.d. “business as usual”, che si realizzerebbe continuando a procedere agli attuali trends di emissione. Un’ipotesi, quest’ultima, che comporterebbe un aumento a +5 gradi entro il 2100, il che significa impossibilità di vita sulla Terra per gli esseri umani e per la quasi totalità delle specie viventi, e grandi sconvolgimenti che si verificherebbero nei decenni di avvicinamento a quella data.

Come già anticipato, l’Accordo di Parigi, negoziato durante la Cop 23 di Parigi, impegna per la prima volta tutti i Paesi firmatari - senza distinzione tra Paesi sviluppati e Paesi meno sviluppati - a ridurre le proprie emissioni di gas serra, ed è vincolante a partire dal 2020 (l’inquadramento del termine “vincolante” merita un approfondimento a sé, che farò nel prossimo numero). Con questo accordo - frutto di un processo dal basso attraverso i contributi determinati a livello nazionale dai singoli Paesi (i c.d. INDCs) - i governi hanno concordato misure sul piano della mitigazione, dell’adattamento, della trasparenza, della cooperazione, delle perdite da affrontare e dei danni (meccanismo del Loss and Damage, in cui rientra anche il tema delle migrazioni causate dal cambiamento climatico), nonchè della finanza climatica. Quest’ultimo termine è strettamente connesso a quello di “giustizia climatica” e si riferisce al fatto che i paesi industrializzati sono e saranno tenuti, come finora è già stato, a sostenere i Paesi in via di sviluppo nell’adozione di misure di adattamento e di riduzione, confermando l’obiettivo comune di mobilizzare ogni anno, a partire dal 2020, 100 miliardi di dollari Usa di fondi finanziari privati e pubblici; la cifra è destinata ad essere rivista a rialzo a partire dal 2025. I principali impegni dell’Accordo in sintesi sono: 1) mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale “ben al di sotto” dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali; 2) puntare a limitare l’aumento a 1,5 gradi; 3) fare in modo che le emissioni globali raggiungano il livello massimo il prima possibile per procedere poi a rapide riduzioni; 4) riferire all’opinione pubblica cosa si sta attuando per raggiungere gli obiettivi prefissati. Altro elemento essenziale, quale punto di raccordo in un quadro d’insieme che deve vedere, su questo tema, tutti coinvolti, è il fatto che l’Accordo riconosce il ruolo importante dei soggetti che non sono parte dello stesso, come le città, gli altri enti subnazionali, la società civile, i soggetti privati.

L’obiettivo ben più auspicabile di contenimento ai +1,5 gradi è stato successivamente oggetto dell’ultimo Rapporto Speciale IPCC pubblicato pochi giorni prima della Cop24 di Katowice (Polonia) del dicembre 2018, quella in cui abbiamo imparato a conoscere l’attivista svedese Greta Thunberg (gli esiti della Cop24, in stretta connessione con i punti di debolezza dell’Accordo di Parigi, meritano una riflessione a parte, nel prossimo numero). Il Rapporto Speciale ha rilevato come una differenza di 0,5 gradi permetterebbe di adattarci con meno difficoltà, dovendo affrontare meno impatti negativi legati all’intensità e alla frequenza dei fenomeni estremi. Ha però lanciato un ulteriore allarme: se gli attuali ritmi di crescita delle emissioni dovessero rimanere immutati, si raggiungeranno i +1,5 gradi (l’obiettivo che l’Accordo di Parigi poneva per il 2100) già tra il 2030 e il 2052. Come ha affermato il presidente di uno dei gruppi di lavoro dell’IPCC, “Ogni piccolo aumento della temperatura provocherà conseguenze irreversibili come la perdita totale di alcuni ecosistemi”.

Ma oltre agli scenari che abbiamo richiamato sopra - e, aggiungerei, al di là di questi scenari, nella remota ipotesi in cui un eventuale e improbabile macroerrore collettivo della comunità scientifica mondiale lasciasse intravedere un futuro meno difficile - c’è un dato di fondo molto interessante da osservare, ed è il legame tra cambiamento climatico e sviluppo sostenibile. Spostando per un attimo la nostra attenzione dai dati che ci permettono di capire se e quanto il nostro futuro sulla terra possa essere assicurato o compromesso, agli effetti in termini di qualità stessa della vita nella sua accezione più ampia, si osserva che i due terzi dei 169 targets, o traguardi, oggetto dei 17 Obiettivi del “2030 Sustainable Development Goals” dell’Onu – obiettivi che vanno della sconfitta della povertà e della fame nel mondo, alla qualità dell’istruzione, alla salute e al benessere - dipendono dalla riuscita degli obiettivi climatici/ambientali.

Questi due legami, quello connesso agli effetti del cambiamento climatico e quello legato alla qualità della vita, spiegano perché la Presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu abbia recentemente dichiarato che il 2019 è l’anno critico per adottare misure efficaci contro i cambiamenti climatici e per lo sviluppo sostenibile, cioè “the last chance”. Ribadendo con ciò quanto aveva già affermato il Segretario Generale dell’Onu Antònio Guterres nel settembre 2018: “Climate change is the defining issue of our time – and we are at a defining moment.[…] If we do not change course by 2020, we risk missing the point where we can avoid runaway climate change, with disastrous consequences for people and all the natural systems that sustain us.”

Per concludere, ci sono voluti 40 anni per iniziare a prendere provvedimenti concreti su un tema che rappresenta la sfida più grande per il genere umano e che, purtroppo, rimane ancora dibattuto, nonostante le chiarissime indicazioni ed evidenze scientifiche. Vista la posta in gioco, meglio tardi che mai (tardi, ma non tardissimo).

 

*La complessità del tema è tale che chi scrive non ha la pretesa di esaurirlo in poche righe, anche perché la sintesi è spesso foriera di imprecisioni. Questa piccola Rubrica ha il solo scopo di proporre aggiornamenti e riflessioni, analisi e spunti (cercando di evitare di ripetere semplicemente quanto già oggetto di diffusione da parte dei media), per ragionare sull’epoca di transizione che stiamo vivendo, come cittadini, come italiani, come europei, come Pd.

 

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